Il contenitore non è una tipologia. Il contenitore è un volume generico che racchiude un insieme di spazi funzionalmente eterogenei. Per le dimensioni che può raggiungere e per la quantità di funzioni che può ospitare, il contenitore ibrido è un “accumulatore topologico” (Purini 2002) e un luogo urbano, sebbene introverso. Ora, la concentrazione di porzioni di città dentro delle “scatole” di grandi dimensioni rappresenta, secondo la tesi avanzata in questo testo, l’aspirazione moderna a realizzare tramite l’architettura una nuova forma di società collettiva e comunitaria, e al tempo stesso, come cartina di tornasole del fallimento di questo stesso progetto. In sostanza, il contenitore ibrido rappresenta la parabola dell’utopia moderna, dagli esordi eroici al suo declino. Se infatti il contenitore moderno ha incarnato il progetto di redenzione della società attraverso l’architettura, le condizioni che si sono prodotte nel corso del tempo hanno provocato la perdita dell’impulso alla trasformazione positiva del mondo, facendo del contenitore ibrido un luogo di approdo singolare, completo di tutto ma fatalmente autoreferenziale. L’origine del contenitore è la scatola, vale a dire il parallelepipedo, prototipo dell’architettura moderna. Senza Le Corbusier e i suoi 5 punti, non esisterebbe il contenitore. La teoria della separazione tra le strutture portanti e le strutture di tamponamento hanno permesso quella autonomia delle parti che ha reso possibile il disegno di piante e sezioni libere e di prospetti senza più facciate. Tra i numerosi contenitori che possono essere citati ad esempio, il parlamento di Chandigarh e la Crown Hall di Mies van der Rohe possono essere considerati dei manifesti che hanno, per strade diverse, re-inventato i codici della città confezionando dei volumi liberi e indipendenti, dislocati in maniera strategica rispetto al tessuto urbano. Il contenitore ibrido, che a questo punto può essere definito una figura archetipa della modernità, non è però soltanto quello firmato dei maestri, Nelle versioni di massa come i contenitori delle Esposizioni Universali prima e dei centri commerciali poi, hanno rappresentato il contesto nel quale realizzare un “urbanesimo felice” liberato dagli aspetti negativi della città – povertà, delinquenza, traffico –, con la variante che nelle loro rue-corridors non sono stati incentivati gli scambi sociali e la solidarietà, come avevano ipotizzato Fourier e il socialismo, bensì il consumo delle merci e la soddisfazione dei desideri individuali. Tra i sostenitori dell’architettura del contenitore, Rem Koolhaas può essere considerato il più appassionato. Quando parla del contenitore, Koolhaas non si riferisce solo ad un edificio di grande dimensione, ma all’icona della contemporaneità. La ragione è fondata sulla tesi che la modernità non è un percorso lineare di emancipazione dall’arcaico al razionale, ma un processo di ibridazione che ha impedito la piena affermazione del nuovo. Se come sostiene Rino Genovese la sopravvivenza delle forme di vita tradizionali è la “manifestazione della strutturale impossibilità della modernità di liquidare il nucleo profondo dell’arcaico” (Genovese 1992), la questione dell’architettura diventa quella di mettersi dentro la dialettica Content-Context e rispondere all’interrogativo: come far convivere New York con Lagos? Secondo il modello Koolhaas la soluzione a questa condizione è la figura dell’arca di Noè, un edificio-oggetto all-inclusive che ingloba il maggior numero di funzioni urbane.

Il contenitore ibrido / Criconia, Alessandra. - STAMPA. - (2012), pp. 146-154.

Il contenitore ibrido

CRICONIA, Alessandra
2012

Abstract

Il contenitore non è una tipologia. Il contenitore è un volume generico che racchiude un insieme di spazi funzionalmente eterogenei. Per le dimensioni che può raggiungere e per la quantità di funzioni che può ospitare, il contenitore ibrido è un “accumulatore topologico” (Purini 2002) e un luogo urbano, sebbene introverso. Ora, la concentrazione di porzioni di città dentro delle “scatole” di grandi dimensioni rappresenta, secondo la tesi avanzata in questo testo, l’aspirazione moderna a realizzare tramite l’architettura una nuova forma di società collettiva e comunitaria, e al tempo stesso, come cartina di tornasole del fallimento di questo stesso progetto. In sostanza, il contenitore ibrido rappresenta la parabola dell’utopia moderna, dagli esordi eroici al suo declino. Se infatti il contenitore moderno ha incarnato il progetto di redenzione della società attraverso l’architettura, le condizioni che si sono prodotte nel corso del tempo hanno provocato la perdita dell’impulso alla trasformazione positiva del mondo, facendo del contenitore ibrido un luogo di approdo singolare, completo di tutto ma fatalmente autoreferenziale. L’origine del contenitore è la scatola, vale a dire il parallelepipedo, prototipo dell’architettura moderna. Senza Le Corbusier e i suoi 5 punti, non esisterebbe il contenitore. La teoria della separazione tra le strutture portanti e le strutture di tamponamento hanno permesso quella autonomia delle parti che ha reso possibile il disegno di piante e sezioni libere e di prospetti senza più facciate. Tra i numerosi contenitori che possono essere citati ad esempio, il parlamento di Chandigarh e la Crown Hall di Mies van der Rohe possono essere considerati dei manifesti che hanno, per strade diverse, re-inventato i codici della città confezionando dei volumi liberi e indipendenti, dislocati in maniera strategica rispetto al tessuto urbano. Il contenitore ibrido, che a questo punto può essere definito una figura archetipa della modernità, non è però soltanto quello firmato dei maestri, Nelle versioni di massa come i contenitori delle Esposizioni Universali prima e dei centri commerciali poi, hanno rappresentato il contesto nel quale realizzare un “urbanesimo felice” liberato dagli aspetti negativi della città – povertà, delinquenza, traffico –, con la variante che nelle loro rue-corridors non sono stati incentivati gli scambi sociali e la solidarietà, come avevano ipotizzato Fourier e il socialismo, bensì il consumo delle merci e la soddisfazione dei desideri individuali. Tra i sostenitori dell’architettura del contenitore, Rem Koolhaas può essere considerato il più appassionato. Quando parla del contenitore, Koolhaas non si riferisce solo ad un edificio di grande dimensione, ma all’icona della contemporaneità. La ragione è fondata sulla tesi che la modernità non è un percorso lineare di emancipazione dall’arcaico al razionale, ma un processo di ibridazione che ha impedito la piena affermazione del nuovo. Se come sostiene Rino Genovese la sopravvivenza delle forme di vita tradizionali è la “manifestazione della strutturale impossibilità della modernità di liquidare il nucleo profondo dell’arcaico” (Genovese 1992), la questione dell’architettura diventa quella di mettersi dentro la dialettica Content-Context e rispondere all’interrogativo: come far convivere New York con Lagos? Secondo il modello Koolhaas la soluzione a questa condizione è la figura dell’arca di Noè, un edificio-oggetto all-inclusive che ingloba il maggior numero di funzioni urbane.
2012
Teorie figure architetti del modernocontemporaneo
9788849222050
architettura; contenitore; ibridazione
02 Pubblicazione su volume::02a Capitolo o Articolo
Il contenitore ibrido / Criconia, Alessandra. - STAMPA. - (2012), pp. 146-154.
File allegati a questo prodotto
File Dimensione Formato  
Criconia_Contenitore-ibrido_2012.pdf

solo gestori archivio

Note: copertina, articolo, retro di copertina
Tipologia: Versione editoriale (versione pubblicata con il layout dell'editore)
Licenza: Tutti i diritti riservati (All rights reserved)
Dimensione 1.41 MB
Formato Adobe PDF
1.41 MB Adobe PDF   Contatta l'autore

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/443263
Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact