Una critica anarchica all’ordine statocentrico del mondo passa per Israele. Con una narrazione trasversale, che vorrebbe far saltare schemi desueti e oltrepassare logori steccati, Donatella Di Cesare indica nell’emergenza di Israele l’emergere di tempi nuovi. Laboratorio della globalizzazione, lo Stato di Israele non è uno stato come gli altri; al desiderio di normalizzazione viene opposta la vocazione all’estraneità che ha guidato nei secoli la storia del popolo ebraico. Di Cesare rovescia così l’accusa di aver occupato la terra altrui e legge in modo nuovo il tema attualissimo del ritorno in un confronto serrato anche con le voci più recenti, da quella di Shmuel Trigano a quella di Judith Butler. La promessa assume un valore teologico-politico: la terra-madre è soppiantata da una terra-sposa dove Israele è chiamato a testimoniare la possibilità di un nuovo abitare ricordando a sé e agli altri che nessuno è autoctono. La condizione di «stranieri residenti», la sola in cui per la Torà è consentito abitare la terra, viene ripresa non solo per far valere i diritti di una cittadinanza aperta, sganciata dallo stato, ma anche per guardare il conflitto mediorienale sotto una prospettiva inedita. Riconoscersi «stranieri residenti» vale anche per i palestinesi che, quasi delegati degli altri popoli, «si trovano d’un tratto faccia a faccia con l’abisso su cui si reggono, con il vuoto fondamento di tutte le nazioni, di cui Israele è memoria». Ha allora senso la «soluzione dei due stati»? O non occorrerebbe forse pensare a nuove forme di sovranità per una Terra che è refrattaria ai confini? Ripensare il sionismo vuol dire per Di Cesare riprendere il filo di una riflessione, spesso inascoltata, che da Hannah Arendt a Martin Buber ha visto nel ritorno a Sion non l’instaurazione di una patria nazionale, ma l’apertura di un nuovo ordine del mondo. In pagine dense e suggestive Di Cesare ripercorre la tradizione anarchica che ha ispirato il modello comunitario in Israele. Il protagonista è Gustav Landauer con la sua intuizione profetica di uno scontro fra un centralismo planetario e una federazione decentrata di comunità, la via segnata dal socialismo libertario che porta a Gerusalemme. La nostalgia per ciò che è giusto non legittima alcuna violenza e l’invenzione di una nuova politica richiede di non intendere più la pace nella fine differita di ogni conflitto. La pace anarchica non è prodotta dalle armi; è una pace, che contesta la priorità della guerra e, non imposta, irrompe con la giustizia.
Israele. Terra, ritorno, anarchia / DI CESARE, Donatella. - STAMPA. - 242:(2014), pp. 1-105.
Israele. Terra, ritorno, anarchia
DI CESARE, Donatella
2014
Abstract
Una critica anarchica all’ordine statocentrico del mondo passa per Israele. Con una narrazione trasversale, che vorrebbe far saltare schemi desueti e oltrepassare logori steccati, Donatella Di Cesare indica nell’emergenza di Israele l’emergere di tempi nuovi. Laboratorio della globalizzazione, lo Stato di Israele non è uno stato come gli altri; al desiderio di normalizzazione viene opposta la vocazione all’estraneità che ha guidato nei secoli la storia del popolo ebraico. Di Cesare rovescia così l’accusa di aver occupato la terra altrui e legge in modo nuovo il tema attualissimo del ritorno in un confronto serrato anche con le voci più recenti, da quella di Shmuel Trigano a quella di Judith Butler. La promessa assume un valore teologico-politico: la terra-madre è soppiantata da una terra-sposa dove Israele è chiamato a testimoniare la possibilità di un nuovo abitare ricordando a sé e agli altri che nessuno è autoctono. La condizione di «stranieri residenti», la sola in cui per la Torà è consentito abitare la terra, viene ripresa non solo per far valere i diritti di una cittadinanza aperta, sganciata dallo stato, ma anche per guardare il conflitto mediorienale sotto una prospettiva inedita. Riconoscersi «stranieri residenti» vale anche per i palestinesi che, quasi delegati degli altri popoli, «si trovano d’un tratto faccia a faccia con l’abisso su cui si reggono, con il vuoto fondamento di tutte le nazioni, di cui Israele è memoria». Ha allora senso la «soluzione dei due stati»? O non occorrerebbe forse pensare a nuove forme di sovranità per una Terra che è refrattaria ai confini? Ripensare il sionismo vuol dire per Di Cesare riprendere il filo di una riflessione, spesso inascoltata, che da Hannah Arendt a Martin Buber ha visto nel ritorno a Sion non l’instaurazione di una patria nazionale, ma l’apertura di un nuovo ordine del mondo. In pagine dense e suggestive Di Cesare ripercorre la tradizione anarchica che ha ispirato il modello comunitario in Israele. Il protagonista è Gustav Landauer con la sua intuizione profetica di uno scontro fra un centralismo planetario e una federazione decentrata di comunità, la via segnata dal socialismo libertario che porta a Gerusalemme. La nostalgia per ciò che è giusto non legittima alcuna violenza e l’invenzione di una nuova politica richiede di non intendere più la pace nella fine differita di ogni conflitto. La pace anarchica non è prodotta dalle armi; è una pace, che contesta la priorità della guerra e, non imposta, irrompe con la giustizia.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.