Nel volume si sono ripercorsi i concetti di demanio, patrimonio indisponibile e patrimonio. Si sono richiamate le origini della nozione moderna di demanio, attingendo alla disciplina del Code Napoléon e alle impostazioni della dottrina francese che su quel testo si è esercitata. Della dottrina francese, vista l’influenza che ha avuto sulla nostra cultura in materia, si sono seguiti anche gli sviluppi più recenti. Sono poi state illustrate anche alcune significative nozioni assimilabili a quelle di bene pubblico inteso come bene aperto alla fruizione pubblica che, nello stesso torno di tempo, venivano elaborate nei paesi di common law. Ampio spazio è dedicato ai percorsi della dottrina nazionale, a cominciare dall’impostazione di Santi Romano che, con il definitivo superamento delle tesi che riconnettevano la proprietà pubblica alla sovranità, costituirà il punto di riferimento per tutti gli sviluppi successivi. Ciò è apparso necessario per comprendere le scaturigini di quei concetti e per verificare anche la correttezza di alcuni recenti orientamenti della dottrina e della giurisprudenza, che riportano tralaticiamente espressioni linguistiche il cui uso non pare sempre tecnicamente sorvegliato. Il filo dell’analisi storica si è dipanato con l’esame della disciplina del codice civile del 1942. Ci si è soffermato in particolare sulle critiche della dottrina mosse alle tassonomie e ai regimi giuridici dei beni e sulle proposte di ricostruzione secondo diversi ordini nozionali, che hanno tenuto conto anche della Costituzione repubblicana, nel frattempo entrata in vigore. Si è dedicato, inoltre, largo spazio all’analisi della giurisprudenza che, in adesione ai suggerimenti della dottrina, ha delineato un regime sufficientemente compiuto delle nozioni di demanio e di patrimonio indisponibile, sulla base delle disposizioni del codice civile vigente. Il ‘sistema’ codicistico, però, è stato ancor più radicalmente messo in discussione dagli importanti cambiamenti che si sono avuti dalla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, nell’assetto generale della normativa di origine europea in materia di rapporti economici e nelle leggi speciali che hanno inciso direttamente sulla disciplina dei beni pubblici e degli enti pubblici. A seguito dei processi di privatizzazione degli enti pubblici con i rispettivi beni e di liberalizzazione dei mercati, la disciplina codicistica è stata sempre più marginalizzata. L’alienazione a privati o a soggetti giuridici che hanno veste di società commerciali (ancorché rimaste sotto il controllo pubblico) ha comportato l’estensione ai rispettivi beni delle regole di diritto comune. D’altro canto, le discipline del mercato e della concorrenza hanno comportato una diversa accezione di bene di interesse generale e un conseguente regime giuridico. Sono emerse nuove fattispecie di beni pubblici, considerate tali solo in senso oggettivo, cioè per la funzione che i beni stessi svolgono nei processi produttivi, piuttosto che per il profilo della loro imputazione a soggetti pubblici. E’ in questo quadro che si coglie il senso della disciplina di peculiari categorie di beni come le reti necessarie alla prestazione dei servizi pubblici e gli ‘attivi’ di interesse strategico per lo Stato, individuati nella nuova disciplina del c.d. golden power. Sono beni gravati da un vincolo di destinazione di nuovo contenuto che non presuppone tanto l’appartenenza pubblica, ma solo una connessione stretta con il servizio, nel rispetto delle regole di mercato. Il proprietario della rete perde il potere di godere e disporre in modo esclusivo della stessa che è funzionalizzata alla prestazione del servizio pubblico o alla garanzia dell’interesse strategico dello Stato. La proprietà resta semmai come titolo per giustificare la remunerazione dell’uso del bene quando deve essere messo coattivamente a disposizione di imprese terze. In ogni caso, la tendenza di fondo è quella di rendere ogni specie di bene pubblico una cosa di rilievo essenzialmente patrimoniale, inserita nel circuito dello scambio e soggetta alle regole di diritto comune. Il servizio pubblico non è più garantito dalla proprietà pubblica del bene strumentale. In tale orizzonte, hanno perso di rilievo i rapporti tra i beni e la collettività. Gli usi pubblici, come proiezione di esigenze non strettamente economiche degli individui e delle collettività, recedono: i protagonisti di questo nuovo scenario sono le imprese che svolgono attività economica in regime di concorrenza e i cui beni sono cespiti aziendali. Non si danno relazioni giuridicamente rilevanti tra beni, ancorché strumentali alla prestazione di servizi pubblici, e le collettività cui quei servizi sono destinati. Vi sono controtendenze in alcune legislazioni nazionali, come ad esempio quella in materia di federalismo demaniale, dove riemerge il nesso bene – territorio – collettività di riferimento; ma si tratta episodi marginali. Eppure l’esigenza di recuperare un autonomo rilievo giuridico al rapporto tra alcune categorie di beni, quali specialmente le risorse naturali, ma anche i beni culturali, e le collettività interroga la sensibilità del giurista, che non può fermarsi innanzi alla constatazione dell’univocità e della unidimensionalità delle tendenze indicate. Nell’ultima parte della ricerca si tenta, appunto, di recuperare il significato profondo della connessione che può istituirsi tra utilità che alcune categorie di beni possono offrire e i diritti della persona. La giurisprudenza della Corte di cassazione testimonia autorevolmente questa profonda esigenza culturale, ma anche di impegno civile, avvalorando il dibattitto sui “beni comuni”. Vi sono indici normativi di rango costituzionale che possono indurre a elaborare criteri interpretativi dell’ordinamento vigente aperti a questa nuova prospettiva. Essa, tuttavia, si pone essenzialmente come tema de iure condendo. Si tratta di elaborare uno statuto peculiare di proprietà pubblica, non necessariamente demaniale, che deve intendersi come una forma di proprietà collettiva; cioè un tipo di appartenenza non escludente, di rilievo non patrimoniale, ma personale, che garantisce ai membri delle collettività accesso al bene e legittimazione a intervenire per la sua gestione e ad agire in sede giudiziaria per la tutela dei predetti diritti di accesso e di gestione. Nel testo sono discusse le molteplici criticità teoriche dell’argomento, tra cui non ultime le difficoltà di conciliare una simile concezione di appartenenza che, se pare avere un fondamento costituzionale interno, si pone in contrasto con il regime della proprietà, di carattere marcatamente individualistico, che trova oggi conforto negli orientamenti delle Corti sovranazionali come quella di Lussemburgo e internazionali come la Corte europea dei diritti dell’uomo. Infine, si propongono alcune linee di sistematizzazione di questa nuova nozione di appartenenza collettiva che si ritiene possa utilmente arricchire il quadro dei regimi giuridici dei beni in omaggio alle attuali esigenze di tutela della persona.

I beni pubblici. imperativi del mercato e diritti della collettività / Lalli, Angelo. - STAMPA. - 99:(2015).

I beni pubblici. imperativi del mercato e diritti della collettività

LALLI, ANGELO
2015

Abstract

Nel volume si sono ripercorsi i concetti di demanio, patrimonio indisponibile e patrimonio. Si sono richiamate le origini della nozione moderna di demanio, attingendo alla disciplina del Code Napoléon e alle impostazioni della dottrina francese che su quel testo si è esercitata. Della dottrina francese, vista l’influenza che ha avuto sulla nostra cultura in materia, si sono seguiti anche gli sviluppi più recenti. Sono poi state illustrate anche alcune significative nozioni assimilabili a quelle di bene pubblico inteso come bene aperto alla fruizione pubblica che, nello stesso torno di tempo, venivano elaborate nei paesi di common law. Ampio spazio è dedicato ai percorsi della dottrina nazionale, a cominciare dall’impostazione di Santi Romano che, con il definitivo superamento delle tesi che riconnettevano la proprietà pubblica alla sovranità, costituirà il punto di riferimento per tutti gli sviluppi successivi. Ciò è apparso necessario per comprendere le scaturigini di quei concetti e per verificare anche la correttezza di alcuni recenti orientamenti della dottrina e della giurisprudenza, che riportano tralaticiamente espressioni linguistiche il cui uso non pare sempre tecnicamente sorvegliato. Il filo dell’analisi storica si è dipanato con l’esame della disciplina del codice civile del 1942. Ci si è soffermato in particolare sulle critiche della dottrina mosse alle tassonomie e ai regimi giuridici dei beni e sulle proposte di ricostruzione secondo diversi ordini nozionali, che hanno tenuto conto anche della Costituzione repubblicana, nel frattempo entrata in vigore. Si è dedicato, inoltre, largo spazio all’analisi della giurisprudenza che, in adesione ai suggerimenti della dottrina, ha delineato un regime sufficientemente compiuto delle nozioni di demanio e di patrimonio indisponibile, sulla base delle disposizioni del codice civile vigente. Il ‘sistema’ codicistico, però, è stato ancor più radicalmente messo in discussione dagli importanti cambiamenti che si sono avuti dalla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, nell’assetto generale della normativa di origine europea in materia di rapporti economici e nelle leggi speciali che hanno inciso direttamente sulla disciplina dei beni pubblici e degli enti pubblici. A seguito dei processi di privatizzazione degli enti pubblici con i rispettivi beni e di liberalizzazione dei mercati, la disciplina codicistica è stata sempre più marginalizzata. L’alienazione a privati o a soggetti giuridici che hanno veste di società commerciali (ancorché rimaste sotto il controllo pubblico) ha comportato l’estensione ai rispettivi beni delle regole di diritto comune. D’altro canto, le discipline del mercato e della concorrenza hanno comportato una diversa accezione di bene di interesse generale e un conseguente regime giuridico. Sono emerse nuove fattispecie di beni pubblici, considerate tali solo in senso oggettivo, cioè per la funzione che i beni stessi svolgono nei processi produttivi, piuttosto che per il profilo della loro imputazione a soggetti pubblici. E’ in questo quadro che si coglie il senso della disciplina di peculiari categorie di beni come le reti necessarie alla prestazione dei servizi pubblici e gli ‘attivi’ di interesse strategico per lo Stato, individuati nella nuova disciplina del c.d. golden power. Sono beni gravati da un vincolo di destinazione di nuovo contenuto che non presuppone tanto l’appartenenza pubblica, ma solo una connessione stretta con il servizio, nel rispetto delle regole di mercato. Il proprietario della rete perde il potere di godere e disporre in modo esclusivo della stessa che è funzionalizzata alla prestazione del servizio pubblico o alla garanzia dell’interesse strategico dello Stato. La proprietà resta semmai come titolo per giustificare la remunerazione dell’uso del bene quando deve essere messo coattivamente a disposizione di imprese terze. In ogni caso, la tendenza di fondo è quella di rendere ogni specie di bene pubblico una cosa di rilievo essenzialmente patrimoniale, inserita nel circuito dello scambio e soggetta alle regole di diritto comune. Il servizio pubblico non è più garantito dalla proprietà pubblica del bene strumentale. In tale orizzonte, hanno perso di rilievo i rapporti tra i beni e la collettività. Gli usi pubblici, come proiezione di esigenze non strettamente economiche degli individui e delle collettività, recedono: i protagonisti di questo nuovo scenario sono le imprese che svolgono attività economica in regime di concorrenza e i cui beni sono cespiti aziendali. Non si danno relazioni giuridicamente rilevanti tra beni, ancorché strumentali alla prestazione di servizi pubblici, e le collettività cui quei servizi sono destinati. Vi sono controtendenze in alcune legislazioni nazionali, come ad esempio quella in materia di federalismo demaniale, dove riemerge il nesso bene – territorio – collettività di riferimento; ma si tratta episodi marginali. Eppure l’esigenza di recuperare un autonomo rilievo giuridico al rapporto tra alcune categorie di beni, quali specialmente le risorse naturali, ma anche i beni culturali, e le collettività interroga la sensibilità del giurista, che non può fermarsi innanzi alla constatazione dell’univocità e della unidimensionalità delle tendenze indicate. Nell’ultima parte della ricerca si tenta, appunto, di recuperare il significato profondo della connessione che può istituirsi tra utilità che alcune categorie di beni possono offrire e i diritti della persona. La giurisprudenza della Corte di cassazione testimonia autorevolmente questa profonda esigenza culturale, ma anche di impegno civile, avvalorando il dibattitto sui “beni comuni”. Vi sono indici normativi di rango costituzionale che possono indurre a elaborare criteri interpretativi dell’ordinamento vigente aperti a questa nuova prospettiva. Essa, tuttavia, si pone essenzialmente come tema de iure condendo. Si tratta di elaborare uno statuto peculiare di proprietà pubblica, non necessariamente demaniale, che deve intendersi come una forma di proprietà collettiva; cioè un tipo di appartenenza non escludente, di rilievo non patrimoniale, ma personale, che garantisce ai membri delle collettività accesso al bene e legittimazione a intervenire per la sua gestione e ad agire in sede giudiziaria per la tutela dei predetti diritti di accesso e di gestione. Nel testo sono discusse le molteplici criticità teoriche dell’argomento, tra cui non ultime le difficoltà di conciliare una simile concezione di appartenenza che, se pare avere un fondamento costituzionale interno, si pone in contrasto con il regime della proprietà, di carattere marcatamente individualistico, che trova oggi conforto negli orientamenti delle Corti sovranazionali come quella di Lussemburgo e internazionali come la Corte europea dei diritti dell’uomo. Infine, si propongono alcune linee di sistematizzazione di questa nuova nozione di appartenenza collettiva che si ritiene possa utilmente arricchire il quadro dei regimi giuridici dei beni in omaggio alle attuali esigenze di tutela della persona.
2015
978-88-243-2360-4
beni pubblici; diritti collettivi; beni comuni; reti; asset strategici
03 Monografia::03a Saggio, Trattato Scientifico
I beni pubblici. imperativi del mercato e diritti della collettività / Lalli, Angelo. - STAMPA. - 99:(2015).
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