Da paese di emigrazione l’Italia e diventata, nel corso dell’ultimo ventennio, paese di immigrazione. Con 4,2 milioni di immigrati regolari, ed un indeterminato numero di irregolari, il nostro paese si avvia a perdere la sua originaria omogeneità culturale, linguistica ed etnica. Ancora in troppi si attardano a considerare questo processo come rischioso e traumatico e, per questa ragione, provano a creare barriere normative all’acquisizione della cittadinanza anche da parte di chi, nato e vissuto in Italia, ne ha ogni buon diritto. Ciò costruisce una prassi istituzionale che sembra orientata a costruire “clandestinità” piuttosto che cittadinanza, disuguaglianza e marginalità sociale piuttosto che integrazione e accoglienza. Su questo scenario ha potuto attecchire e svilupparsi il lavoro schiavistico, con l’importazione di rapporti di lavoro, e di veri e propri modelli di organizzazione aziendale, che non fanno parte della cultura lavoristica del nostro paese. E queste nuove aziende non occupano soltanto interstizi marginali e circoscritti, ma si diffondono e colonizzano interi segmenti del mercato del lavoro, all’interno dei quali costituiscono componenti organiche pienamente riconosciute e integrate. L’obiettivo di questo saggio e quello di dimostrare che se il nostro paese continua a rifiutarsi, come ha fatto sinora, di elaborare e perseguire un modello, esplicito e condiviso, di integrazione sociale dei migranti che risiedono sul proprio territorio, continua a perdere quell’opportunità di sviluppo economico e di innovazione sociale che la popolazione straniera rappresenta per l’Italia contemporanea.
La società dell'accoglienza. Cittadini, migranti e nuove schiavitù / Nocifora, Vincenzo Francesco. - STAMPA. - (2011), pp. 0-222.
La società dell'accoglienza. Cittadini, migranti e nuove schiavitù.
NOCIFORA, Vincenzo Francesco
2011
Abstract
Da paese di emigrazione l’Italia e diventata, nel corso dell’ultimo ventennio, paese di immigrazione. Con 4,2 milioni di immigrati regolari, ed un indeterminato numero di irregolari, il nostro paese si avvia a perdere la sua originaria omogeneità culturale, linguistica ed etnica. Ancora in troppi si attardano a considerare questo processo come rischioso e traumatico e, per questa ragione, provano a creare barriere normative all’acquisizione della cittadinanza anche da parte di chi, nato e vissuto in Italia, ne ha ogni buon diritto. Ciò costruisce una prassi istituzionale che sembra orientata a costruire “clandestinità” piuttosto che cittadinanza, disuguaglianza e marginalità sociale piuttosto che integrazione e accoglienza. Su questo scenario ha potuto attecchire e svilupparsi il lavoro schiavistico, con l’importazione di rapporti di lavoro, e di veri e propri modelli di organizzazione aziendale, che non fanno parte della cultura lavoristica del nostro paese. E queste nuove aziende non occupano soltanto interstizi marginali e circoscritti, ma si diffondono e colonizzano interi segmenti del mercato del lavoro, all’interno dei quali costituiscono componenti organiche pienamente riconosciute e integrate. L’obiettivo di questo saggio e quello di dimostrare che se il nostro paese continua a rifiutarsi, come ha fatto sinora, di elaborare e perseguire un modello, esplicito e condiviso, di integrazione sociale dei migranti che risiedono sul proprio territorio, continua a perdere quell’opportunità di sviluppo economico e di innovazione sociale che la popolazione straniera rappresenta per l’Italia contemporanea.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.