Premio Piranesi e prospettiva museografica Il Seminario di Villa Adriana, diretto dalla prima edizione da Luca Basso Peressut, con il coordinamento generale di Pier Federico Caliari, e internazionale di Romolo Martemucci, coadiuvati dal Comitato di Coordinamento Didattico composto da Benedetta Adembri, Alessandro Camiz, Anna Pia Parente e Carola Gentilini, è un istituto scientifico didattico che ha per oggetto la museografia, rivolta all’archeologia. L’obbiettivo principale del Premio e del Seminario ad esso propedeutico, non è quello, ovviamente, di arrestare il processo di autonomia specialistico-disciplinare che ha scisso la cultura architettonica da quella archeologica (cosa naturalmente improponibile), quanto quello di costruire un ponte capace di collegare i due saperi, istituzionalizzando percorsi metodologici comuni ed un linguaggio interdisciplinarmente riconosciuto. Questo progetto si fonda su un intervento alla base, mediante un deciso lavoro sui fondamentali, a partire cioè dalla formazione e sensibilizzazione stessa degli studenti, in un quadro molto ampio di provenienze culturali, con la finalità di restituire dignità culturale e metodologica al profilo dell’architetto umanista. E da questo quadro emerge anche, in modo chiaro, che la disciplina cui maggiormente si riconoscono le potenzialità per offrire un terreno franco di interlocuzione è la museografia, disciplina del progetto, della conservazione e del restauro assieme, finalizzata alla lettura e trasmissione del bene archeologico. L’idea, tuttavia, di mettere in relazione una disciplina come quella della museografia, con uno dei contesti archeologici tra i più importanti del mondo, non è casuale. Le discipline legate alla presentificazione delle collezioni e dei loro spazi architettonici, così come le loro tecniche analitiche, sembrano aver maturato storicamente una maggiore consapevolezza, relativa al rapporto tra antico e nuovo, di quanto non abbiano saputo dimostrare discipline operanti a scale più ampie e forse, probabilmente più complesse. Ma, proprio l’esperienza museografica italiana -e qui, senza volontà di ridondanza, vanno citati ancora una volta i maestri del Dopoguerra italiano, del cui insegnamento sembra che alla fine non se ne possa fare a meno- dimostra che la sensibilità della piccola scala nei confronti dell’antico è passata attraverso un sensibile processo di maturazione e perfezionamento, tale da costruire una consapevolezza che somiglia ad una certezza: il rapporto critico esistente tra manufatti antichi ed istanze progettuali della modernità (con i suoi contenuti di valorizzazione, comunicazione e interpretazione dei “palinsesti”) passano inevitabilmente attraverso la riflessione metodologica propria della museografia. La museografia, in sostanza, sembra assumere su di sé il carico di mediazione tra mondi che appaiono lontanissimi e discipline che sembrano appartenere a fronti opposti. La museografia come campo di applicazione, come luogo di scambio tra cultura del progetto e cultura della conservazione dei beni culturali. Rispetto a questo quadro, ed accanto ad esso, sembra però importante e strategico rilevare l’istituirsi, della riflessione museografica anche a diverse scale di progetto. Il concetto di musealizzazione, il primo, forse, capace di stabilire una relazione seria e credibile tra architettura e archeologia tanto da essere ampiamente condiviso interdisciplinarmente, è di fatto un’idea, per così dire, “proporzionale”, operante su più livelli d’intervento senza sostanziali mutazioni metodologiche. Il concetto di musealizzazione è infatti, di default, un principio, un paradigma, e non una declinazione. Musealizzare significa ragionare attraverso le categorie del museo, senza passare per le specificità della divisione del lavoro. L’applicazione del paradigma museo (témenos, collezione, ostensione) opera proporzionalmente alle diverse scale senza mutare morfologia del ragionamento. Così l’atteggiamento museografico di fondo permea il taglio culturale e di metodo che sta alla base della ripartizione scientifico-didattica, assunta dal Seminario, in tre aree tematiche: archeologia e paesaggio; museo, archeologia e architettura, e archeologia, interni e allestimento, stabilendo tre scale d’intervento, da quella urbana infrastrutturale intesa a studiare il rapporto tra “enclave” archeologica, percorsi di visita, reti e paesaggio, a quella di dettaglio, operativa alla scala dell’allestimento come topos del confronto critico tra arte e pubblico.
Premio Piranesi / Ippolito, Achille. - (2007).
Premio Piranesi
IPPOLITO, Achille
2007
Abstract
Premio Piranesi e prospettiva museografica Il Seminario di Villa Adriana, diretto dalla prima edizione da Luca Basso Peressut, con il coordinamento generale di Pier Federico Caliari, e internazionale di Romolo Martemucci, coadiuvati dal Comitato di Coordinamento Didattico composto da Benedetta Adembri, Alessandro Camiz, Anna Pia Parente e Carola Gentilini, è un istituto scientifico didattico che ha per oggetto la museografia, rivolta all’archeologia. L’obbiettivo principale del Premio e del Seminario ad esso propedeutico, non è quello, ovviamente, di arrestare il processo di autonomia specialistico-disciplinare che ha scisso la cultura architettonica da quella archeologica (cosa naturalmente improponibile), quanto quello di costruire un ponte capace di collegare i due saperi, istituzionalizzando percorsi metodologici comuni ed un linguaggio interdisciplinarmente riconosciuto. Questo progetto si fonda su un intervento alla base, mediante un deciso lavoro sui fondamentali, a partire cioè dalla formazione e sensibilizzazione stessa degli studenti, in un quadro molto ampio di provenienze culturali, con la finalità di restituire dignità culturale e metodologica al profilo dell’architetto umanista. E da questo quadro emerge anche, in modo chiaro, che la disciplina cui maggiormente si riconoscono le potenzialità per offrire un terreno franco di interlocuzione è la museografia, disciplina del progetto, della conservazione e del restauro assieme, finalizzata alla lettura e trasmissione del bene archeologico. L’idea, tuttavia, di mettere in relazione una disciplina come quella della museografia, con uno dei contesti archeologici tra i più importanti del mondo, non è casuale. Le discipline legate alla presentificazione delle collezioni e dei loro spazi architettonici, così come le loro tecniche analitiche, sembrano aver maturato storicamente una maggiore consapevolezza, relativa al rapporto tra antico e nuovo, di quanto non abbiano saputo dimostrare discipline operanti a scale più ampie e forse, probabilmente più complesse. Ma, proprio l’esperienza museografica italiana -e qui, senza volontà di ridondanza, vanno citati ancora una volta i maestri del Dopoguerra italiano, del cui insegnamento sembra che alla fine non se ne possa fare a meno- dimostra che la sensibilità della piccola scala nei confronti dell’antico è passata attraverso un sensibile processo di maturazione e perfezionamento, tale da costruire una consapevolezza che somiglia ad una certezza: il rapporto critico esistente tra manufatti antichi ed istanze progettuali della modernità (con i suoi contenuti di valorizzazione, comunicazione e interpretazione dei “palinsesti”) passano inevitabilmente attraverso la riflessione metodologica propria della museografia. La museografia, in sostanza, sembra assumere su di sé il carico di mediazione tra mondi che appaiono lontanissimi e discipline che sembrano appartenere a fronti opposti. La museografia come campo di applicazione, come luogo di scambio tra cultura del progetto e cultura della conservazione dei beni culturali. Rispetto a questo quadro, ed accanto ad esso, sembra però importante e strategico rilevare l’istituirsi, della riflessione museografica anche a diverse scale di progetto. Il concetto di musealizzazione, il primo, forse, capace di stabilire una relazione seria e credibile tra architettura e archeologia tanto da essere ampiamente condiviso interdisciplinarmente, è di fatto un’idea, per così dire, “proporzionale”, operante su più livelli d’intervento senza sostanziali mutazioni metodologiche. Il concetto di musealizzazione è infatti, di default, un principio, un paradigma, e non una declinazione. Musealizzare significa ragionare attraverso le categorie del museo, senza passare per le specificità della divisione del lavoro. L’applicazione del paradigma museo (témenos, collezione, ostensione) opera proporzionalmente alle diverse scale senza mutare morfologia del ragionamento. Così l’atteggiamento museografico di fondo permea il taglio culturale e di metodo che sta alla base della ripartizione scientifico-didattica, assunta dal Seminario, in tre aree tematiche: archeologia e paesaggio; museo, archeologia e architettura, e archeologia, interni e allestimento, stabilendo tre scale d’intervento, da quella urbana infrastrutturale intesa a studiare il rapporto tra “enclave” archeologica, percorsi di visita, reti e paesaggio, a quella di dettaglio, operativa alla scala dell’allestimento come topos del confronto critico tra arte e pubblico.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.