Il Trattato di Lisbona, in effetti, anche sotto il profilo delle politiche dell’Unione nel settore dell’energia, ha rappresentato un salto di qualità in quanto con l’art. 194 TFUE introduce una disciplina della politica energetica europea. Il riconoscimento della competenza energetica ai sensi dell’art. 194 TFUE e l’esplicitazione della natura concorrente della stessa, ai sensi dell’art. 4 lett. I) TFUE, ha contribuito, da un lato, a rafforzare l’azione dell’Unione nella disciplina dell’energia e, dall’altro, ha chiarito la ripartizione delle competenze tra l’Unione e gli Stati membri. Tuttavia, se per un verso riconosce una serie di obiettivi che, per essere raggiunti, necessitano di una effettiva integrazione del mercato, per un altro, sembra rafforzare i diritti degli Stati membri a definire autonomamente aspetti cruciali come quello della sicurezza degli approvvigionamenti. Un elemento, quest’ultimo che può minare in modo rilevante i fondamenti di una politica energetica comune nello spazio europeo . Di contro, il riconoscimento della natura concorrente della competenza energetica non preclude la possibilità di estendere la competenza dell’Unione alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia sugli accordi internazionali conclusi dall’Unione. Questa dialettica tra la costruzione di un mercato unico, integrato a livello europeo, improntato a principi concorrenziali e di liberalizzazione, da un lato, e una disciplina con carattere finalistico e interventistico, alimentata soprattutto degli Stati membri, intesa, viceversa, prevalentemente a garantire la sicurezza degli approvvigionamenti, caratterizza il modello europeo di regolazione dei mercati dell’energia e ne alimenta talune contraddizioni . Del resto una simile caratteristica dei mercati energetici appare abbastanza scontata se si guarda al diritto originario dei trattati e nasce dal carattere strategico della produzione di energia, della sua trasmissione e in generale di tutta la filiera. Non è difficile constatare come gli Stati abbiano sempre esercitato in materia un ruolo diretto, da “Stato imprenditore” o, comunque, particolarmente forte (basti pensare al ruolo assegnato allo Stato dall’art. 43 della Costituzione italiana). Ė sufficiente solo ricordare che in Italia la nazionalizzazione dell’energia elettrica, cioè un’iniziativa del tutto antitetica ad una forma di mercato concorrenziale, è stata realizzata dopo il Trattato di Roma del 1957, e pure in presenza di due Comunità dedicate espressamente a fonti di energia (CECA ed EURATOM). Solo a partire dall’Atto Unico Europeo e dalla spinta verso un mercato davvero unitario, vi sono state prima una serie di iniziative verso la realizzazione di un vero mercato dell’energia (cfr. il documento della Commissione del maggio 1998 “Energia in Europa”) e una crescente attenzione della Comunità europea intesa a favorire la competitività in tali settori. La situazione attuale è quella rappresentata nei numerosi “considerando” delle direttive del 2009 e prima nelle “posizioni comuni” del Consiglio e, prima ancora, nella Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo del 2007. In sostanza le direttive del 2003, pur se innovative e foriere di competitività hanno dimostrato lacune o comunque vi sono stati notevoli ritardi e incertezze nella loro attuazione. A questo ed altro si è ritenuto di porre rimedio in tutto o in parte attraverso un robusto pacchetto di atti normativi: la direttiva 2009/72/CE relativa a norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica e che abroga la direttiva 2003/54/CE; la direttiva 2009/73/CE relativa a norme comuni per il mercato interno del gas naturale e che abroga la direttiva 2003/55/CE; il regolamento (CE) n. 713/2009 che istituisce un’Agenzia per la cooperazione tra i regolatori nazionali dell’energia; il regolamento (CE) n. 715/2009 relativo alle condizioni di accesso alle reti di trasporto del gas naturale e che abroga il regolamento (CE) n. 1775/2005. In questo nuovo modello di regolazione adottato dal legislatore europeo e da quello nazionale la disciplina delle reti di trasporto e delle altre infrastrutture occupa un posto centrale, ma in realtà ciò era evidente fin dall’avvio del processo di liberalizzazione dei mercati dell’energia, nella seconda metà degli anni novanta del secolo scorso . Gli obiettivi di fondo più o meno consapevolmente sottesi alle norme sulle infrastrutture energetiche sono sempre stati due: promuovere lo sviluppo e la modernizzazione delle stesse, così da realizzare un mercato dell’energia integrato a livello europeo e da garantire la sicurezza degli approvvigionamenti; aprire le reti e le altre infrastrutture all’accesso di tutti gli operatori, per consentire un’effettiva competizione nella produzione e nella vendita di energia elettrica e di gas naturale. Questi due obiettivi fondamentali sono stati perseguiti sottoponendo l’attività inerente alla gestione delle infrastrutture a vincoli regolatori via via più intensi e stringenti, con una forma persino di “ubris” regolatoria che ha limitato in misura sempre crescente la libertà di impresa degli operatori interessati. Il rafforzamento della regolazione è stato particolarmente consistente per quanto attiene alle reti di trasporto, che il legislatore europeo considera evidentemente la spina dorsale del sistema energetico e il veicolo fondamentale per l’integrazione dei diversi mercati nazionali (prima in mercati “regionali” e poi) in un unico mercato europeo. È per le reti di trasporto che si ritrovano, nelle due direttive e nei tre regolamenti che nel loro insieme costituiscono il Terzo Pacchetto, le disposizioni più innovative, che esprimono chiaramente la scelta di sottoporre ad una regolazione e ad un controllo pubblici estremamente penetranti le decisioni fondamentali dei gestori di tali infrastrutture – e anche, com’è opportuno aggiungere, la scelta di attrarre a livello europeo una parte non lieve di tale regolazione e controllo. Appare evidente, alla luce di tali disposizioni e di quelle nazionali che le hanno recepite, che il modello di regolazione oggi adottato dall’ordinamento europeo relativamente alle infrastrutture energetiche di trasporto è di tipo schiettamente finalistico: ben lungi dal limitarsi a fissare le condizioni per lo svolgimento delle relative attività d’impresa, l’ordinamento individua i fini pubblici a cui le medesime attività devono conformarsi e ne persegue il rispetto da parte delle imprese sia attraverso meccanismi di incentivazione sia mediante prescrizioni riconducibili al canone del “command and control”. Al fine di meglio comprendere le caratteristiche della disciplina italiana di attuazione delle direttive di terza generazione è bene, tuttavia, ponendola in correlazione con i principali elementi di novità presenti in esse.

La regolazione dei mercati energetici in Italia dopo il Terzo Pacchetto / Miccu', Roberto. - STAMPA. - (2014), pp. 141-174.

La regolazione dei mercati energetici in Italia dopo il Terzo Pacchetto

MICCU', Roberto
2014

Abstract

Il Trattato di Lisbona, in effetti, anche sotto il profilo delle politiche dell’Unione nel settore dell’energia, ha rappresentato un salto di qualità in quanto con l’art. 194 TFUE introduce una disciplina della politica energetica europea. Il riconoscimento della competenza energetica ai sensi dell’art. 194 TFUE e l’esplicitazione della natura concorrente della stessa, ai sensi dell’art. 4 lett. I) TFUE, ha contribuito, da un lato, a rafforzare l’azione dell’Unione nella disciplina dell’energia e, dall’altro, ha chiarito la ripartizione delle competenze tra l’Unione e gli Stati membri. Tuttavia, se per un verso riconosce una serie di obiettivi che, per essere raggiunti, necessitano di una effettiva integrazione del mercato, per un altro, sembra rafforzare i diritti degli Stati membri a definire autonomamente aspetti cruciali come quello della sicurezza degli approvvigionamenti. Un elemento, quest’ultimo che può minare in modo rilevante i fondamenti di una politica energetica comune nello spazio europeo . Di contro, il riconoscimento della natura concorrente della competenza energetica non preclude la possibilità di estendere la competenza dell’Unione alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia sugli accordi internazionali conclusi dall’Unione. Questa dialettica tra la costruzione di un mercato unico, integrato a livello europeo, improntato a principi concorrenziali e di liberalizzazione, da un lato, e una disciplina con carattere finalistico e interventistico, alimentata soprattutto degli Stati membri, intesa, viceversa, prevalentemente a garantire la sicurezza degli approvvigionamenti, caratterizza il modello europeo di regolazione dei mercati dell’energia e ne alimenta talune contraddizioni . Del resto una simile caratteristica dei mercati energetici appare abbastanza scontata se si guarda al diritto originario dei trattati e nasce dal carattere strategico della produzione di energia, della sua trasmissione e in generale di tutta la filiera. Non è difficile constatare come gli Stati abbiano sempre esercitato in materia un ruolo diretto, da “Stato imprenditore” o, comunque, particolarmente forte (basti pensare al ruolo assegnato allo Stato dall’art. 43 della Costituzione italiana). Ė sufficiente solo ricordare che in Italia la nazionalizzazione dell’energia elettrica, cioè un’iniziativa del tutto antitetica ad una forma di mercato concorrenziale, è stata realizzata dopo il Trattato di Roma del 1957, e pure in presenza di due Comunità dedicate espressamente a fonti di energia (CECA ed EURATOM). Solo a partire dall’Atto Unico Europeo e dalla spinta verso un mercato davvero unitario, vi sono state prima una serie di iniziative verso la realizzazione di un vero mercato dell’energia (cfr. il documento della Commissione del maggio 1998 “Energia in Europa”) e una crescente attenzione della Comunità europea intesa a favorire la competitività in tali settori. La situazione attuale è quella rappresentata nei numerosi “considerando” delle direttive del 2009 e prima nelle “posizioni comuni” del Consiglio e, prima ancora, nella Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo del 2007. In sostanza le direttive del 2003, pur se innovative e foriere di competitività hanno dimostrato lacune o comunque vi sono stati notevoli ritardi e incertezze nella loro attuazione. A questo ed altro si è ritenuto di porre rimedio in tutto o in parte attraverso un robusto pacchetto di atti normativi: la direttiva 2009/72/CE relativa a norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica e che abroga la direttiva 2003/54/CE; la direttiva 2009/73/CE relativa a norme comuni per il mercato interno del gas naturale e che abroga la direttiva 2003/55/CE; il regolamento (CE) n. 713/2009 che istituisce un’Agenzia per la cooperazione tra i regolatori nazionali dell’energia; il regolamento (CE) n. 715/2009 relativo alle condizioni di accesso alle reti di trasporto del gas naturale e che abroga il regolamento (CE) n. 1775/2005. In questo nuovo modello di regolazione adottato dal legislatore europeo e da quello nazionale la disciplina delle reti di trasporto e delle altre infrastrutture occupa un posto centrale, ma in realtà ciò era evidente fin dall’avvio del processo di liberalizzazione dei mercati dell’energia, nella seconda metà degli anni novanta del secolo scorso . Gli obiettivi di fondo più o meno consapevolmente sottesi alle norme sulle infrastrutture energetiche sono sempre stati due: promuovere lo sviluppo e la modernizzazione delle stesse, così da realizzare un mercato dell’energia integrato a livello europeo e da garantire la sicurezza degli approvvigionamenti; aprire le reti e le altre infrastrutture all’accesso di tutti gli operatori, per consentire un’effettiva competizione nella produzione e nella vendita di energia elettrica e di gas naturale. Questi due obiettivi fondamentali sono stati perseguiti sottoponendo l’attività inerente alla gestione delle infrastrutture a vincoli regolatori via via più intensi e stringenti, con una forma persino di “ubris” regolatoria che ha limitato in misura sempre crescente la libertà di impresa degli operatori interessati. Il rafforzamento della regolazione è stato particolarmente consistente per quanto attiene alle reti di trasporto, che il legislatore europeo considera evidentemente la spina dorsale del sistema energetico e il veicolo fondamentale per l’integrazione dei diversi mercati nazionali (prima in mercati “regionali” e poi) in un unico mercato europeo. È per le reti di trasporto che si ritrovano, nelle due direttive e nei tre regolamenti che nel loro insieme costituiscono il Terzo Pacchetto, le disposizioni più innovative, che esprimono chiaramente la scelta di sottoporre ad una regolazione e ad un controllo pubblici estremamente penetranti le decisioni fondamentali dei gestori di tali infrastrutture – e anche, com’è opportuno aggiungere, la scelta di attrarre a livello europeo una parte non lieve di tale regolazione e controllo. Appare evidente, alla luce di tali disposizioni e di quelle nazionali che le hanno recepite, che il modello di regolazione oggi adottato dall’ordinamento europeo relativamente alle infrastrutture energetiche di trasporto è di tipo schiettamente finalistico: ben lungi dal limitarsi a fissare le condizioni per lo svolgimento delle relative attività d’impresa, l’ordinamento individua i fini pubblici a cui le medesime attività devono conformarsi e ne persegue il rispetto da parte delle imprese sia attraverso meccanismi di incentivazione sia mediante prescrizioni riconducibili al canone del “command and control”. Al fine di meglio comprendere le caratteristiche della disciplina italiana di attuazione delle direttive di terza generazione è bene, tuttavia, ponendola in correlazione con i principali elementi di novità presenti in esse.
2014
El Mercado Europeo de la Energia Despues del Terçer Paquete Legislativo
978849045
Diritto dell'energia, Regolazione, Costituzione economica, Integrazione europea, Mercato unico
02 Pubblicazione su volume::02a Capitolo o Articolo
La regolazione dei mercati energetici in Italia dopo il Terzo Pacchetto / Miccu', Roberto. - STAMPA. - (2014), pp. 141-174.
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