Il testo, considerando la funzione formativa dell’Università, propone di porre al centro non la domanda sul “fare” docenza ma quella sullo “essere” docente; non su come organizzare la didattica, ma su come essere educatore. Questa domanda sull’essere costituisce un interrogativo cruciale che, alla radice, rappresenta la peculiarità dello spirito umano. La risposta non può essere cercata per via individuale ma – come insegna l’ermeneutica e la fenomenologia – solo grazie al rapporto con l’interlocutore che, per l’insegnante, è in primis il discente: per questo “educare” ed “educarsi” sono due obiettivi inscindibili in un processo che sia davvero formativo per entrambi. Da qui alcuni riferimenti non direttamente di tecnica organizzativa: l’insegnamento come dar vita e voce alla “tradizione storico-linguistica”, come tensione costante oltre i propri limiti, etc. Con queste premesse il saggio esplora i rapporti, spesso di consonanza, fra tre modelli educativi, provando a declinarli sulla situazione attuale dell’Università italiana: la pedagogia ermeneutica e dialogica di Gadamer, quella critica di Freire e la “scuola aperta” di Capitini. La convergenza fra questi tre studiosi riguarda numerosi aspetti: il rapporto fra ricerca e comunicazione, l’educazione come pratica della libertà e del dialogo, la formazione dello spirito critico, la relazione fra educazione e valori. Perché la prassi dialogica non sia fine a se stessa, non si esaurisca in una “chiacchiera vacua” – aggiungono i tre studiosi − occorre spingere il dialogo oltre se stesso, verso l’educazione al “gusto”, alla storia, alla coscienza politica. L’ultimo paragrafo affronta il concetto di “pratica educativa”: essa va intesa come “prassi” (dialettica fra azione e riflessione critica) incentrata sulla ricerca e come “phronesis”, entrambe distinte da una pratica attivistica dell’educazione, intesta, quest’ultima, come tecnicismo acritico, in cui il “fare” prevale sullo “essere”, a scapito della formazione integrale della persona. Anche l’Università deve essere uno spazio in cui, accanto allo “addestramento”, si persegua l’educazione, che non ha altri fini al di fuori di se stessa (Bildung).

Essere insegnante. Educare l'altro, educare se stessi / Montesperelli, Paolo. - STAMPA. - (2016), pp. 177-193.

Essere insegnante. Educare l'altro, educare se stessi

MONTESPERELLI, Paolo
2016

Abstract

Il testo, considerando la funzione formativa dell’Università, propone di porre al centro non la domanda sul “fare” docenza ma quella sullo “essere” docente; non su come organizzare la didattica, ma su come essere educatore. Questa domanda sull’essere costituisce un interrogativo cruciale che, alla radice, rappresenta la peculiarità dello spirito umano. La risposta non può essere cercata per via individuale ma – come insegna l’ermeneutica e la fenomenologia – solo grazie al rapporto con l’interlocutore che, per l’insegnante, è in primis il discente: per questo “educare” ed “educarsi” sono due obiettivi inscindibili in un processo che sia davvero formativo per entrambi. Da qui alcuni riferimenti non direttamente di tecnica organizzativa: l’insegnamento come dar vita e voce alla “tradizione storico-linguistica”, come tensione costante oltre i propri limiti, etc. Con queste premesse il saggio esplora i rapporti, spesso di consonanza, fra tre modelli educativi, provando a declinarli sulla situazione attuale dell’Università italiana: la pedagogia ermeneutica e dialogica di Gadamer, quella critica di Freire e la “scuola aperta” di Capitini. La convergenza fra questi tre studiosi riguarda numerosi aspetti: il rapporto fra ricerca e comunicazione, l’educazione come pratica della libertà e del dialogo, la formazione dello spirito critico, la relazione fra educazione e valori. Perché la prassi dialogica non sia fine a se stessa, non si esaurisca in una “chiacchiera vacua” – aggiungono i tre studiosi − occorre spingere il dialogo oltre se stesso, verso l’educazione al “gusto”, alla storia, alla coscienza politica. L’ultimo paragrafo affronta il concetto di “pratica educativa”: essa va intesa come “prassi” (dialettica fra azione e riflessione critica) incentrata sulla ricerca e come “phronesis”, entrambe distinte da una pratica attivistica dell’educazione, intesta, quest’ultima, come tecnicismo acritico, in cui il “fare” prevale sullo “essere”, a scapito della formazione integrale della persona. Anche l’Università deve essere uno spazio in cui, accanto allo “addestramento”, si persegua l’educazione, che non ha altri fini al di fuori di se stessa (Bildung).
2016
Vivere il sociale, pensare il globale. Saggi in memoria di Vittorio Cotesta
9788860747549
Università; educazione; didattica
02 Pubblicazione su volume::02a Capitolo o Articolo
Essere insegnante. Educare l'altro, educare se stessi / Montesperelli, Paolo. - STAMPA. - (2016), pp. 177-193.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/875346
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