In questi anni anche in Italia, come nel resto d’Europa, si è discusso, spesso aspramente e a volte a sproposito, sull’Islam. Tralasciando l’inutile quanto discriminatorio contributo di alcuni politici, giornalisti e leader religiosi, e dunque anche di una buona parte dell’opinione pubblica da questi influenzata, che ha guardato all’Islam (e ai musulmani) solo come a qualcosa di inevitabilmente violento, fanatico e colluso con il terrorismo, gran parte del dibattito più serio e istituzionale si è concentrata sulle relazioni tra Stato e Moschea. Detto in altri termini ci si è interrogati sulle leggi e le politiche adottate e da intraprendere dai diversi stati nei confronti della minoranza religiosa musulmana e sugli effetti, in termine d’integrazione, che queste hanno avuto o potrebbero avere. Come ben noto anche su questo versante, le relazioni Stato e Moschea, il nostro paese è tra i più arretrati nel contesto europeo non avendo ancora raggiunto una seppur minima intesa con le comunità musulmane presenti sul nostro territorio e non avendo, più in generale, una chiara ed efficace politica d’integrazione delle minoranze etniche e religiose che si sono formate in venti anni di tumultuosa immigrazione di massa. Gran parte del dibattito, tanto in Italia come in Europa, si è quindi concentrato su alcuni temi sensibili e molto divisivi: il velo, il ruolo e i diritti della donna, la concezione della famiglia, la costruzione delle moschee, la selezione degli imam e delle guide spirituali delle comunità islamiche, la regolamentazione della rappresentanza politico-religiosa dei musulmani (chi rappresenta chi), le questioni legate alla sicurezza derivante dalla minaccia del terrorismo jihadista (e sottolineo jihadista e non islamico). Ovviamente le differenti tradizioni, pratiche e leggi di derivazione islamica relativi a tutti questi aspetti pongono una sfida reale che necessita una risposta almeno a livello statale se non addirittura sovranazionale, europeo. E soprattutto richiede stati in cui la certezza del diritto, la democrazia, la laicità e la capacità d’integrazione siano ben radicati e solidi. Purtroppo in Italia non sempre queste quattro condizioni essenziali si realizzano e ciò spiega il ritardo con cui nel nostro paese (non) si affrontano le questioni dei diritti (e dei doveri) delle minoranze religiose, in particolare di quella musulmana. Mi permetto di richiamare un solo esempio, quello relativo alla laicità e alla libertà religiosa, per spiegare il ritardo e le omissioni dello Stato italiano. Infatti, a ben vedere, la laicità non è esplicitamente riconosciuta e disciplinata nella nostra Costituzione vigente. Ed anzi, proprio il tentativo di introdurre la nozione di laicità nei progetti di legge sulla libertà religiosa, in discussione da più di un ventennio nel Parlamento italiano, ha costituito una delle ragioni di dissenso a livello politico ed ecclesiale contribuendo alla mancata conclusione dei diversi iter parlamentari. Il risultato è che ancora oggi molta parte dei rapporti con le minoranze religiose vengono regolamentati da una legislazione elaborata durante il fascismo, ovvero dalla legge “sui culti ammessi” del 1929. Tuttavia, tornando al tema dell’Islam in Italia e per non cadere nel solito discorso pessimista e sottilmente denigratorio sul nostro paese, va detto che se il riconoscimento giuridico e istituzionale della religione islamica non è andato avanti, qualche significativo progresso si è registrato invece sul piano del suo riconoscimento “di fatto” all’interno della società civile italiana (includendo in essa anche gli enti locali e la magistratura) che è sembrata più ricettiva ed efficace delle sue istituzioni politiche centrali. Insomma abbiamo assistito in questi anni, a fronte dell’incapacità e dell’immobilismo istituzionale dello Stato e della politica, ad una sorta di integrazione “sociale”, silenziosa, poco visibile e realizzata dal “basso”, dell’Islam. E questo è l’oggetto di cui tratta questo volume. Nella sua stesura sono partito da una semplice constatazione: poca o nessuna attenzione è stata data in questi anni ad aspetti meno polemici, complessi o divisivi, che sono però egualmente rilevanti per la vita quotidiana dei musulmani in Europa e che rappresentano, o meglio, potrebbero, rappresentare altrettanti momenti di integrazione, reale, materiale e, appunto, “dal basso”. Per questo ho scelto di analizzare, sempre con la doppia ottica europea ed italiana, alcuni ambiti sociali come quelli della scuola, del lavoro, dell’alimentazione, della sanità, dell’assistenza spirituale, fino ad arrivare alle questioni legate ai funerali e ai cimiteri, dove qualche passo avanti, sia pure tra mille difficoltà e incertezze, è stato fatto. Con questo non voglio affermare che in questi ambiti si sono risolte tutte le questioni poste dalla nuova presenza musulmana ma quanto meno che si è discusso in modo intelligente e si è presa coscienza che siamo diventati una società multiculturale e che questo implica un pluralismo religioso che va riconosciuto, tutelato e salvaguardato. Nei fatti, nel sociale, si è insomma realizzato uno strisciante processo di federalismo delle identità, religiose ma non solo, ben più importante di quel federalismo politico-istituzionale-fiscale di cui si è discusso sterilmente, visti i risultati, per oltre un decennio. Certo, molto rimane da fare, anche e soprattutto nel nostro paese, ma in queste pagine ho voluto evidenziare come a volte le società (anche quella italiana) si sono dimostrate più aperte e tolleranti, in definitiva più “laiche”, dei propri governanti e di parte delle proprie istituzioni.
Islam quotidiano / Gritti, Roberto. - STAMPA. - (2014).
Islam quotidiano
GRITTI, Roberto
2014
Abstract
In questi anni anche in Italia, come nel resto d’Europa, si è discusso, spesso aspramente e a volte a sproposito, sull’Islam. Tralasciando l’inutile quanto discriminatorio contributo di alcuni politici, giornalisti e leader religiosi, e dunque anche di una buona parte dell’opinione pubblica da questi influenzata, che ha guardato all’Islam (e ai musulmani) solo come a qualcosa di inevitabilmente violento, fanatico e colluso con il terrorismo, gran parte del dibattito più serio e istituzionale si è concentrata sulle relazioni tra Stato e Moschea. Detto in altri termini ci si è interrogati sulle leggi e le politiche adottate e da intraprendere dai diversi stati nei confronti della minoranza religiosa musulmana e sugli effetti, in termine d’integrazione, che queste hanno avuto o potrebbero avere. Come ben noto anche su questo versante, le relazioni Stato e Moschea, il nostro paese è tra i più arretrati nel contesto europeo non avendo ancora raggiunto una seppur minima intesa con le comunità musulmane presenti sul nostro territorio e non avendo, più in generale, una chiara ed efficace politica d’integrazione delle minoranze etniche e religiose che si sono formate in venti anni di tumultuosa immigrazione di massa. Gran parte del dibattito, tanto in Italia come in Europa, si è quindi concentrato su alcuni temi sensibili e molto divisivi: il velo, il ruolo e i diritti della donna, la concezione della famiglia, la costruzione delle moschee, la selezione degli imam e delle guide spirituali delle comunità islamiche, la regolamentazione della rappresentanza politico-religiosa dei musulmani (chi rappresenta chi), le questioni legate alla sicurezza derivante dalla minaccia del terrorismo jihadista (e sottolineo jihadista e non islamico). Ovviamente le differenti tradizioni, pratiche e leggi di derivazione islamica relativi a tutti questi aspetti pongono una sfida reale che necessita una risposta almeno a livello statale se non addirittura sovranazionale, europeo. E soprattutto richiede stati in cui la certezza del diritto, la democrazia, la laicità e la capacità d’integrazione siano ben radicati e solidi. Purtroppo in Italia non sempre queste quattro condizioni essenziali si realizzano e ciò spiega il ritardo con cui nel nostro paese (non) si affrontano le questioni dei diritti (e dei doveri) delle minoranze religiose, in particolare di quella musulmana. Mi permetto di richiamare un solo esempio, quello relativo alla laicità e alla libertà religiosa, per spiegare il ritardo e le omissioni dello Stato italiano. Infatti, a ben vedere, la laicità non è esplicitamente riconosciuta e disciplinata nella nostra Costituzione vigente. Ed anzi, proprio il tentativo di introdurre la nozione di laicità nei progetti di legge sulla libertà religiosa, in discussione da più di un ventennio nel Parlamento italiano, ha costituito una delle ragioni di dissenso a livello politico ed ecclesiale contribuendo alla mancata conclusione dei diversi iter parlamentari. Il risultato è che ancora oggi molta parte dei rapporti con le minoranze religiose vengono regolamentati da una legislazione elaborata durante il fascismo, ovvero dalla legge “sui culti ammessi” del 1929. Tuttavia, tornando al tema dell’Islam in Italia e per non cadere nel solito discorso pessimista e sottilmente denigratorio sul nostro paese, va detto che se il riconoscimento giuridico e istituzionale della religione islamica non è andato avanti, qualche significativo progresso si è registrato invece sul piano del suo riconoscimento “di fatto” all’interno della società civile italiana (includendo in essa anche gli enti locali e la magistratura) che è sembrata più ricettiva ed efficace delle sue istituzioni politiche centrali. Insomma abbiamo assistito in questi anni, a fronte dell’incapacità e dell’immobilismo istituzionale dello Stato e della politica, ad una sorta di integrazione “sociale”, silenziosa, poco visibile e realizzata dal “basso”, dell’Islam. E questo è l’oggetto di cui tratta questo volume. Nella sua stesura sono partito da una semplice constatazione: poca o nessuna attenzione è stata data in questi anni ad aspetti meno polemici, complessi o divisivi, che sono però egualmente rilevanti per la vita quotidiana dei musulmani in Europa e che rappresentano, o meglio, potrebbero, rappresentare altrettanti momenti di integrazione, reale, materiale e, appunto, “dal basso”. Per questo ho scelto di analizzare, sempre con la doppia ottica europea ed italiana, alcuni ambiti sociali come quelli della scuola, del lavoro, dell’alimentazione, della sanità, dell’assistenza spirituale, fino ad arrivare alle questioni legate ai funerali e ai cimiteri, dove qualche passo avanti, sia pure tra mille difficoltà e incertezze, è stato fatto. Con questo non voglio affermare che in questi ambiti si sono risolte tutte le questioni poste dalla nuova presenza musulmana ma quanto meno che si è discusso in modo intelligente e si è presa coscienza che siamo diventati una società multiculturale e che questo implica un pluralismo religioso che va riconosciuto, tutelato e salvaguardato. Nei fatti, nel sociale, si è insomma realizzato uno strisciante processo di federalismo delle identità, religiose ma non solo, ben più importante di quel federalismo politico-istituzionale-fiscale di cui si è discusso sterilmente, visti i risultati, per oltre un decennio. Certo, molto rimane da fare, anche e soprattutto nel nostro paese, ma in queste pagine ho voluto evidenziare come a volte le società (anche quella italiana) si sono dimostrate più aperte e tolleranti, in definitiva più “laiche”, dei propri governanti e di parte delle proprie istituzioni.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.