Dieci anni di architettura 1996-2006. Tema o problema? La presentazione del nuovo libro di Luigi Prestinenza Puglisi - edito da “Prospettive” dell’Ordine degli Architetti P.P.C. di Roma e Provincia sotto la direzione di Claudio Presta - che ha avuto luogo all’In/Arch Lazio il 23/4/2007 sotto forma di un acceso dibattito tra Franco Purini e l’autore, con la moderazione di Amedeo Schiattarella, ha evidenziato, tra gli altri aspetti, il frequente uso della parola “tema” da parte di Purini contrapposto alla parola “problema” utilizzata da Prestinenza Puglisi. Ciò ha connotato l’architettura talvolta come un compito in classe di “Italiano/Lettere” talvolta come uno di “Matematica/Geometria”. Nulla di più esatto, dato che l’architettura è l’incontro tra queste due basi del sapere. Pertanto, al di là dei contenuti del libro che ancora non ho letto nella sua interezza, la serata ha avuto un meritato successo. Nello specifico, Franco Purini lega il significato di “tema” architettonico alle esigenze degli esseri umani (al plurale) - anche se la grande architettura del passato talvolta lo contraddice: si pensi alle Piramidi, al Partenone, al Pantheon. Ma chi potrebbero essere gli altri destinatari dell’architettura: le divinità, gli animali? Pertanto non è necessario essere sindacalisti o sacerdoti per riconoscere che ciò è vero, anche se già lo sapevamo. Di conseguenza è interessante fare un passo in avanti nel ragionamento sul “tema umano” dell’architettura, che a mio avviso non va inteso tanto come “tema buono, cristiano, socialmente utile, civile, ecc.” - tutte cose condivisibili che se però troppo dette rischiano di diventare propagandistiche - quanto come significative “declinazioni” (al plurale) di un profondo sentire degli architetti/ingegneri (al plurale) nei confronti delle esigenze delle società nei diversi luoghi del pianeta (sempre al plurale). Quindi non un’unica ricetta - ma neanche infinite - per rendere l’umanità più contenta e libera. Si tratta di trovarle, e ci vuole tempo. Le Corbusier, ad esempio ne ha trovate due, Mies una, Wright una, Gropius una, Renzo Piano una, Zaha Hadid una, ecc., sempre sulla base dello stesso “tema umano”. Anche un’interpretazione può essere, al pari di un’architettura, una declinazione del suo “tema umano”. Quando Purini, ad esempio, inventa la descrizione della piazza, oggi dedicata a Luciano Berio, del nuovo Auditorium di Roma come una teoria di pianeti che ruotano intorno al sole, rende incandescente e al tempo stesso poetica l’immagine di uno spazio eccezionale che - ovviamente non va neanche detto - è fatto per la gente. I tre scarabei, tartarughe o mouse, diventano, in questa descrizione, oggetto di un sentire più elevato, che commuove per la suscitata immagine di una maestosa odissea spaziale. Quest’ultima appartiene a Renzo Piano che l’ha progettata, a Franco Purini che l’ha colta e descritta, all’umanità intera quando si reca in quel “luogo-non luogo” e la vive (luoghi-non luoghi: spazi per la gente, liberi dalle limitazioni imposte dal senso di “proprietà” al quale viene sostituito quello di “appartenenza”, definizione mia). Luigi Prestinenza Puglisi lega invece il significato della parola “problema” architettonico a quello di un operatore che vuole trovare una soluzione a un problema, appunto: fare una scoperta o un’invenzione (preferibile) piuttosto che andare alla mera “ricerca del guasto”. Quando Prestinenza Puglisi dice “allora qual è il problema?” egli sottintende che vi sia un problema del quale conosce la soluzione, oppure che esista un veleno del quale possiede l’antidoto. Nulla di male - anche perché Luigi non è uno spargitore di veleni – se non per il fatto che la parola “problema” è da decenni desueta in quasi tutto il mondo tranne che in Francia e in Italia. Pur essendo a mio avviso necessario trovarne un sostituto (il fatto è; a questo punto; gli aspetti sono; la questione è; ecc.), essa designa la volontà dell’autore del libro “Dieci anni di architettura 1996-2006” di operare una critica che sia “scientifica” ma anche comunque umana e “problematica”, e pertanto libera di poter essere portata avanti con il laser, con il bisturi, con il macete o con l’ascia, a seconda che ci si trovi sul tavolo operatorio o nella giungla. Ruggero Lenci
Dieci anni di architettura 1996-2006. Tema o problema? PresS/Tletter n. 15- 2007 / Lenci, Ruggero. - ELETTRONICO. - (2007).
Dieci anni di architettura 1996-2006. Tema o problema? PresS/Tletter n. 15- 2007
LENCI, Ruggero
2007
Abstract
Dieci anni di architettura 1996-2006. Tema o problema? La presentazione del nuovo libro di Luigi Prestinenza Puglisi - edito da “Prospettive” dell’Ordine degli Architetti P.P.C. di Roma e Provincia sotto la direzione di Claudio Presta - che ha avuto luogo all’In/Arch Lazio il 23/4/2007 sotto forma di un acceso dibattito tra Franco Purini e l’autore, con la moderazione di Amedeo Schiattarella, ha evidenziato, tra gli altri aspetti, il frequente uso della parola “tema” da parte di Purini contrapposto alla parola “problema” utilizzata da Prestinenza Puglisi. Ciò ha connotato l’architettura talvolta come un compito in classe di “Italiano/Lettere” talvolta come uno di “Matematica/Geometria”. Nulla di più esatto, dato che l’architettura è l’incontro tra queste due basi del sapere. Pertanto, al di là dei contenuti del libro che ancora non ho letto nella sua interezza, la serata ha avuto un meritato successo. Nello specifico, Franco Purini lega il significato di “tema” architettonico alle esigenze degli esseri umani (al plurale) - anche se la grande architettura del passato talvolta lo contraddice: si pensi alle Piramidi, al Partenone, al Pantheon. Ma chi potrebbero essere gli altri destinatari dell’architettura: le divinità, gli animali? Pertanto non è necessario essere sindacalisti o sacerdoti per riconoscere che ciò è vero, anche se già lo sapevamo. Di conseguenza è interessante fare un passo in avanti nel ragionamento sul “tema umano” dell’architettura, che a mio avviso non va inteso tanto come “tema buono, cristiano, socialmente utile, civile, ecc.” - tutte cose condivisibili che se però troppo dette rischiano di diventare propagandistiche - quanto come significative “declinazioni” (al plurale) di un profondo sentire degli architetti/ingegneri (al plurale) nei confronti delle esigenze delle società nei diversi luoghi del pianeta (sempre al plurale). Quindi non un’unica ricetta - ma neanche infinite - per rendere l’umanità più contenta e libera. Si tratta di trovarle, e ci vuole tempo. Le Corbusier, ad esempio ne ha trovate due, Mies una, Wright una, Gropius una, Renzo Piano una, Zaha Hadid una, ecc., sempre sulla base dello stesso “tema umano”. Anche un’interpretazione può essere, al pari di un’architettura, una declinazione del suo “tema umano”. Quando Purini, ad esempio, inventa la descrizione della piazza, oggi dedicata a Luciano Berio, del nuovo Auditorium di Roma come una teoria di pianeti che ruotano intorno al sole, rende incandescente e al tempo stesso poetica l’immagine di uno spazio eccezionale che - ovviamente non va neanche detto - è fatto per la gente. I tre scarabei, tartarughe o mouse, diventano, in questa descrizione, oggetto di un sentire più elevato, che commuove per la suscitata immagine di una maestosa odissea spaziale. Quest’ultima appartiene a Renzo Piano che l’ha progettata, a Franco Purini che l’ha colta e descritta, all’umanità intera quando si reca in quel “luogo-non luogo” e la vive (luoghi-non luoghi: spazi per la gente, liberi dalle limitazioni imposte dal senso di “proprietà” al quale viene sostituito quello di “appartenenza”, definizione mia). Luigi Prestinenza Puglisi lega invece il significato della parola “problema” architettonico a quello di un operatore che vuole trovare una soluzione a un problema, appunto: fare una scoperta o un’invenzione (preferibile) piuttosto che andare alla mera “ricerca del guasto”. Quando Prestinenza Puglisi dice “allora qual è il problema?” egli sottintende che vi sia un problema del quale conosce la soluzione, oppure che esista un veleno del quale possiede l’antidoto. Nulla di male - anche perché Luigi non è uno spargitore di veleni – se non per il fatto che la parola “problema” è da decenni desueta in quasi tutto il mondo tranne che in Francia e in Italia. Pur essendo a mio avviso necessario trovarne un sostituto (il fatto è; a questo punto; gli aspetti sono; la questione è; ecc.), essa designa la volontà dell’autore del libro “Dieci anni di architettura 1996-2006” di operare una critica che sia “scientifica” ma anche comunque umana e “problematica”, e pertanto libera di poter essere portata avanti con il laser, con il bisturi, con il macete o con l’ascia, a seconda che ci si trovi sul tavolo operatorio o nella giungla. Ruggero LenciI documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.