Cominciando dalla fine, i laboratori del Teatro dell’Opera di Roma oggi sono un’eccezione, una particolarità, una tradizione tutta italiana. In essi viene tramandata, di giorno in giorno, una conoscenza artistica ed artigiana unica nel suo genere e, purtroppo, come amaramente e quotidianamente ricordato dalla cronaca, sempre più a rischio di estinzione. Qui sono custoditi i principali strumenti per dipingere secondo il modo cosiddetto all’italiana, dall’alto, in piedi. La canna scenica, le spazzole e i pennelli dal manico lungo, i colori in polvere sapientemente miscelati e trattati. Così come nelle botteghe del Rinascimento vi è la possibilità di imparare facendo, in costante contatto con i maestri e con i colleghi, dando vita a continui scambi verticali e orizzontali. Qui, negli ultimi due secoli, sono state realizzate opere artistiche sul progetto di scenografi di fama internazionale, ma anche di architetti, costumisti, pittori e scultori. Qui è possibile fabbricare sogni perché non solo il tempo e la storia lo permettono ma anche lo spazio. Clemente Busiri Vici operò tra il 1929 e il 1933 una riconversione, un riadattamento, un riutilizzo, un re-cycle di grande forza, che tuttora risponde alla funzione, ma che la materia sta tradendo. La pianta libera del salone della Scenografia era in origine una grande copertura piana, una terrazza sul Circo Massimo, che l’ingegnere chiuse con una capriata in calcestruzzo armato, con una luce libera tale da consentire le lavorazioni dei grandi(osi) fondali per l’Opera, il più delle volte di centinaia e centinaia di metri quadrati d’estensione. Lo studio della luce naturale e la presenza di una passerella sospesa permettono agli artisti di controllare costantemente i risultati del loro lavoro. Lo spazio unico in tutte le sue accezioni, tipico anche degli altri piani dell’edificio, fino alle fondazioni, sul Mitreo del Circo Massimo, ha notevolmente influenzato le relazioni e le produzioni. La contemporaneità delle operazioni e la compresenza delle specialità hanno infatti notevolmente accelerato la fabbrica. L’incontro con l’antico non è stato motivo di indecisione, incertezza e blocco, come accade sempre più spesso. Il centro storico, il cuore di Roma non è inviolabile ma vivo, perché l’utilizzo lo mantiene tale. Migliaia di turisti ogni anno rimangono affascinati dalla visita di un pezzo di città che non è museo di rovine ma rischia di divenire una rovina di un museo. Abbiamo bisogno oggi e in futuro di spazi come questo, che rappresentino un’innovazione formale e strutturale, che sia tuttavia continua nel tempo. La materia non può e non deve essere d’ostacolo, essa deve tradire l’opera secondo l’accezione latina del termine, ossia trasportarla, essere veicolo, occasione per presentarsi sotto vesti nuove, riciclarsi appunto. L’edificio dei laboratori del Teatro dell’Opera di Roma dovrebbe poter approdare al futuro mantenendo la sua vocazione di fucina di idee. L’evoluzione delle necessità d’uso, e, conseguentemente, degli spazi e della materia, dovrebbe poter continuare indisturbata il suo corso. Una processualità che non andrebbe interrotta, in cui architettura e scenografia sono scambievolmente e reciprocamente contenitore e contenuto, ideazione e materia, entrambe forme di produzione nella fabbrica dei sogni. Portare nel futuro una fabbrica come questa è un’occasione duplice, poiché è in se stessa simbolo di cultura ma ne è produttrice al tempo stesso. Il rischio di cui si accennava in apertura, ossia quello dell’estinzione di contenitore e contenuto, va scongiurato prendendola ad esempio per la fondazione di altre e migliori fabbriche, poiché, si sa, i sogni sono alla base della nostra vita e sono contagiosi. Tutto quanto finora descritto appartiene al mondo del dietro le quinte. Non si pensa, non si bada a cosa c’è dietro uno spettacolo, a cosa c’è dietro ogni forma di trasmissione della cultura. Con questo piccolo contributo si vuole (ri)dare pari dignità, forza e voce a tutto ciò che definisce la scena ma non è in scena.
La fabbrica dei sogni / Clemente, Susanna. - STAMPA. - (2015), pp. 121-126.
La fabbrica dei sogni
Clemente, Susanna
2015
Abstract
Cominciando dalla fine, i laboratori del Teatro dell’Opera di Roma oggi sono un’eccezione, una particolarità, una tradizione tutta italiana. In essi viene tramandata, di giorno in giorno, una conoscenza artistica ed artigiana unica nel suo genere e, purtroppo, come amaramente e quotidianamente ricordato dalla cronaca, sempre più a rischio di estinzione. Qui sono custoditi i principali strumenti per dipingere secondo il modo cosiddetto all’italiana, dall’alto, in piedi. La canna scenica, le spazzole e i pennelli dal manico lungo, i colori in polvere sapientemente miscelati e trattati. Così come nelle botteghe del Rinascimento vi è la possibilità di imparare facendo, in costante contatto con i maestri e con i colleghi, dando vita a continui scambi verticali e orizzontali. Qui, negli ultimi due secoli, sono state realizzate opere artistiche sul progetto di scenografi di fama internazionale, ma anche di architetti, costumisti, pittori e scultori. Qui è possibile fabbricare sogni perché non solo il tempo e la storia lo permettono ma anche lo spazio. Clemente Busiri Vici operò tra il 1929 e il 1933 una riconversione, un riadattamento, un riutilizzo, un re-cycle di grande forza, che tuttora risponde alla funzione, ma che la materia sta tradendo. La pianta libera del salone della Scenografia era in origine una grande copertura piana, una terrazza sul Circo Massimo, che l’ingegnere chiuse con una capriata in calcestruzzo armato, con una luce libera tale da consentire le lavorazioni dei grandi(osi) fondali per l’Opera, il più delle volte di centinaia e centinaia di metri quadrati d’estensione. Lo studio della luce naturale e la presenza di una passerella sospesa permettono agli artisti di controllare costantemente i risultati del loro lavoro. Lo spazio unico in tutte le sue accezioni, tipico anche degli altri piani dell’edificio, fino alle fondazioni, sul Mitreo del Circo Massimo, ha notevolmente influenzato le relazioni e le produzioni. La contemporaneità delle operazioni e la compresenza delle specialità hanno infatti notevolmente accelerato la fabbrica. L’incontro con l’antico non è stato motivo di indecisione, incertezza e blocco, come accade sempre più spesso. Il centro storico, il cuore di Roma non è inviolabile ma vivo, perché l’utilizzo lo mantiene tale. Migliaia di turisti ogni anno rimangono affascinati dalla visita di un pezzo di città che non è museo di rovine ma rischia di divenire una rovina di un museo. Abbiamo bisogno oggi e in futuro di spazi come questo, che rappresentino un’innovazione formale e strutturale, che sia tuttavia continua nel tempo. La materia non può e non deve essere d’ostacolo, essa deve tradire l’opera secondo l’accezione latina del termine, ossia trasportarla, essere veicolo, occasione per presentarsi sotto vesti nuove, riciclarsi appunto. L’edificio dei laboratori del Teatro dell’Opera di Roma dovrebbe poter approdare al futuro mantenendo la sua vocazione di fucina di idee. L’evoluzione delle necessità d’uso, e, conseguentemente, degli spazi e della materia, dovrebbe poter continuare indisturbata il suo corso. Una processualità che non andrebbe interrotta, in cui architettura e scenografia sono scambievolmente e reciprocamente contenitore e contenuto, ideazione e materia, entrambe forme di produzione nella fabbrica dei sogni. Portare nel futuro una fabbrica come questa è un’occasione duplice, poiché è in se stessa simbolo di cultura ma ne è produttrice al tempo stesso. Il rischio di cui si accennava in apertura, ossia quello dell’estinzione di contenitore e contenuto, va scongiurato prendendola ad esempio per la fondazione di altre e migliori fabbriche, poiché, si sa, i sogni sono alla base della nostra vita e sono contagiosi. Tutto quanto finora descritto appartiene al mondo del dietro le quinte. Non si pensa, non si bada a cosa c’è dietro uno spettacolo, a cosa c’è dietro ogni forma di trasmissione della cultura. Con questo piccolo contributo si vuole (ri)dare pari dignità, forza e voce a tutto ciò che definisce la scena ma non è in scena.File | Dimensione | Formato | |
---|---|---|---|
Clemente_fabbrica-sogni_2015.pdf
solo gestori archivio
Tipologia:
Versione editoriale (versione pubblicata con il layout dell'editore)
Licenza:
Tutti i diritti riservati (All rights reserved)
Dimensione
2.69 MB
Formato
Adobe PDF
|
2.69 MB | Adobe PDF | Contatta l'autore |
I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.