Gli ordinamenti giuridici conoscono un istituto tanto legale quanto legittimo che strumentalizza variamente la negazione della verità in funzione di determinati valori giuridici: si tratta della finzione giuridica. Eppure, ancora nel 1979, in un’autentica summa di storia e teoria della fictio iuris, sottolineava si sottolineava come, pur costituendo il problema del rapporto tra diritto e verità uno dei nodi centrali di tutto il pensiero giuridico contemporaneo, a ciò facesse da singolare riscontro “un certo declino dell'attenzione dei teorici del diritto per il problema delle finzioni giuridiche, non disgiunto da una malcelata ostilità” . In effetti il pensiero giuridico moderno, coerentemente ai presupposti dell'Aufklärung, pare aver relegato nel dominio dell'irrazionale, della retorica ogni forma di linguaggio metaforico . L'epoca delle grandi codificazioni segna, infatti, il progressivo affermarsi dell'“impero” della legge, di una fonte di produzione del diritto pressoché unica, di fronte alla quale le finzioni giuridiche, perlomeno quelle conosciute dal diritto romano e intermedio, sembrano segnare inevitabilmente il passo. Così, ancora fino a tempi recenti, anche negli autori maggiormente disposti ad affrontare questa problematica è dato riscontrare una certa diffidenza , se non, come si diceva, una aperta ostilità, che ha d'altronde illustri precedenti dal Crome al Bentham, dal Bülow al Cornil. Variamente definite come “ein Fehlgriff der Rechtsordnung” , “eine Bankerotterklärung der Wissenschaft” , un “pestilential Breath” , i più concordano nel giudicare le finzioni assolutamente, in principio, incompatibili con un moderno ordinamento giuridico, “anche se poi, a malincuore, riconosciute certe necessità di adattare il testo immobile della legge alle condizioni sempre mutevoli dell'ambiente sociale, qualcuno benignamente concede che per adempiere questo compito, gli interpreti continuano (di fatto) ad utilizzare abbastanza largamente l'espediente ipocrita della finzione” . Questo rapido aperçu delle posizioni dottrinali in argomento mostra una sorta di ipoteca "storico-destinale" che sembra pesare su ogni riflessione intorno alla fictio iuris, sia sotto un profilo storico-metodologico più generale sia con riguardo specifico alle trattazioni da parte dei singoli autori di singole problematiche. Ne è una indiretta conferma quanto è stato scritto sulla "controversia a distanza" tra due di coloro che possono essere considerati come i massimi teorici delle finzioni giuridiche: Hans Kelsen e Josef Esser. Ebbene, su questa controversia - che rappresenta uno snodo fondamentale nel tentativo di seguire i percorsi teorici per uno studio delle finzioni nel diritto pubblico -, si è detto: “Diese Kontroverse soll auf sich beruhen; sie ist wenig ergiebig und betrifft außerdem kein aktuelles Thema” . La realtà del diritto vivente smentisce, invece, questa conclusione e conferma viceversa che le finzioni giuridiche piuttosto che scomparire hanno cambiato natura e funzione. Come dimostrano alcune approfondite ricerche soprattutto nel campo del diritto civile (ma anche del diritto pubblico), esse si presentano oggi quale peculiare strumento della tecnica legislativa e come una forma particolare di rinvio (Verweisung). Da questo punto di vista, ancora esemplare risulta l’attenta analisi condotta da Josef Esser sul B.G.B. (il codice civile tedesco), ove l’autore mostra come dietro la veste linguistica unitaria si nasconda una sorprendente molteplicità di motivi propulsori e di sollecitazioni utilitaristiche. A fronte della persistenza delle finzioni nei moderni ordinamenti, non sembra, dunque, illegittimo chiedersi se un linguaggio prescrittivo, basato esclusivamente sulla voluntas del legislatore, sia in grado di soppiantare ogni residuo linguaggio metaforico , in particolare quello fondato sull'opinio (buona fede, equità) e se il momento topico possa essere del tutto sostituito con quello sistematico . Indagando più a fondo “si tratta poi di vedere se la finzione giuridica rappresenti esclusivamente un mezzo tecnico, più o meno comodo, del quale il diritto è comunque libero di sbarazzarsi attraverso uno sforzo di purificazione, frutto di semplice "buona volontà", o se invece esso inerisca profondamente, costitutivamente alla logica dell'esperienza giuridica” . Il mancato approfondimento di questo aspetto è all'origine, tra l'altro, di una grave illusione, chiaramente emersa nel dibattito metodologico tedesco d'inizio secolo: che le teorie giuridiche possano rappresentare la realtà come se il linguaggio dell'esperienza comune potesse realisticamente precisarla e descriverla . Inevitabilmente ciò conduce ad un ripensamento del rapporto che intercede tra le finzioni e l'intera realtà giuridica . Una realtà giuridica, occorre ribadirlo, ancora fortemente pervasa di finzioni: dal codice civile, ad esempio (artt. 1326 u.c., 1329, 1340, 1344, 1354, 1431, etc.), al recente codice di procedura penale (art. 511) , al diritto pubblico e, in particolare, amministrativo. Ve ne è abbastanza per giustificare un interesse generale per il tema, dimostrato del resto dall’importanza che esso occupa nella riflessione di due giuristi certamente diversi tra loro non solo per motivi generazionali, ma egualmente centrali per la scienza giuridica contemporanea: Hans Kelsen e Josef Esser. La centralità ai fini della trattazione di questi due autori è dettata anche da una loro valenza "idealtipica". Infatti, se il confronto con l'“opus perpetuum” kelseniano mostra un travaglio di pensiero che può considerarsi uno dei frutti migliori del pensiero giuridico della modernità , la riflessione che, a partire dallo scritto di abilitazione del 1940, Wert und Bedeutung der Rechtsfiktionen , ha condotto Esser sino ai suoi esiti "ermeneutici" più compiuti, appare una pietra di paragone in certa misura obbligata per valutare gli sviluppi del pensiero e dell'esperienza giuridica post-positivistica e post-kelseniana. Dal complesso di queste considerazioni si evince che le finzioni giuridiche sono state fino ad oggi oggetto di un costante interesse scientifico. Un interesse, è bene rilevarlo, che si è recentemente riacceso intorno all’argomento sia sotto il profilo metodologico sia nella forma di contributi all’analisi di singole figure . A tutt’oggi, però, pochi autori si sono occupati del problema con particolare riferimento al diritto pubblico e costituzionale. A fronte, comunque, della ricca letteratura tedesca in argomento va sottolineata l’assenza in Italia di uno studio sistematico e teoricamente consapevole delle figure di finzione presenti nel nostro ordinamento pubblicistico . Ciò, a dispetto di quanto rilevato da Giorgio Berti ancora di recente: «Per concepire e dare visibilità allo Stato di diritto, si è dovuto piegare al diritto, come insieme di strutture normative cresciute lungo la storia dei popoli, contenuti o materiali refrattari alla regola giuridica, come sono in realtà quelli della politica. Quanto meno si sono inventate regole giuridiche per fingere che la politica se ne lasciasse penetrare e condizionare. Il diritto pubblico è la celebrazione della finzione che avvolge i rapporti e il gioco delle parti nello spazio politico. Tutto il diritto è per vero finzione, se si coglie l’istante nel quale interviene la regola: questa infatti viene raccolta proprio quando le parti non sopporterebbero più il colloquio e l’una vorrebbe sopraffare l’altra. Le regole del contratto sono appunto l’immagine più appropriata del superamento del conflitto nascente. Nel diritto pubblico la finzione è ancora più pregna di senso, giacché la sopraffazione è la vocazione profonda della lotta politica e l’atteggiamento di chi vuole imporre ad altri le proprie scelte è assai più forte e decisivo, generalizzato e dovunque presente. Per questa ragione, il diritto pubblico è stato pensato sin dall’inizio come negazione di colloqui paritari o indifferenza ad essi, e si è finto che la volontà del più forte, teso a sopraffare i deboli e i sottoposti, acquistasse evidenza e si materializzasse attraverso immagini di pacificazione, che per la sua natura le sarebbero inappropriate. Ebbene, la mistificazione del diritto pubblico e dello Stato di diritto la si vede molto di più oggi che nel passato, giacché proprio oggi la forza di volontà o di sopraffazione del grande protagonista politico di un tempo va scomparendo o attenuandosi, diffondendosi tra troppi eredi» . Uno studio complessivo delle finzioni nell’ordinamento positivo dovrebbe analizzare esaurientemente la consistenza delle finzioni legali nel nostro ordinamento pubblicistico, verificare i motivi del loro uso e la loro conformità allo scopo; dovrebbe proporsi, inoltre, di cogliere i vantaggi e gli svantaggi delle formule normative fittive, rispetto ad altre formule alternative. Il chiarimento di questi aspetti potrebbe avere un effetto sull’interpretazione della legge e sulla soluzione di questioni controverse. L’obiettivo finale dovrebbe essere quello di giungere ad alcuni principi generali per una corretta applicazione delle finzioni nell’ordinamento pubblicistico, attesa l’impossibilità di una loro totale eliminazione. Rinviando ad altra sede per questa opera complessiva, in questo saggio si intende, più limitatamente, compiere un’operazione di ricognizione dello stato attuale della dottrina e operare una prima risistemazione delle singole figure di finzione nell’ordinamento giuspubblicistico . Ciò nonostante, sia al fine di comprendere le posizioni dei singoli nel quadro più generale della storia e della teoria della fictio iuris, sia al fine di coglierne la "misura" idealtipica per qualcuno di essi, è parso opportuno dedicare alcuni più ampi riferimenti.

Attualità delle finzioni nel diritto pubblico / Miccu', Roberto. - STAMPA. - Primo(2013), pp. 361-404.

Attualità delle finzioni nel diritto pubblico

MICCU', Roberto
2013

Abstract

Gli ordinamenti giuridici conoscono un istituto tanto legale quanto legittimo che strumentalizza variamente la negazione della verità in funzione di determinati valori giuridici: si tratta della finzione giuridica. Eppure, ancora nel 1979, in un’autentica summa di storia e teoria della fictio iuris, sottolineava si sottolineava come, pur costituendo il problema del rapporto tra diritto e verità uno dei nodi centrali di tutto il pensiero giuridico contemporaneo, a ciò facesse da singolare riscontro “un certo declino dell'attenzione dei teorici del diritto per il problema delle finzioni giuridiche, non disgiunto da una malcelata ostilità” . In effetti il pensiero giuridico moderno, coerentemente ai presupposti dell'Aufklärung, pare aver relegato nel dominio dell'irrazionale, della retorica ogni forma di linguaggio metaforico . L'epoca delle grandi codificazioni segna, infatti, il progressivo affermarsi dell'“impero” della legge, di una fonte di produzione del diritto pressoché unica, di fronte alla quale le finzioni giuridiche, perlomeno quelle conosciute dal diritto romano e intermedio, sembrano segnare inevitabilmente il passo. Così, ancora fino a tempi recenti, anche negli autori maggiormente disposti ad affrontare questa problematica è dato riscontrare una certa diffidenza , se non, come si diceva, una aperta ostilità, che ha d'altronde illustri precedenti dal Crome al Bentham, dal Bülow al Cornil. Variamente definite come “ein Fehlgriff der Rechtsordnung” , “eine Bankerotterklärung der Wissenschaft” , un “pestilential Breath” , i più concordano nel giudicare le finzioni assolutamente, in principio, incompatibili con un moderno ordinamento giuridico, “anche se poi, a malincuore, riconosciute certe necessità di adattare il testo immobile della legge alle condizioni sempre mutevoli dell'ambiente sociale, qualcuno benignamente concede che per adempiere questo compito, gli interpreti continuano (di fatto) ad utilizzare abbastanza largamente l'espediente ipocrita della finzione” . Questo rapido aperçu delle posizioni dottrinali in argomento mostra una sorta di ipoteca "storico-destinale" che sembra pesare su ogni riflessione intorno alla fictio iuris, sia sotto un profilo storico-metodologico più generale sia con riguardo specifico alle trattazioni da parte dei singoli autori di singole problematiche. Ne è una indiretta conferma quanto è stato scritto sulla "controversia a distanza" tra due di coloro che possono essere considerati come i massimi teorici delle finzioni giuridiche: Hans Kelsen e Josef Esser. Ebbene, su questa controversia - che rappresenta uno snodo fondamentale nel tentativo di seguire i percorsi teorici per uno studio delle finzioni nel diritto pubblico -, si è detto: “Diese Kontroverse soll auf sich beruhen; sie ist wenig ergiebig und betrifft außerdem kein aktuelles Thema” . La realtà del diritto vivente smentisce, invece, questa conclusione e conferma viceversa che le finzioni giuridiche piuttosto che scomparire hanno cambiato natura e funzione. Come dimostrano alcune approfondite ricerche soprattutto nel campo del diritto civile (ma anche del diritto pubblico), esse si presentano oggi quale peculiare strumento della tecnica legislativa e come una forma particolare di rinvio (Verweisung). Da questo punto di vista, ancora esemplare risulta l’attenta analisi condotta da Josef Esser sul B.G.B. (il codice civile tedesco), ove l’autore mostra come dietro la veste linguistica unitaria si nasconda una sorprendente molteplicità di motivi propulsori e di sollecitazioni utilitaristiche. A fronte della persistenza delle finzioni nei moderni ordinamenti, non sembra, dunque, illegittimo chiedersi se un linguaggio prescrittivo, basato esclusivamente sulla voluntas del legislatore, sia in grado di soppiantare ogni residuo linguaggio metaforico , in particolare quello fondato sull'opinio (buona fede, equità) e se il momento topico possa essere del tutto sostituito con quello sistematico . Indagando più a fondo “si tratta poi di vedere se la finzione giuridica rappresenti esclusivamente un mezzo tecnico, più o meno comodo, del quale il diritto è comunque libero di sbarazzarsi attraverso uno sforzo di purificazione, frutto di semplice "buona volontà", o se invece esso inerisca profondamente, costitutivamente alla logica dell'esperienza giuridica” . Il mancato approfondimento di questo aspetto è all'origine, tra l'altro, di una grave illusione, chiaramente emersa nel dibattito metodologico tedesco d'inizio secolo: che le teorie giuridiche possano rappresentare la realtà come se il linguaggio dell'esperienza comune potesse realisticamente precisarla e descriverla . Inevitabilmente ciò conduce ad un ripensamento del rapporto che intercede tra le finzioni e l'intera realtà giuridica . Una realtà giuridica, occorre ribadirlo, ancora fortemente pervasa di finzioni: dal codice civile, ad esempio (artt. 1326 u.c., 1329, 1340, 1344, 1354, 1431, etc.), al recente codice di procedura penale (art. 511) , al diritto pubblico e, in particolare, amministrativo. Ve ne è abbastanza per giustificare un interesse generale per il tema, dimostrato del resto dall’importanza che esso occupa nella riflessione di due giuristi certamente diversi tra loro non solo per motivi generazionali, ma egualmente centrali per la scienza giuridica contemporanea: Hans Kelsen e Josef Esser. La centralità ai fini della trattazione di questi due autori è dettata anche da una loro valenza "idealtipica". Infatti, se il confronto con l'“opus perpetuum” kelseniano mostra un travaglio di pensiero che può considerarsi uno dei frutti migliori del pensiero giuridico della modernità , la riflessione che, a partire dallo scritto di abilitazione del 1940, Wert und Bedeutung der Rechtsfiktionen , ha condotto Esser sino ai suoi esiti "ermeneutici" più compiuti, appare una pietra di paragone in certa misura obbligata per valutare gli sviluppi del pensiero e dell'esperienza giuridica post-positivistica e post-kelseniana. Dal complesso di queste considerazioni si evince che le finzioni giuridiche sono state fino ad oggi oggetto di un costante interesse scientifico. Un interesse, è bene rilevarlo, che si è recentemente riacceso intorno all’argomento sia sotto il profilo metodologico sia nella forma di contributi all’analisi di singole figure . A tutt’oggi, però, pochi autori si sono occupati del problema con particolare riferimento al diritto pubblico e costituzionale. A fronte, comunque, della ricca letteratura tedesca in argomento va sottolineata l’assenza in Italia di uno studio sistematico e teoricamente consapevole delle figure di finzione presenti nel nostro ordinamento pubblicistico . Ciò, a dispetto di quanto rilevato da Giorgio Berti ancora di recente: «Per concepire e dare visibilità allo Stato di diritto, si è dovuto piegare al diritto, come insieme di strutture normative cresciute lungo la storia dei popoli, contenuti o materiali refrattari alla regola giuridica, come sono in realtà quelli della politica. Quanto meno si sono inventate regole giuridiche per fingere che la politica se ne lasciasse penetrare e condizionare. Il diritto pubblico è la celebrazione della finzione che avvolge i rapporti e il gioco delle parti nello spazio politico. Tutto il diritto è per vero finzione, se si coglie l’istante nel quale interviene la regola: questa infatti viene raccolta proprio quando le parti non sopporterebbero più il colloquio e l’una vorrebbe sopraffare l’altra. Le regole del contratto sono appunto l’immagine più appropriata del superamento del conflitto nascente. Nel diritto pubblico la finzione è ancora più pregna di senso, giacché la sopraffazione è la vocazione profonda della lotta politica e l’atteggiamento di chi vuole imporre ad altri le proprie scelte è assai più forte e decisivo, generalizzato e dovunque presente. Per questa ragione, il diritto pubblico è stato pensato sin dall’inizio come negazione di colloqui paritari o indifferenza ad essi, e si è finto che la volontà del più forte, teso a sopraffare i deboli e i sottoposti, acquistasse evidenza e si materializzasse attraverso immagini di pacificazione, che per la sua natura le sarebbero inappropriate. Ebbene, la mistificazione del diritto pubblico e dello Stato di diritto la si vede molto di più oggi che nel passato, giacché proprio oggi la forza di volontà o di sopraffazione del grande protagonista politico di un tempo va scomparendo o attenuandosi, diffondendosi tra troppi eredi» . Uno studio complessivo delle finzioni nell’ordinamento positivo dovrebbe analizzare esaurientemente la consistenza delle finzioni legali nel nostro ordinamento pubblicistico, verificare i motivi del loro uso e la loro conformità allo scopo; dovrebbe proporsi, inoltre, di cogliere i vantaggi e gli svantaggi delle formule normative fittive, rispetto ad altre formule alternative. Il chiarimento di questi aspetti potrebbe avere un effetto sull’interpretazione della legge e sulla soluzione di questioni controverse. L’obiettivo finale dovrebbe essere quello di giungere ad alcuni principi generali per una corretta applicazione delle finzioni nell’ordinamento pubblicistico, attesa l’impossibilità di una loro totale eliminazione. Rinviando ad altra sede per questa opera complessiva, in questo saggio si intende, più limitatamente, compiere un’operazione di ricognizione dello stato attuale della dottrina e operare una prima risistemazione delle singole figure di finzione nell’ordinamento giuspubblicistico . Ciò nonostante, sia al fine di comprendere le posizioni dei singoli nel quadro più generale della storia e della teoria della fictio iuris, sia al fine di coglierne la "misura" idealtipica per qualcuno di essi, è parso opportuno dedicare alcuni più ampi riferimenti.
2013
Studi in onore di Claudio Rossano
978-88-243-2220-1
Finzioni giuridiche; Diritto e realtà; Dogmatica giuridica
02 Pubblicazione su volume::02a Capitolo o Articolo
Attualità delle finzioni nel diritto pubblico / Miccu', Roberto. - STAMPA. - Primo(2013), pp. 361-404.
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