Da più parti arrivano segnali di una proliferazione a macchia di leopardo di forme urbane e modi di abitare che parlano di un Mediterraneo in fuoriuscita dai confini geografici degli stati-nazione. Non si tratta del solito Mediterraneo letterario che ci portiamo dietro come una coperta di Linus, ma di un Mediterraneo a banda larga, spesso indigente e di necessità, molto concreto e reale che parassita e si appropria degli spazi vacanti e incerti delle città, talvolta, nei casi più avanzati di pseudo- o semiorganizzazione sociale, attraverso forme di enclavizzazioni dei territori, più spesso in modi dissimulati e puntiformi di pizzerie kebab, di tappeti stesi di fronte alle porte dei supermercati, di call center, di mercati spontanei dei cassonetti, di lavavetri ai semafori, di portapacchi all’uscita dell'Ikea, di benzinai notturni. Questo Mediterraneo di secondo o terzo tipo, che sta cambiando gradualmente i paesaggi e le relazioni urbane è dappertutto, non conosce distinzioni di luoghi tra centro e periferia e basta fare quattro passi in città per accorgersene. Oggi l’immagine delle città che abbiamo sotto gli occhi è quella di agglomerati densi, votati alla deroga, ad esclusione di quelle porzioni di territorio che sono vincolate e sorvegliate, nei fatti situazioni urbane al limite dell’imbarazzo e spesso della vivibilità. D’altronde qualsiasi modello ideale – esattamente come quello della città moderna – presuppone una qualche contropartita, come a dire che non ci può essere un luogo pulito e spazioso senza aver cercato preventivamente un altro luogo dove accumulare o rappattumare gli scarti. In tal caso, si potrebbe considerare l’ipotesi che il mediterraneo diffuso, refrattario a qualsiasi ipotesi di progetto condiviso, e oggi arrivato alla versione del dappertutto, non sia una scheggia impazzita, ma l’altra faccia della modernità, di quella modernità incompiuta dello sviluppo senza progresso e delle tribù occidentali con la quale da diversi anni facciamo i conti, non senza qualche imbarazzo.
Mediterranei dAPERTtutto / Criconia, Alessandra. - STAMPA. - (2007), pp. 126-132.
Mediterranei dAPERTtutto
CRICONIA, Alessandra
2007
Abstract
Da più parti arrivano segnali di una proliferazione a macchia di leopardo di forme urbane e modi di abitare che parlano di un Mediterraneo in fuoriuscita dai confini geografici degli stati-nazione. Non si tratta del solito Mediterraneo letterario che ci portiamo dietro come una coperta di Linus, ma di un Mediterraneo a banda larga, spesso indigente e di necessità, molto concreto e reale che parassita e si appropria degli spazi vacanti e incerti delle città, talvolta, nei casi più avanzati di pseudo- o semiorganizzazione sociale, attraverso forme di enclavizzazioni dei territori, più spesso in modi dissimulati e puntiformi di pizzerie kebab, di tappeti stesi di fronte alle porte dei supermercati, di call center, di mercati spontanei dei cassonetti, di lavavetri ai semafori, di portapacchi all’uscita dell'Ikea, di benzinai notturni. Questo Mediterraneo di secondo o terzo tipo, che sta cambiando gradualmente i paesaggi e le relazioni urbane è dappertutto, non conosce distinzioni di luoghi tra centro e periferia e basta fare quattro passi in città per accorgersene. Oggi l’immagine delle città che abbiamo sotto gli occhi è quella di agglomerati densi, votati alla deroga, ad esclusione di quelle porzioni di territorio che sono vincolate e sorvegliate, nei fatti situazioni urbane al limite dell’imbarazzo e spesso della vivibilità. D’altronde qualsiasi modello ideale – esattamente come quello della città moderna – presuppone una qualche contropartita, come a dire che non ci può essere un luogo pulito e spazioso senza aver cercato preventivamente un altro luogo dove accumulare o rappattumare gli scarti. In tal caso, si potrebbe considerare l’ipotesi che il mediterraneo diffuso, refrattario a qualsiasi ipotesi di progetto condiviso, e oggi arrivato alla versione del dappertutto, non sia una scheggia impazzita, ma l’altra faccia della modernità, di quella modernità incompiuta dello sviluppo senza progresso e delle tribù occidentali con la quale da diversi anni facciamo i conti, non senza qualche imbarazzo.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.