SINTESI DI IN CERCA DI LAVORO A ROMA Le più recenti ricerche sulla disoccupazione concordano che questa, oltre a concentrarsi in alcuni ambiti spaziali, si abbatte prevalentemente su particolari gruppi sociali: le donne che chiedono una maggiore partecipazione, i giovani in cerca di prima occupazione, e gli anziani. Ognuna di queste componenti ha qualità delle risorse umane che il mercato profondamente sottovaluta e quindi male alloca, depaupera e spreca. A questi macro fenomeni economico strutturali si sovrappongono però anche fattori istituzionali e sociali locali che configurano aspetti specifici della disoccupazione nei singoli luoghi ed incrementano quantitativamente e qualitativamente l’esclusione di particolari quote dell’offerta di lavoro. E’ in questo quadro che ci sembra di notevole interesse il volume di Paolo Calza Bini, Roberto Cavarra, Piera Rella, In cerca di lavoro a Roma.Aspettative dei giovani e rischio di esclusione, Franco Angeli, editore, 1997. Il libro frutto di più indagini ed approfondimenti di ricerca quanti/qualitativa indaga sulle condizioni dell’offerta giovanile insoddisfatta nell’intento di evidenziare sia uno scenario di alcuni squilibri allocativi che il mercato del lavoro metropolitano romano va definendo, sia alcune principali caratterizzazioni tipologiche dell’offerta giovanile insoddisfatta, nonché le modalità di reazione e di comportamento dei soggetti in stato di disoccupazione più o meno lunga. Il mercato del lavoro laziale é un mercato atipico per la rilevanza che assume il settore pubblico. La dominanza di tale settore crea nei disoccupati elevate aspettative di inserimento, a cui corrisponde però una ristrettezza dei flussi d’ingresso, specie per i giovani in cerca di prima occupazione. Si tratta di un mercato atipico non solo dal lato della domanda , ma anche per le caratteristiche dell’offerta, concentrata nell’area metropolitana romana e fortemente scolarizzata. Oltre che per l’alta scolarizzazione, la disoccupazione laziale si caratterizza come disoccupazione giovanile e femminile..Ciò non vuol dire che manchino disoccupati di ceto basso e con basse risorse culturali, che rischiano di cadere nei circuiti della precarietà e dell’esclusione sociale, ma solo che il tipo più comune di giovane disoccupato romano è prevalentemente una donna di ceto medio, diplomata. La ricerca presso il collocamento, svolta nell’ambito di una ricerca nazionale, ha evidenziato la rilevanza della disoccupazione di lunga durata e la diffusa presenza tra tutti i tipi di disoccupati di esperienze di lavoro poco qualificanti tanto da non essere considerati neppure lavori dagli intervistati. L’ indagine, che permette di misurare in modo articolato il grado di attivismo nella ricerca di lavoro, evidenziando come esso sia differenziato a seconda dell’origine sociale, del titolo di studio e del sesso degli intervistati, mette in luce che la definizione ufficiale di disoccupato é eccessivamente restrittiva. Essa infatti esclude non soggetti che rifiutano lavori poco qualificanti, ma giovani poco scolarizzati, scoraggiati da un lungo periodo di disoccupazione. Gli iscritti al collocamento non sono finti disoccupati: la gran parte degli intervistati sono infatti effettivamente disoccupati, ben pochi essendo gli studenti puri (poco attivi nella ricerca di lavoro) ed anche i lavoratori irregolari ma continuativi. Emerge semmai un intreccio tra formazione e lavoro che sembra indicare un’esigenza alla contemporaneità e all’alternanza tra tra studio e lavoro non prevista dal sistema formativo, nè dalle leggi che regolamentano il mercato del lavoro Approfondendo le differenze tra disoccupati ,emerge come scolarità ed origini sociali siano elementi tra loro intrecciati e fortemente discriminanti: non solo i disoccupati di classe media hanno com’è ovvio titoli più elevati, ma nell’attesa dell’occupazione continuano a studiare, sfruttando la variegata offerta di formazione sia pubblica che privata che la metropoli offre. Dicotomizzando le differenze di classe e quelle per titolo di studio, vengono delineati 4 tipi di disoccupati: i due gruppi più numerosi sono quelli antitetici: i soggetti di classe media e alto titolo e i soggetti di classe bassa e basso titolo, ma i più interessanti sono i due gruppi in cui non c’è corrispondenza tra titolo di studio e classe sociale: quelli di classe bassa e alto titolo che tentano di trovare attraverso lo studio una collocazione occupazionale migliore di quella dei genitori e gli intervistati di classe media e basso titolo che rischiano invece una mobilità discendente Se questo è in sintesi uno degli aspetti più rilevanti che emerge dall’esame della disoccupazione istituzionale (e non meramente statistica ) , lo studio, tuttavia non si è limitato soltanto a ciò, ma ha ampliato l’ indagine anche ad un campione di giovani disoccupati che non si iscrivono al collocamento, sfuggendo così alle rilevazioni ufficiali. L’ analisi di questi giovani disoccupati non iscritti al collocamento, individuati da un campione anagrafico di famiglie di alcuni quartieri romani opportunamente selezionati, ha permesso di confrontarli con coloro che ufficializzano presso l’apposita istituzione del collocamento il loro essere in cerca di lavoro. E’ stato così possibile tracciare un identikit del disoccupato non iscritto al collocamento, dal quale emerge l’ ambiguità di una condizione che é per lo più debole (giovani poco scolarizzati che si accontentano dei lavoretti o lavoracci che il mercato offre), ma in alcuni casi (figli di lavoratori autonomi) fa intravedere la disponibilità di reti parentali ed amicali che permettono di diventare occupati senza passare per il collocamento. Il legame tra atteggiamenti soggettivi e grado di inserimento nel mercato del lavoro risulta molto netto: da un lato troviamo soggetti fiduciosi di trovare il lavoro che cercano, pur avendo fatto esperienze di lavoro solo irregolari , ma come lavoratori autonomi, mentre soggetti con medio- alte risorse culturali che hanno fatto anche esperienze regolari, ma sono da più tempo disoccupati, sono più cauti: pensano che avranno notevoli difficoltà nel trovare il lavoro. In conclusione i disoccupati che emergono dalle diverse ricerche, condotte dagli autori, si collocano su un continuuum inoccupazione- occupazione che va dall’inoccupato, di potenziale lavoratore impiegabile ma non impiegato che costituisce un oggettivo spreco di risorse, all’occupato regolare temporaneo che non ha comunque risolto il problema della disoccupazione. Analizzando le differenze di genere, emerge un maggior livello d’istruzione e un più alto grado di attivismo delle ragazze, che si accompagna però ad un minor numero di esperienze di lavoro. Le indagini sul campo qui analizzate confermano che le donne sono più disoccupate e che la discriminazione iniziata in famiglia, prosegue nel mercato del lavoro con un diverso trattamento che rafforza la costruzione sociale dei due generi. Le disoccupate appaiono relativamentre consapevoli delle maggiori difficoltà di trovare lavoro e cercano di contrastarle con una maggior insistenza nella ricerca. .Si è cercato inoltre di sottoporre a verifica le tesi della permanenza o meno del valore del lavoro nelle coorti giovanili L’analisi muove innanzitutto dall’esame delle esperienze reali di attività lavorative eventualmente fatte dai giovani disoccupati indipendentemente dalla loro occasionalità, irregolarità o saltuarietà nel presupposto che il senso del lavoro, i suoi significati, divengano più espliciti se riferibili ad azioni e comportamenti “praticati” piuttosto che a sole proposizioni e dichiarazioni di intenti in contesti non operativi (come nei sondaggi di opinione). Esaminando quindi la qualità dei lavori praticati, valutando le disponibilità dei giovani al lavoro attraverso le opportunità effettivamente da questi avute, si conferma come il lavoro permanga un ambito di vita centrale e il non averlo accentua i rischi di esclusione e di emarginazione sociale. A conferma di ciò emerge come, non solo i giovani in possesso di scarse risorse culturali siano quelli ad alto rischio di esclusione da ogni tipo di mercato del lavoro ma soprattutto dalle opportunità di lavoro regolare, ma anche coloro in possesso di medi o alti livelli di scolarizzazione non solo non sono esclusi da elevati rischi di disoccupazione ma neppure dalla prospettiva di poter accedere soltanto a scarse, e dequalificate, opportunità di lavoro prevalentemente di tipo irregolare. Ciò apre inquietanti prospettive verso il rischio di slittare nella marginalità e nell’ esclusione non solo lavorativa ma sociale in generale.
La centralità del lavoro / Cavarra, Roberto. - STAMPA. - (1997), pp. 111-136.
La centralità del lavoro
CAVARRA, Roberto
1997
Abstract
SINTESI DI IN CERCA DI LAVORO A ROMA Le più recenti ricerche sulla disoccupazione concordano che questa, oltre a concentrarsi in alcuni ambiti spaziali, si abbatte prevalentemente su particolari gruppi sociali: le donne che chiedono una maggiore partecipazione, i giovani in cerca di prima occupazione, e gli anziani. Ognuna di queste componenti ha qualità delle risorse umane che il mercato profondamente sottovaluta e quindi male alloca, depaupera e spreca. A questi macro fenomeni economico strutturali si sovrappongono però anche fattori istituzionali e sociali locali che configurano aspetti specifici della disoccupazione nei singoli luoghi ed incrementano quantitativamente e qualitativamente l’esclusione di particolari quote dell’offerta di lavoro. E’ in questo quadro che ci sembra di notevole interesse il volume di Paolo Calza Bini, Roberto Cavarra, Piera Rella, In cerca di lavoro a Roma.Aspettative dei giovani e rischio di esclusione, Franco Angeli, editore, 1997. Il libro frutto di più indagini ed approfondimenti di ricerca quanti/qualitativa indaga sulle condizioni dell’offerta giovanile insoddisfatta nell’intento di evidenziare sia uno scenario di alcuni squilibri allocativi che il mercato del lavoro metropolitano romano va definendo, sia alcune principali caratterizzazioni tipologiche dell’offerta giovanile insoddisfatta, nonché le modalità di reazione e di comportamento dei soggetti in stato di disoccupazione più o meno lunga. Il mercato del lavoro laziale é un mercato atipico per la rilevanza che assume il settore pubblico. La dominanza di tale settore crea nei disoccupati elevate aspettative di inserimento, a cui corrisponde però una ristrettezza dei flussi d’ingresso, specie per i giovani in cerca di prima occupazione. Si tratta di un mercato atipico non solo dal lato della domanda , ma anche per le caratteristiche dell’offerta, concentrata nell’area metropolitana romana e fortemente scolarizzata. Oltre che per l’alta scolarizzazione, la disoccupazione laziale si caratterizza come disoccupazione giovanile e femminile..Ciò non vuol dire che manchino disoccupati di ceto basso e con basse risorse culturali, che rischiano di cadere nei circuiti della precarietà e dell’esclusione sociale, ma solo che il tipo più comune di giovane disoccupato romano è prevalentemente una donna di ceto medio, diplomata. La ricerca presso il collocamento, svolta nell’ambito di una ricerca nazionale, ha evidenziato la rilevanza della disoccupazione di lunga durata e la diffusa presenza tra tutti i tipi di disoccupati di esperienze di lavoro poco qualificanti tanto da non essere considerati neppure lavori dagli intervistati. L’ indagine, che permette di misurare in modo articolato il grado di attivismo nella ricerca di lavoro, evidenziando come esso sia differenziato a seconda dell’origine sociale, del titolo di studio e del sesso degli intervistati, mette in luce che la definizione ufficiale di disoccupato é eccessivamente restrittiva. Essa infatti esclude non soggetti che rifiutano lavori poco qualificanti, ma giovani poco scolarizzati, scoraggiati da un lungo periodo di disoccupazione. Gli iscritti al collocamento non sono finti disoccupati: la gran parte degli intervistati sono infatti effettivamente disoccupati, ben pochi essendo gli studenti puri (poco attivi nella ricerca di lavoro) ed anche i lavoratori irregolari ma continuativi. Emerge semmai un intreccio tra formazione e lavoro che sembra indicare un’esigenza alla contemporaneità e all’alternanza tra tra studio e lavoro non prevista dal sistema formativo, nè dalle leggi che regolamentano il mercato del lavoro Approfondendo le differenze tra disoccupati ,emerge come scolarità ed origini sociali siano elementi tra loro intrecciati e fortemente discriminanti: non solo i disoccupati di classe media hanno com’è ovvio titoli più elevati, ma nell’attesa dell’occupazione continuano a studiare, sfruttando la variegata offerta di formazione sia pubblica che privata che la metropoli offre. Dicotomizzando le differenze di classe e quelle per titolo di studio, vengono delineati 4 tipi di disoccupati: i due gruppi più numerosi sono quelli antitetici: i soggetti di classe media e alto titolo e i soggetti di classe bassa e basso titolo, ma i più interessanti sono i due gruppi in cui non c’è corrispondenza tra titolo di studio e classe sociale: quelli di classe bassa e alto titolo che tentano di trovare attraverso lo studio una collocazione occupazionale migliore di quella dei genitori e gli intervistati di classe media e basso titolo che rischiano invece una mobilità discendente Se questo è in sintesi uno degli aspetti più rilevanti che emerge dall’esame della disoccupazione istituzionale (e non meramente statistica ) , lo studio, tuttavia non si è limitato soltanto a ciò, ma ha ampliato l’ indagine anche ad un campione di giovani disoccupati che non si iscrivono al collocamento, sfuggendo così alle rilevazioni ufficiali. L’ analisi di questi giovani disoccupati non iscritti al collocamento, individuati da un campione anagrafico di famiglie di alcuni quartieri romani opportunamente selezionati, ha permesso di confrontarli con coloro che ufficializzano presso l’apposita istituzione del collocamento il loro essere in cerca di lavoro. E’ stato così possibile tracciare un identikit del disoccupato non iscritto al collocamento, dal quale emerge l’ ambiguità di una condizione che é per lo più debole (giovani poco scolarizzati che si accontentano dei lavoretti o lavoracci che il mercato offre), ma in alcuni casi (figli di lavoratori autonomi) fa intravedere la disponibilità di reti parentali ed amicali che permettono di diventare occupati senza passare per il collocamento. Il legame tra atteggiamenti soggettivi e grado di inserimento nel mercato del lavoro risulta molto netto: da un lato troviamo soggetti fiduciosi di trovare il lavoro che cercano, pur avendo fatto esperienze di lavoro solo irregolari , ma come lavoratori autonomi, mentre soggetti con medio- alte risorse culturali che hanno fatto anche esperienze regolari, ma sono da più tempo disoccupati, sono più cauti: pensano che avranno notevoli difficoltà nel trovare il lavoro. In conclusione i disoccupati che emergono dalle diverse ricerche, condotte dagli autori, si collocano su un continuuum inoccupazione- occupazione che va dall’inoccupato, di potenziale lavoratore impiegabile ma non impiegato che costituisce un oggettivo spreco di risorse, all’occupato regolare temporaneo che non ha comunque risolto il problema della disoccupazione. Analizzando le differenze di genere, emerge un maggior livello d’istruzione e un più alto grado di attivismo delle ragazze, che si accompagna però ad un minor numero di esperienze di lavoro. Le indagini sul campo qui analizzate confermano che le donne sono più disoccupate e che la discriminazione iniziata in famiglia, prosegue nel mercato del lavoro con un diverso trattamento che rafforza la costruzione sociale dei due generi. Le disoccupate appaiono relativamentre consapevoli delle maggiori difficoltà di trovare lavoro e cercano di contrastarle con una maggior insistenza nella ricerca. .Si è cercato inoltre di sottoporre a verifica le tesi della permanenza o meno del valore del lavoro nelle coorti giovanili L’analisi muove innanzitutto dall’esame delle esperienze reali di attività lavorative eventualmente fatte dai giovani disoccupati indipendentemente dalla loro occasionalità, irregolarità o saltuarietà nel presupposto che il senso del lavoro, i suoi significati, divengano più espliciti se riferibili ad azioni e comportamenti “praticati” piuttosto che a sole proposizioni e dichiarazioni di intenti in contesti non operativi (come nei sondaggi di opinione). Esaminando quindi la qualità dei lavori praticati, valutando le disponibilità dei giovani al lavoro attraverso le opportunità effettivamente da questi avute, si conferma come il lavoro permanga un ambito di vita centrale e il non averlo accentua i rischi di esclusione e di emarginazione sociale. A conferma di ciò emerge come, non solo i giovani in possesso di scarse risorse culturali siano quelli ad alto rischio di esclusione da ogni tipo di mercato del lavoro ma soprattutto dalle opportunità di lavoro regolare, ma anche coloro in possesso di medi o alti livelli di scolarizzazione non solo non sono esclusi da elevati rischi di disoccupazione ma neppure dalla prospettiva di poter accedere soltanto a scarse, e dequalificate, opportunità di lavoro prevalentemente di tipo irregolare. Ciò apre inquietanti prospettive verso il rischio di slittare nella marginalità e nell’ esclusione non solo lavorativa ma sociale in generale.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.


