Nel disegno digitale, gli algoritmi di calcolo finalizzati alla rappresentazione virtuale del “chiaroscuro” sono stati improntati secondo tre principali linee di sviluppo, indicate rispettivamente da ottica geometrica, ottica fisica e ottica quantistica. Nel primo caso, si considera che il flusso luminoso si propaga secondo raggi rettilinei; nel secondo caso la luce è valutata nella sua natura di onda elettromagnetica; infine, nell’ultimo caso la luce, oltre che onda elettromagnetica, la luce è ritenuta costituita da un flusso di particelle: i ”fotoni”. Per ridurre le problematiche di carattere computazionale, ma anche per la difficoltà di affrontare il problema in modo interdisciplinare, i primi tentativi di implementare digitalmente i concetti del chiaroscuro - cominciati nella seconda metà degli anni Sessanta - traggono ispirazione dall’ottica geometrica. Gli algoritmi di calcolo prodotti in questo primo periodo sono principalmente orientati a rappresentare modelli di illuminazione “locali”, che simulano il comportamento della luce a contatto con oggetti idealmente isolati nello spazio, senza considerare il contributo luminoso proveniente per riflessione dall’ambiente circostante. Le fonti luminose sono adimensionali, associate ad un punto nello spazio, dal quale vengono emessi omnidirezionalmente e uniformemente raggi luminosi della medesima intensità. La teoria di calcolo si basa principalmente sulle leggi di Lambert, Snell, Fresnel. Nei primi anni Ottanta alcuni ricercatori introducono sistemi di calcolo normalmente utilizzati per lo studio delle radiazione termiche. La luce è dunque analizzata nella sua essenza di onda elettromagnetica. Gli algoritmi utilizzati sono orientati alla rappresentazione di modelli di luce globali. Sono considerate sorgenti luminose, tanto le luci inserite nel modello, quanto le superfici capaci di rifletterne i raggi luminosi. Alle sorgenti luminose è possibile associare curve fotometriche e diagrammi di emissione spettrale. Il punto di riferimento teorico diventano le “equazioni di Maxwell”. La ricerca più recente, infine, ispirata da traguardi sempre più ambiziosi quali la simulazione delle caustiche, della fluorescenza e della luminescenza ha trovato nell’approccio quantistico un’ottima soluzione: il flusso luminoso, all’interno della scena virtuale, è così considerato un flusso di fotoni. Nessuno degli algoritmi che hanno fatto la storia dell’ illumination and shading, può oggi considerarsi obsoleto; questa singolarità è probabilmente dovuta alla presenza di diverse capacità computazionali nella tecnologia eterogenea che quotidianamente utilizziamo, così come alla necessità di comunicare anche con modelli semplici e sintetici.
La teoria delle ombre e del chiaroscuro nella rappresentazione informatica / Valenti, Graziano Mario. - STAMPA. - (2012), pp. 283-296.
La teoria delle ombre e del chiaroscuro nella rappresentazione informatica.
VALENTI, Graziano Mario
2012
Abstract
Nel disegno digitale, gli algoritmi di calcolo finalizzati alla rappresentazione virtuale del “chiaroscuro” sono stati improntati secondo tre principali linee di sviluppo, indicate rispettivamente da ottica geometrica, ottica fisica e ottica quantistica. Nel primo caso, si considera che il flusso luminoso si propaga secondo raggi rettilinei; nel secondo caso la luce è valutata nella sua natura di onda elettromagnetica; infine, nell’ultimo caso la luce, oltre che onda elettromagnetica, la luce è ritenuta costituita da un flusso di particelle: i ”fotoni”. Per ridurre le problematiche di carattere computazionale, ma anche per la difficoltà di affrontare il problema in modo interdisciplinare, i primi tentativi di implementare digitalmente i concetti del chiaroscuro - cominciati nella seconda metà degli anni Sessanta - traggono ispirazione dall’ottica geometrica. Gli algoritmi di calcolo prodotti in questo primo periodo sono principalmente orientati a rappresentare modelli di illuminazione “locali”, che simulano il comportamento della luce a contatto con oggetti idealmente isolati nello spazio, senza considerare il contributo luminoso proveniente per riflessione dall’ambiente circostante. Le fonti luminose sono adimensionali, associate ad un punto nello spazio, dal quale vengono emessi omnidirezionalmente e uniformemente raggi luminosi della medesima intensità. La teoria di calcolo si basa principalmente sulle leggi di Lambert, Snell, Fresnel. Nei primi anni Ottanta alcuni ricercatori introducono sistemi di calcolo normalmente utilizzati per lo studio delle radiazione termiche. La luce è dunque analizzata nella sua essenza di onda elettromagnetica. Gli algoritmi utilizzati sono orientati alla rappresentazione di modelli di luce globali. Sono considerate sorgenti luminose, tanto le luci inserite nel modello, quanto le superfici capaci di rifletterne i raggi luminosi. Alle sorgenti luminose è possibile associare curve fotometriche e diagrammi di emissione spettrale. Il punto di riferimento teorico diventano le “equazioni di Maxwell”. La ricerca più recente, infine, ispirata da traguardi sempre più ambiziosi quali la simulazione delle caustiche, della fluorescenza e della luminescenza ha trovato nell’approccio quantistico un’ottima soluzione: il flusso luminoso, all’interno della scena virtuale, è così considerato un flusso di fotoni. Nessuno degli algoritmi che hanno fatto la storia dell’ illumination and shading, può oggi considerarsi obsoleto; questa singolarità è probabilmente dovuta alla presenza di diverse capacità computazionali nella tecnologia eterogenea che quotidianamente utilizziamo, così come alla necessità di comunicare anche con modelli semplici e sintetici.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.