VeMa: Agricultural Architecture L’interessante operazione sperimentale di VeMa cavalca - più o meno consciamente - un’idea avanguardistica che definirei Agricultural Architecture e che produce l’architetto-agrimensore. Questi in primo luogo si sente investito dal compito di delimitare e suddividere un terreno in parti distribuite da un sistema (di irrigazione concettuale), senza aggiungere nessun altro segno sul territorio. Di tale ruolo si è fatto carico Franco Purini alla decima mostra internazionale di architettura della Biennale di Venezia recentemente conclusasi, questa volta occupandosi della dimensione territoriale in modo diverso rispetto a precedenti sue esperienze nelle quali ha compiuto descrizioni ambientali fino alla scala degli spazi dell’architettura, qui fermandosi alla dimensione agricola del tema, al suo grado zero. Purini sceglie un’area astratta e qualsiasi della vasta pianura veneta al confine con la Lombardia senza particolari connotazioni. Non vi sono colline, non vi è una laguna, non un lago, un bosco o un’isola di fiume. Il suo intervento si limita ad accorpare alcune probabili particelle catastali che potrebbero più o meno casualmente conformare un fondo agricolo, effettuare un virtuale passaggio di aratro sul terreno per renderne fertile la zolla, dar luogo a un minimale sistema distributivo (che non vuole assolutamente assomigliare a una lottizzazione), assegnare a una ventina di architetti altrettanti appezzamenti sui quali seminare le proprie idee. Nella mente di Purini da ognuno di essi nasceranno come ortaggi - ovvero come se fossero ravanelli, zucchine, cavoli, peperoncini, lattughe, cocomeri, ecc. - altrettanti edifici che, tutti insieme, daranno luogo a quell’immagine di orto, prima ancora che di città, da sempre confortante per la vista, l’olfatto e il gusto insieme. Naturalmente qua e là rimane qualche ortica, ma la sua presenza, nella nuova dimensione ortense dell’architettura, non può che favorire la sostenibilità della trasposizione in chiave bucolica del fenomeno fondativo di un nuovo nucleo urbano, utile a rendere meno duro il compito di risarcire il virtuale colpo inferto all’ampia porzione di territorio vergine del pianeta. In fondo, sia pur con uno stretto flesso concettuale, orto era e orto rimane. Piacentini, come invece è stato detto, con VeMa non c’entra nulla. Egli amava la città conclusa, la città nella città, la città proibita, quindi il roseto, la villa urbana, le siepi disegnate. Questa è la città fertile, la città da esperimento genetico, fors’anche un po’ cinica ma nella quale, proprio perché priva di un disegno concluso, a seguito della “semina” e “messa a dimora” degli edifici sul proprio territorio, rende ora possibile valutare le possibilità da questi spontaneamente generate di dar luogo a ipotesi migliorative rispetto alle note e spesso asfittiche formule insediative degli ultimi decenni. Anche se rare - al di là del segno dei risultati conseguiti, in ogni caso utili a correggere il tiro - e senza dimenticare che se una zucca non fa cubatura un edificio si, sperimentazioni teoriche di questo tipo sono particolarmente ben accette. (Ruggero Lenci)

VeMa: Agricultural Architecture, PresS/Tletter n. 36- 2006 / Lenci, Ruggero. - ELETTRONICO. - (2006).

VeMa: Agricultural Architecture, PresS/Tletter n. 36- 2006

LENCI, Ruggero
2006

Abstract

VeMa: Agricultural Architecture L’interessante operazione sperimentale di VeMa cavalca - più o meno consciamente - un’idea avanguardistica che definirei Agricultural Architecture e che produce l’architetto-agrimensore. Questi in primo luogo si sente investito dal compito di delimitare e suddividere un terreno in parti distribuite da un sistema (di irrigazione concettuale), senza aggiungere nessun altro segno sul territorio. Di tale ruolo si è fatto carico Franco Purini alla decima mostra internazionale di architettura della Biennale di Venezia recentemente conclusasi, questa volta occupandosi della dimensione territoriale in modo diverso rispetto a precedenti sue esperienze nelle quali ha compiuto descrizioni ambientali fino alla scala degli spazi dell’architettura, qui fermandosi alla dimensione agricola del tema, al suo grado zero. Purini sceglie un’area astratta e qualsiasi della vasta pianura veneta al confine con la Lombardia senza particolari connotazioni. Non vi sono colline, non vi è una laguna, non un lago, un bosco o un’isola di fiume. Il suo intervento si limita ad accorpare alcune probabili particelle catastali che potrebbero più o meno casualmente conformare un fondo agricolo, effettuare un virtuale passaggio di aratro sul terreno per renderne fertile la zolla, dar luogo a un minimale sistema distributivo (che non vuole assolutamente assomigliare a una lottizzazione), assegnare a una ventina di architetti altrettanti appezzamenti sui quali seminare le proprie idee. Nella mente di Purini da ognuno di essi nasceranno come ortaggi - ovvero come se fossero ravanelli, zucchine, cavoli, peperoncini, lattughe, cocomeri, ecc. - altrettanti edifici che, tutti insieme, daranno luogo a quell’immagine di orto, prima ancora che di città, da sempre confortante per la vista, l’olfatto e il gusto insieme. Naturalmente qua e là rimane qualche ortica, ma la sua presenza, nella nuova dimensione ortense dell’architettura, non può che favorire la sostenibilità della trasposizione in chiave bucolica del fenomeno fondativo di un nuovo nucleo urbano, utile a rendere meno duro il compito di risarcire il virtuale colpo inferto all’ampia porzione di territorio vergine del pianeta. In fondo, sia pur con uno stretto flesso concettuale, orto era e orto rimane. Piacentini, come invece è stato detto, con VeMa non c’entra nulla. Egli amava la città conclusa, la città nella città, la città proibita, quindi il roseto, la villa urbana, le siepi disegnate. Questa è la città fertile, la città da esperimento genetico, fors’anche un po’ cinica ma nella quale, proprio perché priva di un disegno concluso, a seguito della “semina” e “messa a dimora” degli edifici sul proprio territorio, rende ora possibile valutare le possibilità da questi spontaneamente generate di dar luogo a ipotesi migliorative rispetto alle note e spesso asfittiche formule insediative degli ultimi decenni. Anche se rare - al di là del segno dei risultati conseguiti, in ogni caso utili a correggere il tiro - e senza dimenticare che se una zucca non fa cubatura un edificio si, sperimentazioni teoriche di questo tipo sono particolarmente ben accette. (Ruggero Lenci)
2006
PresS/Tletter n. 36- 2006
Ve-Ma; Agricultural Architecture; architetto-agrimensore
02 Pubblicazione su volume::02b Commentario
VeMa: Agricultural Architecture, PresS/Tletter n. 36- 2006 / Lenci, Ruggero. - ELETTRONICO. - (2006).
File allegati a questo prodotto
Non ci sono file associati a questo prodotto.

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/415021
 Attenzione

Attenzione! I dati visualizzati non sono stati sottoposti a validazione da parte dell'ateneo

Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact