Oggetto del presente contributo è il ruolo del desiderio, e del desiderio di filosofia in particolare, nel pensiero di Pietro Abelardo, intendendo i termini ‘desiderio’ e ‘desiderare’ nella loro accezione moralmente positiva o al massimo neutra, corrispondenti nei testi a desiderium e desidero, ma anche ad anhelitus, amor, voluntas, zelus, fervor, aemulatio, cupiditas e verbi corrispondenti. L’ipotesi di lavoro qui soggiacente è che il concetto di desiderio come moto o affezione dell’animo giochi un ruolo strutturale nella costruzione teorica abelardiana. Un corollario di tale ipotesi è che il pensiero di Abelardo possa essere meglio compreso se si tiene presente la sua matrice contemplativa, ascetica e monastica, che accompagna, integra e bilancia quella aristotelica, scolastica e cittadina. La tesi principale che vorrei dimostrare è che quando Abelardo parla di desiderio di filosofia, anche in senso tecnico, e quando parla di desiderio del cielo o della visione di Dio, non intende parlare di cose sostanzialmente diverse: si tratta piuttosto di una diversità dipendente dal succedersi delle fasi della storia e dalla varietà delle tipologie umane. Le opere di Abelardo cui farò riferimento appartengono per la maggior parte al periodo centrale della produzione del Maestro Palatino, ossia alla seconda metà degli anni ’20 e alla prima degli anni ’30 del XII secolo, e sono la Historia calamitatum, il Sermo XXIX, il commento all’epistola ai Romani di Paolo, il Dialogo tra un filosofo, un ebreo e un cristiano, la Theologia chrisiana.
Il desiderio di filosofia nel pensiero filosofico e teologico di Pietro Abelardo / Valente, Luisa. - STAMPA. - (2014), pp. 185-206.
Il desiderio di filosofia nel pensiero filosofico e teologico di Pietro Abelardo
VALENTE, Luisa
2014
Abstract
Oggetto del presente contributo è il ruolo del desiderio, e del desiderio di filosofia in particolare, nel pensiero di Pietro Abelardo, intendendo i termini ‘desiderio’ e ‘desiderare’ nella loro accezione moralmente positiva o al massimo neutra, corrispondenti nei testi a desiderium e desidero, ma anche ad anhelitus, amor, voluntas, zelus, fervor, aemulatio, cupiditas e verbi corrispondenti. L’ipotesi di lavoro qui soggiacente è che il concetto di desiderio come moto o affezione dell’animo giochi un ruolo strutturale nella costruzione teorica abelardiana. Un corollario di tale ipotesi è che il pensiero di Abelardo possa essere meglio compreso se si tiene presente la sua matrice contemplativa, ascetica e monastica, che accompagna, integra e bilancia quella aristotelica, scolastica e cittadina. La tesi principale che vorrei dimostrare è che quando Abelardo parla di desiderio di filosofia, anche in senso tecnico, e quando parla di desiderio del cielo o della visione di Dio, non intende parlare di cose sostanzialmente diverse: si tratta piuttosto di una diversità dipendente dal succedersi delle fasi della storia e dalla varietà delle tipologie umane. Le opere di Abelardo cui farò riferimento appartengono per la maggior parte al periodo centrale della produzione del Maestro Palatino, ossia alla seconda metà degli anni ’20 e alla prima degli anni ’30 del XII secolo, e sono la Historia calamitatum, il Sermo XXIX, il commento all’epistola ai Romani di Paolo, il Dialogo tra un filosofo, un ebreo e un cristiano, la Theologia chrisiana.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.