La teoria liberale di Benedetto Croce ha sempre sollevato, fin dal primo delinearsi, la giustificata diffidenza dei sostenitori del liberalismo classico, di coloro che guardavano al grande modello dell’empirismo e dell’utilitarismo, di John Locke, di Jeremy Bentham, di John Stuart Mill e degli autori del Federalist; e che perciò assegnavano le sorti della libertà ai postulati fondamentali della protezione dell’individuo, dell’equilibrio dei poteri, del mercato economico. Così come, per altro verso, ha destato la rea-zione critica di tutti coloro che desideravano combinare la libertà con la giu-stizia e con l’eguaglianza, o anche con gli ideali del socialismo. Dissensi, come si diceva, comprensibili e ben motivati, non solo per la premessa idea-listica e hegeliana che fin dall’inizio segnò la riflessione di Croce, ma so-prattutto per il tentativo, esplicito e conseguente, di un complessivo ripen-samento della tradizione liberale, di un rinnovamento e di una riforma del suo impianto classico, a cominciare da quei princìpi – individuo, divisione dei poteri, mercato – che ne avevano caratterizzato la vicenda moderna. Il profilo peculiare della sua teoria liberale apparve subito chiaro, d’altronde, a Giovanni Gentile, che già nel 1925, di fronte alla posizione antifascista or-mai conseguita dal vecchio collega di studi, ne contestò la legittimità, obiet-tando che non poteva lui, discepolo di Machiavelli e di Marx e critico degli ideali giusnaturalistici, definirsi «liberale» (Gentile 1990, pp. 144-150); e ricevendone la pronta replica di Croce, che immediatamente osservò che una cosa era il rifiuto, che fin dall’inizio aveva espresso, dei princìpi eguali-tari e democraticisti, altra e diversa cosa era l’idea liberale, a cui, per parte sua, non aveva mai rinunciato (Croce 1960, pp. 496-497). Per quanto para-dossale possa apparire, la critica di Gentile (che proveniva da un intellettua-le ormai schierato con il regime fascista) venne ripresa e, con molte varianti, ripetuta innumerevoli volte da pensatori liberali che, in un modo o nell’altro, rifiutavano il carattere «eterodosso» del liberalismo crociano, op-ponendovi questo o quell’aspetto della tradizione classica. Per ricordare solo gli esempi più notevoli, forti obiezioni vennero, con la Difesa del liberalso-cialismo del 1945, da Guido Calogero, che sottolineò la distinzione, che a suo parere Croce aveva avuto il torto di sopprimere, tra la libertà trascen-dentale, che vi è sempre e non può non esservi, e la libertà in senso empirico e politico, che costituisce invece il perenne sforzo della volontà umana. Os-servazioni che vennero riprese un decennio dopo, nel 1955, da Norberto Bobbio in un famoso saggio (Benedetto Croce e il liberalismo), sia pure con argomenti che, a differenza di quelli di Calogero, non nascevano più dal tronco dell’idealismo ma da quello dell’empirismo di scuola anglossassone. Né mancarono, tra coloro che pure si richiamavano alla filosofia di Croce, tentativi di correzione anche radicale, come quello che operò nel 1959, con La restaurazione del diritto di natura, Carlo Antoni, cercando di riabilitare il significato speculativo di quelle figure dell’individuo e del liberismo eco-nomico che Croce, come vedremo, aveva ricondotto al valore di mezzi o ad astrazioni.

Croce e il liberalismo / Muste', Marcello. - STAMPA. - (2016), pp. 396-403.

Croce e il liberalismo

MUSTE', MARCELLO
2016

Abstract

La teoria liberale di Benedetto Croce ha sempre sollevato, fin dal primo delinearsi, la giustificata diffidenza dei sostenitori del liberalismo classico, di coloro che guardavano al grande modello dell’empirismo e dell’utilitarismo, di John Locke, di Jeremy Bentham, di John Stuart Mill e degli autori del Federalist; e che perciò assegnavano le sorti della libertà ai postulati fondamentali della protezione dell’individuo, dell’equilibrio dei poteri, del mercato economico. Così come, per altro verso, ha destato la rea-zione critica di tutti coloro che desideravano combinare la libertà con la giu-stizia e con l’eguaglianza, o anche con gli ideali del socialismo. Dissensi, come si diceva, comprensibili e ben motivati, non solo per la premessa idea-listica e hegeliana che fin dall’inizio segnò la riflessione di Croce, ma so-prattutto per il tentativo, esplicito e conseguente, di un complessivo ripen-samento della tradizione liberale, di un rinnovamento e di una riforma del suo impianto classico, a cominciare da quei princìpi – individuo, divisione dei poteri, mercato – che ne avevano caratterizzato la vicenda moderna. Il profilo peculiare della sua teoria liberale apparve subito chiaro, d’altronde, a Giovanni Gentile, che già nel 1925, di fronte alla posizione antifascista or-mai conseguita dal vecchio collega di studi, ne contestò la legittimità, obiet-tando che non poteva lui, discepolo di Machiavelli e di Marx e critico degli ideali giusnaturalistici, definirsi «liberale» (Gentile 1990, pp. 144-150); e ricevendone la pronta replica di Croce, che immediatamente osservò che una cosa era il rifiuto, che fin dall’inizio aveva espresso, dei princìpi eguali-tari e democraticisti, altra e diversa cosa era l’idea liberale, a cui, per parte sua, non aveva mai rinunciato (Croce 1960, pp. 496-497). Per quanto para-dossale possa apparire, la critica di Gentile (che proveniva da un intellettua-le ormai schierato con il regime fascista) venne ripresa e, con molte varianti, ripetuta innumerevoli volte da pensatori liberali che, in un modo o nell’altro, rifiutavano il carattere «eterodosso» del liberalismo crociano, op-ponendovi questo o quell’aspetto della tradizione classica. Per ricordare solo gli esempi più notevoli, forti obiezioni vennero, con la Difesa del liberalso-cialismo del 1945, da Guido Calogero, che sottolineò la distinzione, che a suo parere Croce aveva avuto il torto di sopprimere, tra la libertà trascen-dentale, che vi è sempre e non può non esservi, e la libertà in senso empirico e politico, che costituisce invece il perenne sforzo della volontà umana. Os-servazioni che vennero riprese un decennio dopo, nel 1955, da Norberto Bobbio in un famoso saggio (Benedetto Croce e il liberalismo), sia pure con argomenti che, a differenza di quelli di Calogero, non nascevano più dal tronco dell’idealismo ma da quello dell’empirismo di scuola anglossassone. Né mancarono, tra coloro che pure si richiamavano alla filosofia di Croce, tentativi di correzione anche radicale, come quello che operò nel 1959, con La restaurazione del diritto di natura, Carlo Antoni, cercando di riabilitare il significato speculativo di quelle figure dell’individuo e del liberismo eco-nomico che Croce, come vedremo, aveva ricondotto al valore di mezzi o ad astrazioni.
2016
Croce e Gentile. La cultura italiana e l’Europa
978-88-12-00577-2
Benedetto Croce; idealismo; filosofia italiana; liberalismo; filosofia politica
02 Pubblicazione su volume::02a Capitolo o Articolo
Croce e il liberalismo / Muste', Marcello. - STAMPA. - (2016), pp. 396-403.
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