Punto di partenza dello studio contenuto nel volume Danno e indennità è costituito dalla considerazione per cui il nostro ordinamento reagisce generalmente a un evento dannoso in modo da operare un trasferimento dell’onere del danno dal soggetto che lo ha subito a colui che lo ha causato. I meccanismi tramite i quali tale trasferimento opera possono concretizzarsi nel risarcimento, con il quale non si «annulla» il danno, ma lo si trasferisce integralmente da chi lo ha subito immediatamente a chi lo risarcisce ovvero nell’indennità, con cui pare quasi che il legislatore abbia voluto realizzare un trasferimento solo parziale di questo onere, ponendolo di conseguenza, per specifiche ragioni, in una certa misura anche a carico del danneggiato. I termini «indennità» e «indennizzo» si rinvengono di frequente in diritto privato, dal matrimonio al contratto, dalla proprietà alla responsabilità civile, giungendo a toccare anche il diritto amministrativo e sovente il diritto del lavoro e il diritto della navigazione. Essi ricorrono quindi nella disciplina di istituti assai diversi, tanto da indurre l’interprete a domandarsi se sia possibile attribuire loro un significato unitario, cercando di individuare una prospettiva organica e coerente, alla luce della quale spiegare una serie di fenomeni contraddistinti da taluni elementi comuni. La dottrina che si è interessata del tema non si è preoccupata di accertare se questi termini siano stati adoperati dal legislatore quali sinonimi o se con essi siano stati indicati due diversi strumenti di riparazione (sia pure parziale) del danno. I suddetti termini devono poi essere posti in relazione ad altre espressioni cui spesso essi si accompagnano, quali «risarcimento», «equità», «congruità». La nozione di equità, gli aggettivi «equo» o «congruo», si riscontrano, infatti, non di rado in rapporto alle figure dell’indennità e dell’indennizzo. In alcune fattispecie, il legislatore ha configurato un obbligo di «indennizzare». Si pensi alle norme in tema di arricchimento ingiustificato (art. 2041 s. cod. civ.): in tale caso l’ordinamento impone l’obbligo di indennizzare per il fatto stesso che vi sia stato uno spostamento patrimoniale senza causa. Il giudice non è tenuto in questa ipotesi ad una quantificazione rigorosamente esatta della diminuzione patrimoniale subita dall’impoverito, dovendosi muovere, nell’operazione di quantificazione, entro gli angusti confini dell’arricchimento. In posizione autonoma si colloca poi l’istituto dell’espropriazione per pubblica utilità (art. 834 cod. civ.), nel quale l’obbligo di indennizzo (per usare la terminologia costituzionale) non è commisurato all’effettivo sacrificio patrimoniale dell’espropriato, anzi ne è spesso svincolato. Alcune figure di indennità, come quelle che si trovano nel titolo IX del libro quarto del codice civile (Dei fatti illeciti), sono connesse alla nozione di equità, che, conferendo una maggiore o minore discrezionalità «al giudice, consente un diverso grado di distacco dalle regole sulla quantificazione del danno risarcibile. Basti pensare all’art. 2047 cod. civ. che, a proposito del danno cagionato dall’incapace, impone al giudice di avere riguardo alle «condizioni economiche delle parti» nel quantificare l’equa indennità a carico dell’incapace autore del danno, qualora il danneggiato non abbia potuto ottenere altrimenti il risarcimento da parte di chi era tenuto alla sorveglianza. La monografia pone in luce il fatto che sarebbe, tuttavia, fuorviante limitare il discorso relativo ad indennità e indennizzo all’ambito dell’equità. L’equità è sicuramente uno dei criteri che in alcuni casi o quando ricorrono determinati presupposti (v., ad esempio, art. 1226 cod. civ.) il legislatore pone a disposizione del giudice per ristabilire la situazione alterata dal prodursi di un danno. Il fatto che l’equità è solo una delle figure che possono affiancarsi all’indennità e all’indennizzo è dimostrato poi dall’esistenza di alcune ipotesi, come quella delineata dall’art. 129-bis cod. civ. in tema di responsabilità del coniuge in mala fede cui sia addebitabile la nullità del matrimonio, nelle quali viceversa si impone al giudice, nel condannare il coniuge, di commisurare il danno secondo criteri ben precisi. In casi come quello appena enunciato, dal campo del risarcimento e dell’equità, sembra quasi che ci si sposti a quello della sanzione, laddove si chiede al giudice di discostarsi nella quantificazione del danno dal dato obiettivo del pregiudizio effettivamente subito, comminando una «pena», anche se danno non vi sia stato. Il volume Danno e indennità si limita comunque all’esame della ricca casistica contenuta nel codice civile, lasciando da parte le fattispecie, pur interessanti, in cui il termine indennità viene adoperato per indicare una corresponsione in funzione di rimborso spese e compenso per particolari disagi, (indennità di trasferta, ecc.) o consiste in competenze retributive che si differenziano dallo stipendio in senso stretto (ad es., indennità di straordinario), come è tipico del diritto del lavoro. Sono state altresì tralasciate le fattispecie di indennità proprie del contratto di assicurazione, così come l’ipotesi dell’indennità parlamentare, che ricorre precipuamente nel diritto costituzionale. La conclusione cui l’analisi svolta perviene è che - premesso che il fenomeno indennitario sembra rispondere a una funzione generale unica, consistente nello spostamento pecuniario a favore del danneggiato a titolo di ristoro del danno - sono riscontrabili due «gruppi» di fattispecie, il primo tipico della responsabilità civile, il secondo estraneo ad essa. Così, nel campo della responsabilità civile, nel quale peraltro il dato legislativo è supportato da un’indicativa applicazione giurisprudenziale, si è posta in luce l’esistenza di fattispecie in cui l’adozione da parte del legislatore del termine indennità è stata motivata dall’esigenza di tenere conto di situazioni contraddistinte da una forte pressione emozionale (è il caso dello stato di necessità) o dalla particolare condizione psicologica di taluni soggetti, considerati deboli perché incapaci. La finalità che l’istituto dell’indennità riveste in queste ipotesi è quella di evitare un risarcimento integrale in casi in cui – vista la peculiarità della situazione, in sé o in rapporto alle parti interessate – una quantificazione corrispondente all’intero pregiudizio sofferto condurrebbe a una decisione iniqua. Si è altresì rilevato che in queste fattispecie di responsabilità civile in senso tecnico, l’indennità è richiesta ‘equa’ o ‘rimessa all’equo apprezzamento del giudice’, il quale, pur rimanendo entro i limiti di una discrezionalità «tecnica» (e mai sconfinando nell’arbitrio), deve operare un contemperamento degli interessi ed un’equa ripartizione dei costi dell’evento dannoso fra i soggetti coinvolti, attenta alle circostanze del caso concreto e addirittura alla consistenza dei patrimoni delle parti interessate. In tale caso, la misura dell’indennità viene di regola stabilita caso per caso ed è tendenzialmente inferiore all’entità del sacrificio sopportato dalla vittima. In queste fattispecie, ancora, sembra che il legislatore, prevedendo il pagamento di un’equa indennità, abbia voluto porre l’accento non tanto sulla natura illecita dell’atto (cioè sul profilo soggettivo), quanto piuttosto sul danno che oggettivamente (in circostanze particolari) il soggetto ha subito. Ciò – si è visto - costituisce un tratto comune delle diverse ipotesi di indennità, tutte caratterizzate dal costituire una reazione dell’ordinamento a un danno che si è comunque, oggettivamente, prodotto. Con riguardo al «secondo gruppo», in altri libri del codice si impiega il termine ‘indennità’ per contraddistinguere fattispecie di danno che non hanno nulla a che vedere con la responsabilità civile né per struttura né per funzione. Ricorrono mere fattispecie di danno non collegato alla commissione di un illecito. Il legislatore, prevedendo l’indennità, ha probabilmente voluto sottolineare il fatto che la riparazione prescinde da un giudizio di responsabilità e discende dal fatto oggettivo del prodursi di un danno. Sotto tale profilo, l’indennità sembra svolgere la funzione di eliminare tendenzialmente tutto il pregiudizio causato dall’evento dannoso, anche se non si può escludere a priori che il giudice operi ugualmente un contemperamento di interessi (avvicinando queste figure alle fattispecie analizzate nell’ambito della responsabilità civile), soprattutto quando l’indennità viene richiesta congrua, adeguata, giusta, ecc. Proprio perché nulla astrattamente vieta che la misura dell’indennità coincida con l’integrale risarcimento, si è notato che il legislatore, nell’ambito di questo secondo gruppo di fattispecie, sembra avere impiegato con una certa disinvoltura, quasi indifferentemente, i termini ‘indennizzo’ e ‘indennità’. L’analisi è giunta infine a esaminare la figura dell’indennizzo nell’ambito dell’espropriazione per pubblica utilità, della quale sono stati posti in luce tratti comuni, ma anche importanti differenze, dovute soprattutto alla peculiare considerazione che l’ordinamento riserva allo Stato, quando esso è autore del danno.

Danno e indennità / Caricato, Cristina. - STAMPA. - (2012), pp. 1-216.

Danno e indennità

CARICATO, Cristina
2012

Abstract

Punto di partenza dello studio contenuto nel volume Danno e indennità è costituito dalla considerazione per cui il nostro ordinamento reagisce generalmente a un evento dannoso in modo da operare un trasferimento dell’onere del danno dal soggetto che lo ha subito a colui che lo ha causato. I meccanismi tramite i quali tale trasferimento opera possono concretizzarsi nel risarcimento, con il quale non si «annulla» il danno, ma lo si trasferisce integralmente da chi lo ha subito immediatamente a chi lo risarcisce ovvero nell’indennità, con cui pare quasi che il legislatore abbia voluto realizzare un trasferimento solo parziale di questo onere, ponendolo di conseguenza, per specifiche ragioni, in una certa misura anche a carico del danneggiato. I termini «indennità» e «indennizzo» si rinvengono di frequente in diritto privato, dal matrimonio al contratto, dalla proprietà alla responsabilità civile, giungendo a toccare anche il diritto amministrativo e sovente il diritto del lavoro e il diritto della navigazione. Essi ricorrono quindi nella disciplina di istituti assai diversi, tanto da indurre l’interprete a domandarsi se sia possibile attribuire loro un significato unitario, cercando di individuare una prospettiva organica e coerente, alla luce della quale spiegare una serie di fenomeni contraddistinti da taluni elementi comuni. La dottrina che si è interessata del tema non si è preoccupata di accertare se questi termini siano stati adoperati dal legislatore quali sinonimi o se con essi siano stati indicati due diversi strumenti di riparazione (sia pure parziale) del danno. I suddetti termini devono poi essere posti in relazione ad altre espressioni cui spesso essi si accompagnano, quali «risarcimento», «equità», «congruità». La nozione di equità, gli aggettivi «equo» o «congruo», si riscontrano, infatti, non di rado in rapporto alle figure dell’indennità e dell’indennizzo. In alcune fattispecie, il legislatore ha configurato un obbligo di «indennizzare». Si pensi alle norme in tema di arricchimento ingiustificato (art. 2041 s. cod. civ.): in tale caso l’ordinamento impone l’obbligo di indennizzare per il fatto stesso che vi sia stato uno spostamento patrimoniale senza causa. Il giudice non è tenuto in questa ipotesi ad una quantificazione rigorosamente esatta della diminuzione patrimoniale subita dall’impoverito, dovendosi muovere, nell’operazione di quantificazione, entro gli angusti confini dell’arricchimento. In posizione autonoma si colloca poi l’istituto dell’espropriazione per pubblica utilità (art. 834 cod. civ.), nel quale l’obbligo di indennizzo (per usare la terminologia costituzionale) non è commisurato all’effettivo sacrificio patrimoniale dell’espropriato, anzi ne è spesso svincolato. Alcune figure di indennità, come quelle che si trovano nel titolo IX del libro quarto del codice civile (Dei fatti illeciti), sono connesse alla nozione di equità, che, conferendo una maggiore o minore discrezionalità «al giudice, consente un diverso grado di distacco dalle regole sulla quantificazione del danno risarcibile. Basti pensare all’art. 2047 cod. civ. che, a proposito del danno cagionato dall’incapace, impone al giudice di avere riguardo alle «condizioni economiche delle parti» nel quantificare l’equa indennità a carico dell’incapace autore del danno, qualora il danneggiato non abbia potuto ottenere altrimenti il risarcimento da parte di chi era tenuto alla sorveglianza. La monografia pone in luce il fatto che sarebbe, tuttavia, fuorviante limitare il discorso relativo ad indennità e indennizzo all’ambito dell’equità. L’equità è sicuramente uno dei criteri che in alcuni casi o quando ricorrono determinati presupposti (v., ad esempio, art. 1226 cod. civ.) il legislatore pone a disposizione del giudice per ristabilire la situazione alterata dal prodursi di un danno. Il fatto che l’equità è solo una delle figure che possono affiancarsi all’indennità e all’indennizzo è dimostrato poi dall’esistenza di alcune ipotesi, come quella delineata dall’art. 129-bis cod. civ. in tema di responsabilità del coniuge in mala fede cui sia addebitabile la nullità del matrimonio, nelle quali viceversa si impone al giudice, nel condannare il coniuge, di commisurare il danno secondo criteri ben precisi. In casi come quello appena enunciato, dal campo del risarcimento e dell’equità, sembra quasi che ci si sposti a quello della sanzione, laddove si chiede al giudice di discostarsi nella quantificazione del danno dal dato obiettivo del pregiudizio effettivamente subito, comminando una «pena», anche se danno non vi sia stato. Il volume Danno e indennità si limita comunque all’esame della ricca casistica contenuta nel codice civile, lasciando da parte le fattispecie, pur interessanti, in cui il termine indennità viene adoperato per indicare una corresponsione in funzione di rimborso spese e compenso per particolari disagi, (indennità di trasferta, ecc.) o consiste in competenze retributive che si differenziano dallo stipendio in senso stretto (ad es., indennità di straordinario), come è tipico del diritto del lavoro. Sono state altresì tralasciate le fattispecie di indennità proprie del contratto di assicurazione, così come l’ipotesi dell’indennità parlamentare, che ricorre precipuamente nel diritto costituzionale. La conclusione cui l’analisi svolta perviene è che - premesso che il fenomeno indennitario sembra rispondere a una funzione generale unica, consistente nello spostamento pecuniario a favore del danneggiato a titolo di ristoro del danno - sono riscontrabili due «gruppi» di fattispecie, il primo tipico della responsabilità civile, il secondo estraneo ad essa. Così, nel campo della responsabilità civile, nel quale peraltro il dato legislativo è supportato da un’indicativa applicazione giurisprudenziale, si è posta in luce l’esistenza di fattispecie in cui l’adozione da parte del legislatore del termine indennità è stata motivata dall’esigenza di tenere conto di situazioni contraddistinte da una forte pressione emozionale (è il caso dello stato di necessità) o dalla particolare condizione psicologica di taluni soggetti, considerati deboli perché incapaci. La finalità che l’istituto dell’indennità riveste in queste ipotesi è quella di evitare un risarcimento integrale in casi in cui – vista la peculiarità della situazione, in sé o in rapporto alle parti interessate – una quantificazione corrispondente all’intero pregiudizio sofferto condurrebbe a una decisione iniqua. Si è altresì rilevato che in queste fattispecie di responsabilità civile in senso tecnico, l’indennità è richiesta ‘equa’ o ‘rimessa all’equo apprezzamento del giudice’, il quale, pur rimanendo entro i limiti di una discrezionalità «tecnica» (e mai sconfinando nell’arbitrio), deve operare un contemperamento degli interessi ed un’equa ripartizione dei costi dell’evento dannoso fra i soggetti coinvolti, attenta alle circostanze del caso concreto e addirittura alla consistenza dei patrimoni delle parti interessate. In tale caso, la misura dell’indennità viene di regola stabilita caso per caso ed è tendenzialmente inferiore all’entità del sacrificio sopportato dalla vittima. In queste fattispecie, ancora, sembra che il legislatore, prevedendo il pagamento di un’equa indennità, abbia voluto porre l’accento non tanto sulla natura illecita dell’atto (cioè sul profilo soggettivo), quanto piuttosto sul danno che oggettivamente (in circostanze particolari) il soggetto ha subito. Ciò – si è visto - costituisce un tratto comune delle diverse ipotesi di indennità, tutte caratterizzate dal costituire una reazione dell’ordinamento a un danno che si è comunque, oggettivamente, prodotto. Con riguardo al «secondo gruppo», in altri libri del codice si impiega il termine ‘indennità’ per contraddistinguere fattispecie di danno che non hanno nulla a che vedere con la responsabilità civile né per struttura né per funzione. Ricorrono mere fattispecie di danno non collegato alla commissione di un illecito. Il legislatore, prevedendo l’indennità, ha probabilmente voluto sottolineare il fatto che la riparazione prescinde da un giudizio di responsabilità e discende dal fatto oggettivo del prodursi di un danno. Sotto tale profilo, l’indennità sembra svolgere la funzione di eliminare tendenzialmente tutto il pregiudizio causato dall’evento dannoso, anche se non si può escludere a priori che il giudice operi ugualmente un contemperamento di interessi (avvicinando queste figure alle fattispecie analizzate nell’ambito della responsabilità civile), soprattutto quando l’indennità viene richiesta congrua, adeguata, giusta, ecc. Proprio perché nulla astrattamente vieta che la misura dell’indennità coincida con l’integrale risarcimento, si è notato che il legislatore, nell’ambito di questo secondo gruppo di fattispecie, sembra avere impiegato con una certa disinvoltura, quasi indifferentemente, i termini ‘indennizzo’ e ‘indennità’. L’analisi è giunta infine a esaminare la figura dell’indennizzo nell’ambito dell’espropriazione per pubblica utilità, della quale sono stati posti in luce tratti comuni, ma anche importanti differenze, dovute soprattutto alla peculiare considerazione che l’ordinamento riserva allo Stato, quando esso è autore del danno.
2012
9788834838198
danno indennità risarcimento
03 Monografia::03a Saggio, Trattato Scientifico
Danno e indennità / Caricato, Cristina. - STAMPA. - (2012), pp. 1-216.
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