Il nome di Hans-Georg Gadamer è legato all’ermeneutica filosofica. Come poche altre correnti contemporanee, l’ermeneutica ha esercitato un influsso che va ben oltre i confini della filosofia e la cui vastità e profondità sono difficilmente valutabili. Dall’estetica alla critica letteraria, dalla teologia alla giurisprudenza, dalla sociologia alla psichiatria, non c’è quasi settore delle cosiddette humanities in cui manchi un sostrato ermeneutico. Ma non è rimasta neutrale neppure la riflessione epistemologica. Tanto più è difficile stabilire il peso che l’ermeneutica ha avuto e ha all’interno della filosofia. Gadamer è stato non solo testimone, ma anche interlocutore degli indirizzi filosofici più importanti dell’ultimo secolo; al di là degli esiti a cui il confronto ha dato luogo, è stata la sua apertura a favorire la diffusione dell’ermeneutica non solo nei paesi europei, ma soprattutto in America dove negli ultimi anni più serrato si è fatto il confronto con gli analitici. Per via di questo successo l’ermeneutica filosofica è diventata in genere sinonimo della “filosofia continentale”. A Gadamer è stato dedicato un gran numero di libri, saggi, tesi, convegni, dibattiti, e persino di film. La sua opera principale Verità e metodo è stata tradotta in tredici lingue, dall’italiano allo spagnolo, dall’inglese al francese, al russo, al cinese, al giapponese. Pochi altri filosofi sono stati così presenti sulla scena pubblica, hanno preso tante volte la parola sulle questioni più diverse, anche quelle di stretta attualità. In un’epoca sempre più afilosofica Gadamer ha testimoniato la necessità della filosofia intesa come vigilanza critica e libertà incondizionata di interrogare e di interrogarsi. La difficoltà di scrivere una introduzione alla sua figura e alla sua filosofia non sta però solo nel rendere conto di ciò. Nel corso della sua lunga vita Gadamer ha scritto molto, come testimoniano i dieci volumi delle opere complete. Pur essendo la meta raggiunta con fatica, Verità e metodo non è che una tappa, per quanto importante, sul cammino dalla fenomenologia alla dialettica. Ignorare quel che ha prodotto in seguito, per oltre quarant’anni, significa non vedere il dispiegarsi e differenziarsi della sua riflessione. L’importanza attribuita a Verità e metodo ha messo in ombra non solo gli scritti successivi, ma anche quelli precedenti. Così è passato in secondo piano il ruolo decisivo che per l’ermeneutica ha svolto la filosofia greca. Di quest’ultima possono trovarsi solo poche tracce in Verità e metodo dove prevale piuttosto la preoccupazione di delineare una filosofia ermeneutica che assuma rilievo sia sullo sfondo dell’ermeneutica classica sia su quello dell’ermeneutica della fatticità di Heidegger. Eppure Gadamer stesso ha giudicato l’Etica dialettica di Platone e gli studi sul pensiero greco “la parte migliore e più originale” della sua attività filosofica (SP1, XI). Se si guarda a tutto lo sviluppo della sua filosofia, si può dire che l’opera principale di Gadamer è il libro su Platone che non ha scritto. Ma certo avrebbe desiderato pubblicare un volume più compiuto di quello uscito con il titolo La dialettica di Hegel e dare forma più elaborata ai tanti saggi – se ne possono contare almeno ventidue – dedicati a Heidegger e confluiti in parte nel volume I sentieri di Heidegger . C’è qui dunque una difficoltà che una introduzione non può non considerare, ed è il rapporto tormentato che Gadamer ha sempre avuto con la scrittura. Fin negli ultimi anni, per aggirare la sua insofferenza socratica verso la scrittura, Gadamer ha scelto la forma della lezione, della conferenza o del dibattito. Non si esagera dicendo che, con poche eccezioni, tutto quello che ha scritto è un derivato e un precipitato del dialogo orale. Ciò si riflette anche nello stile. I suoi testi, soprattutto quelli dell’ultimo periodo, sono redatti in uno stile lucido ed efficace, tutt’altro che specialistico, comprensibile a un largo pubblico. Per quanto le traduzioni italiane in genere non gli rendano giustizia, Gadamer è stato un grande stilista e insieme uno dei filosofi più leggibili del novecento. Senza dubbio i suoi testi risentono del passaggio dalla forma orale a quella scritta. Il suo modo di scrivere è sempre attento a interrogare il linguaggio quotidiano ed è refrattario a ogni rigida terminologia. Senza quindi essere concettualmente impreciso, quel che Gadamer dice avrebbe potuto essere detto in modo differente. Così ogni suo testo è evidentemente incompiuto. Ma l’incompiutezza, che può provocare irritazione, non è per Gadamer un difetto. Al contrario, è teorizzata. La difficoltà non è a ben guardare una difficoltà, e l’insofferenza verso la scrittura è dettata non solo da motivi personali, ma anche da motivi filosofici. Impossibile dire dove gli uni sconfinino negli altri, dato che in Gadamer la filosofia porta il segno della sua individualità. La scelta del dialogo orale non è perciò subita. Non si può parlare di “testi filosofici” come si parla di testi letterari. Perché il testo filosofico, la cui fissità finirebbe per essere contigua alla rigidità della metafisica, riprende a parlare attraverso la parola che interpretandolo lo interroga. Per Gadamer è dunque il dialogo orale la forma della filosofia. Qui viene alla luce l’ispirazione socratica dell’ermeneutica filosofica. A questa ispirazione Gadamer è rimasto fedele non solo per coerenza, ma perché non avrebbe potuto farne a meno. Se per filosofare Heidegger aveva bisogno di isolarsi nel suo rifugio della Foresta Nera, Gadamer aveva bisogno di attraversare l’agorá e farsi sorprendere dall’incontro con gli altri. Non poteva pensare senza un interlocutore, non poteva riflettere se non nella dialettica della domanda e della risposta. La fatica del concetto non era per lui immaginabile senza la parola dell’altro. Ecco perché la sua filosofia non può non risentire della situazione dialogica da cui è scaturita, non può non differire a seconda dell’interlocutore, della situazione, dell’argomento. D’altronde “l’ermeneutica filosofica non intende se stessa come una posizione ‘assoluta’, ma solo come un cammino dell’esperienza. Resta convinta che non c’è principio più alto che tenersi aperti al dialogo” (VM2, 490). Il che è possibile solo ad una filosofia della finitezza, una filosofia che, sapendo di essere finita, non rinuncia all’infinito e fa anzi del dialogo infinito la forma del proprio filosofare. Senza per ciò sminuire l’importanza di Verità e metodo, né tanto meno ridurre il valore delle opere pubblicate, occorre sottolineare che la filosofia di Gadamer non si esaurisce negli scritti. Questo non significa che ci siano dottrine esoteriche. Ma quel che Gadamer dice di Platone, lo si può dire dello stesso Gadamer: tutto nella sua filosofia è “protrettico”, tutto rimanda sempre oltre. Dato che nulla può essere definitivo, la ricerca filosofica è sempre aperta, non può mai fissarsi, trovare sistemazione, tanto meno nei limiti di un testo scritto, e rinvia perciò non solo al dialogo orale, ma alla vita vissuta e alle scelte del filosofo. Chi ha conosciuto Gadamer sa quanto questo sia vero – e sa anche quanto sia difficile, benché necessario, tenerne conto in una introduzione alla sua figura e alla sua opera. La filosofia non è mai stata per Gadamer una professione. Secondo quel legame fra teoria e prassi che guida l’ermeneutica, quel che Gadamer diceva, quel che faceva, il modo in cui si comportava, erano tutt’uno. Questa introduzione sceglierà allora l’armonia socratica di lógos ed érgon, di parola e atto, per far emergere l’unità della sua filosofia nella consapevolezza che, malgrado la distanza acquisita, ritrarre è sempre idealizzare.

Gadamer. A Philosophical Portrait / DI CESARE, Donatella. - STAMPA. - (2013), pp. 1-233.

Gadamer. A Philosophical Portrait

DI CESARE, Donatella
2013

Abstract

Il nome di Hans-Georg Gadamer è legato all’ermeneutica filosofica. Come poche altre correnti contemporanee, l’ermeneutica ha esercitato un influsso che va ben oltre i confini della filosofia e la cui vastità e profondità sono difficilmente valutabili. Dall’estetica alla critica letteraria, dalla teologia alla giurisprudenza, dalla sociologia alla psichiatria, non c’è quasi settore delle cosiddette humanities in cui manchi un sostrato ermeneutico. Ma non è rimasta neutrale neppure la riflessione epistemologica. Tanto più è difficile stabilire il peso che l’ermeneutica ha avuto e ha all’interno della filosofia. Gadamer è stato non solo testimone, ma anche interlocutore degli indirizzi filosofici più importanti dell’ultimo secolo; al di là degli esiti a cui il confronto ha dato luogo, è stata la sua apertura a favorire la diffusione dell’ermeneutica non solo nei paesi europei, ma soprattutto in America dove negli ultimi anni più serrato si è fatto il confronto con gli analitici. Per via di questo successo l’ermeneutica filosofica è diventata in genere sinonimo della “filosofia continentale”. A Gadamer è stato dedicato un gran numero di libri, saggi, tesi, convegni, dibattiti, e persino di film. La sua opera principale Verità e metodo è stata tradotta in tredici lingue, dall’italiano allo spagnolo, dall’inglese al francese, al russo, al cinese, al giapponese. Pochi altri filosofi sono stati così presenti sulla scena pubblica, hanno preso tante volte la parola sulle questioni più diverse, anche quelle di stretta attualità. In un’epoca sempre più afilosofica Gadamer ha testimoniato la necessità della filosofia intesa come vigilanza critica e libertà incondizionata di interrogare e di interrogarsi. La difficoltà di scrivere una introduzione alla sua figura e alla sua filosofia non sta però solo nel rendere conto di ciò. Nel corso della sua lunga vita Gadamer ha scritto molto, come testimoniano i dieci volumi delle opere complete. Pur essendo la meta raggiunta con fatica, Verità e metodo non è che una tappa, per quanto importante, sul cammino dalla fenomenologia alla dialettica. Ignorare quel che ha prodotto in seguito, per oltre quarant’anni, significa non vedere il dispiegarsi e differenziarsi della sua riflessione. L’importanza attribuita a Verità e metodo ha messo in ombra non solo gli scritti successivi, ma anche quelli precedenti. Così è passato in secondo piano il ruolo decisivo che per l’ermeneutica ha svolto la filosofia greca. Di quest’ultima possono trovarsi solo poche tracce in Verità e metodo dove prevale piuttosto la preoccupazione di delineare una filosofia ermeneutica che assuma rilievo sia sullo sfondo dell’ermeneutica classica sia su quello dell’ermeneutica della fatticità di Heidegger. Eppure Gadamer stesso ha giudicato l’Etica dialettica di Platone e gli studi sul pensiero greco “la parte migliore e più originale” della sua attività filosofica (SP1, XI). Se si guarda a tutto lo sviluppo della sua filosofia, si può dire che l’opera principale di Gadamer è il libro su Platone che non ha scritto. Ma certo avrebbe desiderato pubblicare un volume più compiuto di quello uscito con il titolo La dialettica di Hegel e dare forma più elaborata ai tanti saggi – se ne possono contare almeno ventidue – dedicati a Heidegger e confluiti in parte nel volume I sentieri di Heidegger . C’è qui dunque una difficoltà che una introduzione non può non considerare, ed è il rapporto tormentato che Gadamer ha sempre avuto con la scrittura. Fin negli ultimi anni, per aggirare la sua insofferenza socratica verso la scrittura, Gadamer ha scelto la forma della lezione, della conferenza o del dibattito. Non si esagera dicendo che, con poche eccezioni, tutto quello che ha scritto è un derivato e un precipitato del dialogo orale. Ciò si riflette anche nello stile. I suoi testi, soprattutto quelli dell’ultimo periodo, sono redatti in uno stile lucido ed efficace, tutt’altro che specialistico, comprensibile a un largo pubblico. Per quanto le traduzioni italiane in genere non gli rendano giustizia, Gadamer è stato un grande stilista e insieme uno dei filosofi più leggibili del novecento. Senza dubbio i suoi testi risentono del passaggio dalla forma orale a quella scritta. Il suo modo di scrivere è sempre attento a interrogare il linguaggio quotidiano ed è refrattario a ogni rigida terminologia. Senza quindi essere concettualmente impreciso, quel che Gadamer dice avrebbe potuto essere detto in modo differente. Così ogni suo testo è evidentemente incompiuto. Ma l’incompiutezza, che può provocare irritazione, non è per Gadamer un difetto. Al contrario, è teorizzata. La difficoltà non è a ben guardare una difficoltà, e l’insofferenza verso la scrittura è dettata non solo da motivi personali, ma anche da motivi filosofici. Impossibile dire dove gli uni sconfinino negli altri, dato che in Gadamer la filosofia porta il segno della sua individualità. La scelta del dialogo orale non è perciò subita. Non si può parlare di “testi filosofici” come si parla di testi letterari. Perché il testo filosofico, la cui fissità finirebbe per essere contigua alla rigidità della metafisica, riprende a parlare attraverso la parola che interpretandolo lo interroga. Per Gadamer è dunque il dialogo orale la forma della filosofia. Qui viene alla luce l’ispirazione socratica dell’ermeneutica filosofica. A questa ispirazione Gadamer è rimasto fedele non solo per coerenza, ma perché non avrebbe potuto farne a meno. Se per filosofare Heidegger aveva bisogno di isolarsi nel suo rifugio della Foresta Nera, Gadamer aveva bisogno di attraversare l’agorá e farsi sorprendere dall’incontro con gli altri. Non poteva pensare senza un interlocutore, non poteva riflettere se non nella dialettica della domanda e della risposta. La fatica del concetto non era per lui immaginabile senza la parola dell’altro. Ecco perché la sua filosofia non può non risentire della situazione dialogica da cui è scaturita, non può non differire a seconda dell’interlocutore, della situazione, dell’argomento. D’altronde “l’ermeneutica filosofica non intende se stessa come una posizione ‘assoluta’, ma solo come un cammino dell’esperienza. Resta convinta che non c’è principio più alto che tenersi aperti al dialogo” (VM2, 490). Il che è possibile solo ad una filosofia della finitezza, una filosofia che, sapendo di essere finita, non rinuncia all’infinito e fa anzi del dialogo infinito la forma del proprio filosofare. Senza per ciò sminuire l’importanza di Verità e metodo, né tanto meno ridurre il valore delle opere pubblicate, occorre sottolineare che la filosofia di Gadamer non si esaurisce negli scritti. Questo non significa che ci siano dottrine esoteriche. Ma quel che Gadamer dice di Platone, lo si può dire dello stesso Gadamer: tutto nella sua filosofia è “protrettico”, tutto rimanda sempre oltre. Dato che nulla può essere definitivo, la ricerca filosofica è sempre aperta, non può mai fissarsi, trovare sistemazione, tanto meno nei limiti di un testo scritto, e rinvia perciò non solo al dialogo orale, ma alla vita vissuta e alle scelte del filosofo. Chi ha conosciuto Gadamer sa quanto questo sia vero – e sa anche quanto sia difficile, benché necessario, tenerne conto in una introduzione alla sua figura e alla sua opera. La filosofia non è mai stata per Gadamer una professione. Secondo quel legame fra teoria e prassi che guida l’ermeneutica, quel che Gadamer diceva, quel che faceva, il modo in cui si comportava, erano tutt’uno. Questa introduzione sceglierà allora l’armonia socratica di lógos ed érgon, di parola e atto, per far emergere l’unità della sua filosofia nella consapevolezza che, malgrado la distanza acquisita, ritrarre è sempre idealizzare.
2013
9780253007636
03 Monografia::03a Saggio, Trattato Scientifico
Gadamer. A Philosophical Portrait / DI CESARE, Donatella. - STAMPA. - (2013), pp. 1-233.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/513879
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