La modernità e il motivo del viaggio nel primo Sophus Claussen: da Pilefløjter a Valfart.

L’anonimato delle grandi città, i treni e le stazioni, i volti di donna notati di sfuggita e poi rammemoranti e trasfigurati nella poesia costituiscono, da Baudelaire in poi, il lessico della modernità su cui si articola il passaggio dall’idealità del Romanticismo alla frammentarietà e instabilità del Novecento urbano e industriale. L’articolo si propone di rintracciare questa evoluzione nel poeta danese Sophus Claussen, dalle liriche della raccolta Pilefløjter al romanzo Valfart, ambientato in un’Italia fin de siècle e teso a ricercare un’organicità di visione tra l’imprevedibilità dell’eros e l’utopia sociale. Sotto il suo sguardo curioso e irriverente la Roma dei Papi e l’arte di Michelangelo, la cultura cattolica e la bellezza femminile, si traducono in corrispondenze che aprono la parola poetica al linguaggio frammentario e composito della modernità.