Roman prisons were not used to punish criminals. Instead they served only to hold people awaiting trial or execution. The terrible detention conditions, the social stigma that it entailed as well as the anxiety about the outcome of the judgment exercised a strong emotional impact on prisoners. It was for all of them a moment suspended in time. But Christians imprisoned because of the “nomen” used to live that time with a particular spirit. For them, as for their co-religionists, that time could be an occasion of conversion or apostasy, glorious victory or bitter failure. This particular situation required that prisoners were never left alone. The ecclesiastical hierarchies as well as the communities took great care of their needs, both material and spiritual, but also exerted careful control in order to prevent dangerous drifts. Therefore, bonds between who was in and who was out became even stronger, and for all of them that time turned into a Kairos, "the appropriate time" to decide their fate.

Nel sistema giuridico romano il carcere non costituiva una pena in sé, essendo piuttosto il luogo in cui l’imputato veniva rinchiuso durante le fasi processuali o in attesa della condanna. Le condizioni terribili della detenzione antica, il discredito sociale che essa comportava e l’ansia per l’esito del giudizio esercitavano un forte impatto emotivo sui detenuti. Si trattava per tutti di un tempo sospeso. Ma i cristiani imprigionati per il nomen lo vivevano con spirito del tutto particolare. Per loro, come per i correligionari rimasti in libertà, quel tempo poteva costituire un’occasione di conversione o di abiura, di gloriosa vittoria o amaro fallimento. Proprio la delicatezza della situazione imponeva che questi specialissimi prigionieri non fossero mai lasciati soli. La comunità e le gerachie ecclesiastiche, da un lato, prodigarono ogni cura per sopperire alle loro necessità, sia materiali che spirituali, dall’altro esercitarono un attento controllo per arginare pericolose derive. Un legame fortissimo veniva in tal modo a stringersi fra chi era dentro e chi era fuori, mentre quel tempo si trasformava per tutti in un Kairos, “momento opportuno” per decidere della loro sorte eterna.

‘Et post paucos dies recipimur in carcere’. Il carcere come Kairos nell’era dei martiri / Zocca, Elena. - STAMPA. - (2015), pp. 21-45.

‘Et post paucos dies recipimur in carcere’. Il carcere come Kairos nell’era dei martiri

ZOCCA, Elena
2015

Abstract

Roman prisons were not used to punish criminals. Instead they served only to hold people awaiting trial or execution. The terrible detention conditions, the social stigma that it entailed as well as the anxiety about the outcome of the judgment exercised a strong emotional impact on prisoners. It was for all of them a moment suspended in time. But Christians imprisoned because of the “nomen” used to live that time with a particular spirit. For them, as for their co-religionists, that time could be an occasion of conversion or apostasy, glorious victory or bitter failure. This particular situation required that prisoners were never left alone. The ecclesiastical hierarchies as well as the communities took great care of their needs, both material and spiritual, but also exerted careful control in order to prevent dangerous drifts. Therefore, bonds between who was in and who was out became even stronger, and for all of them that time turned into a Kairos, "the appropriate time" to decide their fate.
2015
La religione dei prigionieri
9788883147753
Nel sistema giuridico romano il carcere non costituiva una pena in sé, essendo piuttosto il luogo in cui l’imputato veniva rinchiuso durante le fasi processuali o in attesa della condanna. Le condizioni terribili della detenzione antica, il discredito sociale che essa comportava e l’ansia per l’esito del giudizio esercitavano un forte impatto emotivo sui detenuti. Si trattava per tutti di un tempo sospeso. Ma i cristiani imprigionati per il nomen lo vivevano con spirito del tutto particolare. Per loro, come per i correligionari rimasti in libertà, quel tempo poteva costituire un’occasione di conversione o di abiura, di gloriosa vittoria o amaro fallimento. Proprio la delicatezza della situazione imponeva che questi specialissimi prigionieri non fossero mai lasciati soli. La comunità e le gerachie ecclesiastiche, da un lato, prodigarono ogni cura per sopperire alle loro necessità, sia materiali che spirituali, dall’altro esercitarono un attento controllo per arginare pericolose derive. Un legame fortissimo veniva in tal modo a stringersi fra chi era dentro e chi era fuori, mentre quel tempo si trasformava per tutti in un Kairos, “momento opportuno” per decidere della loro sorte eterna.
Martirio; carcere; religione dei martiri
02 Pubblicazione su volume::02a Capitolo o Articolo
‘Et post paucos dies recipimur in carcere’. Il carcere come Kairos nell’era dei martiri / Zocca, Elena. - STAMPA. - (2015), pp. 21-45.
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