Sperimentazioni eugenetiche nell’Università italiana: dalla fecondità, alla sterilità, all’emofilia culturale Il titolo e il contenuto di questo scritto vogliono costituire una critica al fatto che le commissioni dei concorsi universitari sono oggi formate soltanto da professori ordinari. Ciò ha provocato di botto la sterilità, metaforicamente parlando, delle altre due fasce, associati e ricercatori, che prima invece ne facevano parte. Essere “sterili” insterilisce la cultura di un paese, e di ciò è responsabile non tanto il contestatissimo DDL Gelmini sulla riforma del sistema universitario appena approvato alla Camera dei Deputati, quanto il DM 27 marzo 2009, art. 2 comma 2. Cosa intendo dire. I “baroni” di un tempo dialogavano, nei concorsi, con i professori associati e con i ricercatori. Oggi sono solo gli ordinari a decidere chi “passerà”, sono solo loro a essere "fecondi". Le altre due fasce sono divenute da questo punto di vista "sterili", non avendo più alcuna voce in capitolo. Esse non possono più andare a votare i membri delle Commissioni, né possono più prenderne parte, non hanno più alcun peso nell’allevare una “covata” di giovani ricercatori perché tale covata viene allevata e “fecondata” solo dall’ordinario. Fecondare, qui vuol dire “strutturare”, ovvero far entrare in modo stabile all’interno del sistema universitario un laureato, un cultore della materia, un dottore di ricerca. Allevare vuol dire “nutrire”, dare la possibilità di crescere, e se si è autorizzati a farlo, se si ha il monopolio “ope-legis” com’è successo a partire dal 2009, il baronato si chiude a riccio e l’universo universitario si restringe come il diaframma di un obiettivo. Questo è ciò che il Governo ha pervicacemente messo in atto, insieme ad altre manovre mirate all’indebolimento della formazione pubblica e a favore del rafforzamento di quella privata. Per dirla con uno slogan: ha annullato la differenza tra CEPU e le Sapienze italiane. Ha rinsaldato la “monarchia” baronale e, con essa, la speciazione della “monogamia intellettuale” fatta di una sola “specie” fertile e fedele solo a se stessa, i baroni, i soli autorizzati a scambiarsi il “materiale genetico” necessario a “fecondare” un nuovo ricercatore, un nuovo associato, un nuovo ordinario. Spesso si tratta, neanche a dirlo, di una fecondazione assistita, in provetta, di una clonazione. Dato che la monogamia intellettuale è un danno per l’evoluzione della cultura, com’è noto a tutti, e come ho sottolineato in un testo pubblicato nella presstletter n. 30/2010, averla alimentata anche con il DM 27 marzo 2009 è un forte passo indietro. Né valgono le repliche di quanti sostengono che gli associati e i ricercatori, in quanto ricattabili, facevano quello che volevano e dicevano gli ordinari. A parte il fatto che ciò non è sempre vero - ad esempio nel 2000 Sergio Petruccioli in qualità di ordinario e presidente di una commissione di concorso per ricercatore ICAR 14 è stato messo in minoranza da un associato e un ricercatore - è molto meglio il dialogo vigoroso in campo aperto tra le varie fasce, anche sotto tiro, piuttosto che l’insterilimento di una cultura che, in questo modo, regredisce al sistema delle caste. E’ noto che l’accoppiamento all’interno di una stretta cerchia familiare rischia di produrre l’emofilia. Questo è il pericolo per tutti i settori scientifico-disciplinari. Da noi questo DM rischia di produrre “architetti emofiliaci”, progettisti sì appartenenti a una scuola di pensiero, quella del barone sponsor, ma anche indeboliti da quella stessa scuola, alienati ai “vapori” di un’identità quasi sempre inafferrabile come uno stormo di storni, quella del barone, personaggio che inoltre troppo spesso esige anni di gratitudine da parte del nuovo designato. Una gratitudine da dimostrarsi con citazioni nelle pubblicazioni, favori di ogni tipo, organizzazione delle lezioni, delle pubblicazioni, di mostre ed eventi. Ecco purtroppo la condizione, in molti casi accattona, alla quale viene condannata l’università italiana. Esaminando più a fondo l’art. 2 del su citato DM, emerge il combinato disposto di almeno due questioni. La prima è che un meccanismo dei sorteggi ideato su tre fasce sarebbe risultato molto più complesso da gestire di quello da operarsi su una sola fascia (ma che tristezza se la formazione in Italia si facesse guidare da simili considerazioni). La seconda (certamente più vera ma anche più triste) è che si è voluto dare un vistoso omaggio ai pochi ordinari in cambio di un tacito quanto pilotato consenso. Non a tutte le fasce quindi, ma solo a quella più forte, rendendola di fatto l’unica “feconda”. Nel tipico stile di chi, storicamente, ama le sperimentazioni eugenetiche. Ruggero Lenci

Sperimentazioni eugenetiche nell’Università italiana: dalla fecondità, alla sterilità, all’emofilia culturale. presS/Tletter n.32-2010 / Lenci, Ruggero. - ELETTRONICO. - (2010).

Sperimentazioni eugenetiche nell’Università italiana: dalla fecondità, alla sterilità, all’emofilia culturale. presS/Tletter n.32-2010.

LENCI, Ruggero
2010

Abstract

Sperimentazioni eugenetiche nell’Università italiana: dalla fecondità, alla sterilità, all’emofilia culturale Il titolo e il contenuto di questo scritto vogliono costituire una critica al fatto che le commissioni dei concorsi universitari sono oggi formate soltanto da professori ordinari. Ciò ha provocato di botto la sterilità, metaforicamente parlando, delle altre due fasce, associati e ricercatori, che prima invece ne facevano parte. Essere “sterili” insterilisce la cultura di un paese, e di ciò è responsabile non tanto il contestatissimo DDL Gelmini sulla riforma del sistema universitario appena approvato alla Camera dei Deputati, quanto il DM 27 marzo 2009, art. 2 comma 2. Cosa intendo dire. I “baroni” di un tempo dialogavano, nei concorsi, con i professori associati e con i ricercatori. Oggi sono solo gli ordinari a decidere chi “passerà”, sono solo loro a essere "fecondi". Le altre due fasce sono divenute da questo punto di vista "sterili", non avendo più alcuna voce in capitolo. Esse non possono più andare a votare i membri delle Commissioni, né possono più prenderne parte, non hanno più alcun peso nell’allevare una “covata” di giovani ricercatori perché tale covata viene allevata e “fecondata” solo dall’ordinario. Fecondare, qui vuol dire “strutturare”, ovvero far entrare in modo stabile all’interno del sistema universitario un laureato, un cultore della materia, un dottore di ricerca. Allevare vuol dire “nutrire”, dare la possibilità di crescere, e se si è autorizzati a farlo, se si ha il monopolio “ope-legis” com’è successo a partire dal 2009, il baronato si chiude a riccio e l’universo universitario si restringe come il diaframma di un obiettivo. Questo è ciò che il Governo ha pervicacemente messo in atto, insieme ad altre manovre mirate all’indebolimento della formazione pubblica e a favore del rafforzamento di quella privata. Per dirla con uno slogan: ha annullato la differenza tra CEPU e le Sapienze italiane. Ha rinsaldato la “monarchia” baronale e, con essa, la speciazione della “monogamia intellettuale” fatta di una sola “specie” fertile e fedele solo a se stessa, i baroni, i soli autorizzati a scambiarsi il “materiale genetico” necessario a “fecondare” un nuovo ricercatore, un nuovo associato, un nuovo ordinario. Spesso si tratta, neanche a dirlo, di una fecondazione assistita, in provetta, di una clonazione. Dato che la monogamia intellettuale è un danno per l’evoluzione della cultura, com’è noto a tutti, e come ho sottolineato in un testo pubblicato nella presstletter n. 30/2010, averla alimentata anche con il DM 27 marzo 2009 è un forte passo indietro. Né valgono le repliche di quanti sostengono che gli associati e i ricercatori, in quanto ricattabili, facevano quello che volevano e dicevano gli ordinari. A parte il fatto che ciò non è sempre vero - ad esempio nel 2000 Sergio Petruccioli in qualità di ordinario e presidente di una commissione di concorso per ricercatore ICAR 14 è stato messo in minoranza da un associato e un ricercatore - è molto meglio il dialogo vigoroso in campo aperto tra le varie fasce, anche sotto tiro, piuttosto che l’insterilimento di una cultura che, in questo modo, regredisce al sistema delle caste. E’ noto che l’accoppiamento all’interno di una stretta cerchia familiare rischia di produrre l’emofilia. Questo è il pericolo per tutti i settori scientifico-disciplinari. Da noi questo DM rischia di produrre “architetti emofiliaci”, progettisti sì appartenenti a una scuola di pensiero, quella del barone sponsor, ma anche indeboliti da quella stessa scuola, alienati ai “vapori” di un’identità quasi sempre inafferrabile come uno stormo di storni, quella del barone, personaggio che inoltre troppo spesso esige anni di gratitudine da parte del nuovo designato. Una gratitudine da dimostrarsi con citazioni nelle pubblicazioni, favori di ogni tipo, organizzazione delle lezioni, delle pubblicazioni, di mostre ed eventi. Ecco purtroppo la condizione, in molti casi accattona, alla quale viene condannata l’università italiana. Esaminando più a fondo l’art. 2 del su citato DM, emerge il combinato disposto di almeno due questioni. La prima è che un meccanismo dei sorteggi ideato su tre fasce sarebbe risultato molto più complesso da gestire di quello da operarsi su una sola fascia (ma che tristezza se la formazione in Italia si facesse guidare da simili considerazioni). La seconda (certamente più vera ma anche più triste) è che si è voluto dare un vistoso omaggio ai pochi ordinari in cambio di un tacito quanto pilotato consenso. Non a tutte le fasce quindi, ma solo a quella più forte, rendendola di fatto l’unica “feconda”. Nel tipico stile di chi, storicamente, ama le sperimentazioni eugenetiche. Ruggero Lenci
2010
presS/Tletter n.32-2010.
Sperimentazioni eugenetiche; fecondità; sterilità; emofilia culturale.
02 Pubblicazione su volume::02b Commentario
Sperimentazioni eugenetiche nell’Università italiana: dalla fecondità, alla sterilità, all’emofilia culturale. presS/Tletter n.32-2010 / Lenci, Ruggero. - ELETTRONICO. - (2010).
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