La chirurgia plastica ha avuto negli ultimi anni una grande diffusione che ha interessato tutte le fasce di popolazione, questo ha comportato il parallelo sviluppo di strutture e di anestesisti dedicati. Parimenti, le tecniche anestesiologiche in chirurgia plastica si sono sviluppate e differenziate, come è successo per altre specialità chirurgiche, fino ad assumere peculiarità importanti rispetto alla pratica anestesiologica generale. In primo luogo, è importante considerare che mentre esiste una “chirurgia minore”, non riferendosi alla sua nobiltà, ma semplicemente all’entità dell’aggressione fisica prevista per l’atto operatorio, non esiste un’anestesia minore, ed anche il più banale degli atti anestesiologici, come l’infiltrazione locale con anestetico, può scatenare reazioni che possono arrivare, se non riconosciute e trattate, a porre in pericolo la vita del paziente. Inoltre, il paziente che si rivolge ad un chirurgo plastico, manifesta esigenze chirurgiche che spesso non nascono dalla necessità di trattare una patologia, più spesso si tratta di pazienti in buona salute, determinati a ad affrontare i rischi di un intervento chirurgico per migliorare l’immagine del proprio corpo, la propria autostima e la qualità di vita. Risulta quindi imperativo in tali situazioni, ridurre al minimo qualsiasi rischio evitabile e porre il paziente nella condizione di comprendere, condividere, e accettare le procedure messe in atto per garantire la sua sicurezza e la sua soddisfazione. L’anestesista si inserisce quindi in questo contesto come una figura rassicurante e propositiva, le cui attenzioni sono volte a far partecipare il paziente alle scelte terapeutiche che meglio si adattano alle inclinazioni personali e alla riuscita dell’intervento.
Anestesia in chirurgia estetica: prospettiva Europea / DI MARCO, Pierangelo; G., Sanpietro; R., Bellucci. - STAMPA. - (2012).
Anestesia in chirurgia estetica: prospettiva Europea
DI MARCO, Pierangelo;
2012
Abstract
La chirurgia plastica ha avuto negli ultimi anni una grande diffusione che ha interessato tutte le fasce di popolazione, questo ha comportato il parallelo sviluppo di strutture e di anestesisti dedicati. Parimenti, le tecniche anestesiologiche in chirurgia plastica si sono sviluppate e differenziate, come è successo per altre specialità chirurgiche, fino ad assumere peculiarità importanti rispetto alla pratica anestesiologica generale. In primo luogo, è importante considerare che mentre esiste una “chirurgia minore”, non riferendosi alla sua nobiltà, ma semplicemente all’entità dell’aggressione fisica prevista per l’atto operatorio, non esiste un’anestesia minore, ed anche il più banale degli atti anestesiologici, come l’infiltrazione locale con anestetico, può scatenare reazioni che possono arrivare, se non riconosciute e trattate, a porre in pericolo la vita del paziente. Inoltre, il paziente che si rivolge ad un chirurgo plastico, manifesta esigenze chirurgiche che spesso non nascono dalla necessità di trattare una patologia, più spesso si tratta di pazienti in buona salute, determinati a ad affrontare i rischi di un intervento chirurgico per migliorare l’immagine del proprio corpo, la propria autostima e la qualità di vita. Risulta quindi imperativo in tali situazioni, ridurre al minimo qualsiasi rischio evitabile e porre il paziente nella condizione di comprendere, condividere, e accettare le procedure messe in atto per garantire la sua sicurezza e la sua soddisfazione. L’anestesista si inserisce quindi in questo contesto come una figura rassicurante e propositiva, le cui attenzioni sono volte a far partecipare il paziente alle scelte terapeutiche che meglio si adattano alle inclinazioni personali e alla riuscita dell’intervento.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.