Un sabato pomeriggio, all’età di quindici anni, Louise e la sua amica Susan vanno al cinema, come di consueto. Quel giorno proiettano Vertigo di Alfred Hitchcock, ma per loro non ha alcuna importanza, dal momento che l’intento principale di queste escursioni pomeridiane è incontrare dei ragazzi con cui condividere brevi momenti di intenso piacere fisico, con la complicità del buio del cinema. Quel pomeriggio in particolare, però, il ragazzo che Louise sta aspettando non arriva e quindi a lei non resta che guardare il film. La sua attenzione viene immediatamente catturata dal personaggio principale, impersonato da James Stewart, che soffre di vertigini. Louise riconosce in questi sintomi quelli che l’hanno accompagnata per tutta la vita: vertigine, paura di cadere, sensazione di svenimento. La giovane Louise, per motivi che a quel tempo non riesce a spiegare, sviluppa una vera e propria ossessione per quel film, che rivede per ben undici volte nella stessa settimana. Solo dopo molti anni l’autrice analizza il proprio senso di svenimento, mettendolo in connessione con le esperienze traumatiche della propria vita: le molestie sessuali subite da bambina, il suicidio della sorella e la morte della madre. In questo processo di analisi scopre la comune etimologia delle parole vertigo e verse, ‘vertigine’ e ‘verso, versificare’. Entrambe derivano dal latino vertere, volgere, girare. L’atto di volgere, pertanto, ha due valenze differenti: una è spaventosa e distruttiva, l’altra preziosa e creativa. ‘Vertigine’ è la sensazione di venire risucchiati da un vortice, che produce un senso di instabilità e di mancamento. Anche la parola ‘verso’ contiene in sé l’idea di girare, di volgere, ma in modo differente: l’atto del versificare consiste proprio nel volgere una frase in un verso. Louise DeSalvo scopre che è possibile volgere il suo senso di vertigine in versi, che è possibile rimanere intrappolati nel movimento rotatorio del senso di vertigine, ma che, col tempo, è anche possibile controllarlo e trasformarlo in un movimento positivo: volgere in versi, trasformare in scrittura. Le ragioni del senso di vertigine di Louise DeSalvo sembrano legate a motivi tanto personali che culturali. Italoamericana di terza generazione, la scrittrice è nata a Jersey City nel 1942 da una famiglia di origini modeste ed è cresciuta a Hoboken, New Jersey. Da bambina, come racconta lei stessa, non avverte in modo forte il divario tra se stessa e il mondo esterno, dal momento che vive in un quartiere italoamericano. Quando cresce, tuttavia, mostra di avere aspirazioni che generalmente vengono considerate anticonvenzionali per una ragazza di origini italiane negli anni Cinquanta. Louise avverte che la cultura da cui proviene tratta con sospetto le sue ambizioni accademiche e il suo desiderio di indipendenza. Negli anni Settanta scrive un saggio in seguito ampliato e incluso in Vertigo con il titolo “Ritratto di una puttana di mezza età”, nel quale mette in discussione tanto il termine ‘puttana’ quanto le regole che sanciscono l’immoralità di una donna, specie se italoamericana, con una vita indipendente e una brillante carriera. Il ruolo femminile nella cultura italoamericana degli anni Sessanta è ancora confinato al modello dell’‘angelo del focolare’ di woolfiana memoria, che richiede alle donne il totale sacrificio personale per il raggiungimento del benessere e della felicità altrui. Se nell’iconografia classica le donne italoamericane sono rappresentate perennemente affaccendate in cucina, Louise DeSalvo intende provare alla società che una donna italoamericana può diventare una scrittrice e un’intellettuale. E, col tempo, anche recuperare la tradizione e la cultura d’origine della propria famiglia.

Vertigo / Romeo, Caterina Stefania. - STAMPA. - (2006), pp. 1-301.

Vertigo

ROMEO, Caterina Stefania
2006

Abstract

Un sabato pomeriggio, all’età di quindici anni, Louise e la sua amica Susan vanno al cinema, come di consueto. Quel giorno proiettano Vertigo di Alfred Hitchcock, ma per loro non ha alcuna importanza, dal momento che l’intento principale di queste escursioni pomeridiane è incontrare dei ragazzi con cui condividere brevi momenti di intenso piacere fisico, con la complicità del buio del cinema. Quel pomeriggio in particolare, però, il ragazzo che Louise sta aspettando non arriva e quindi a lei non resta che guardare il film. La sua attenzione viene immediatamente catturata dal personaggio principale, impersonato da James Stewart, che soffre di vertigini. Louise riconosce in questi sintomi quelli che l’hanno accompagnata per tutta la vita: vertigine, paura di cadere, sensazione di svenimento. La giovane Louise, per motivi che a quel tempo non riesce a spiegare, sviluppa una vera e propria ossessione per quel film, che rivede per ben undici volte nella stessa settimana. Solo dopo molti anni l’autrice analizza il proprio senso di svenimento, mettendolo in connessione con le esperienze traumatiche della propria vita: le molestie sessuali subite da bambina, il suicidio della sorella e la morte della madre. In questo processo di analisi scopre la comune etimologia delle parole vertigo e verse, ‘vertigine’ e ‘verso, versificare’. Entrambe derivano dal latino vertere, volgere, girare. L’atto di volgere, pertanto, ha due valenze differenti: una è spaventosa e distruttiva, l’altra preziosa e creativa. ‘Vertigine’ è la sensazione di venire risucchiati da un vortice, che produce un senso di instabilità e di mancamento. Anche la parola ‘verso’ contiene in sé l’idea di girare, di volgere, ma in modo differente: l’atto del versificare consiste proprio nel volgere una frase in un verso. Louise DeSalvo scopre che è possibile volgere il suo senso di vertigine in versi, che è possibile rimanere intrappolati nel movimento rotatorio del senso di vertigine, ma che, col tempo, è anche possibile controllarlo e trasformarlo in un movimento positivo: volgere in versi, trasformare in scrittura. Le ragioni del senso di vertigine di Louise DeSalvo sembrano legate a motivi tanto personali che culturali. Italoamericana di terza generazione, la scrittrice è nata a Jersey City nel 1942 da una famiglia di origini modeste ed è cresciuta a Hoboken, New Jersey. Da bambina, come racconta lei stessa, non avverte in modo forte il divario tra se stessa e il mondo esterno, dal momento che vive in un quartiere italoamericano. Quando cresce, tuttavia, mostra di avere aspirazioni che generalmente vengono considerate anticonvenzionali per una ragazza di origini italiane negli anni Cinquanta. Louise avverte che la cultura da cui proviene tratta con sospetto le sue ambizioni accademiche e il suo desiderio di indipendenza. Negli anni Settanta scrive un saggio in seguito ampliato e incluso in Vertigo con il titolo “Ritratto di una puttana di mezza età”, nel quale mette in discussione tanto il termine ‘puttana’ quanto le regole che sanciscono l’immoralità di una donna, specie se italoamericana, con una vita indipendente e una brillante carriera. Il ruolo femminile nella cultura italoamericana degli anni Sessanta è ancora confinato al modello dell’‘angelo del focolare’ di woolfiana memoria, che richiede alle donne il totale sacrificio personale per il raggiungimento del benessere e della felicità altrui. Se nell’iconografia classica le donne italoamericane sono rappresentate perennemente affaccendate in cucina, Louise DeSalvo intende provare alla società che una donna italoamericana può diventare una scrittrice e un’intellettuale. E, col tempo, anche recuperare la tradizione e la cultura d’origine della propria famiglia.
2006
978-88-88389-54-7
letteratura italoamericana; memoir; migrazioni; genere
03 Monografia::03e Traduzione di libro
Vertigo / Romeo, Caterina Stefania. - STAMPA. - (2006), pp. 1-301.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/424946
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