Presso la sede del Consiglio nazionale forense (Via del Governo Vecchio, 3 ore) si è svolta la mostra Lawyers without rights- Avvocati ebrei in Germania sotto il Terzo Reich, aperta per la prima volta nel 2009 a Londra, nella Temple Church a cura del Jewish Museum London e dell’Ordine Nazionale degli Avvocati Tedeschi (BRAK) e ora in Italia per iniziativa del Cnf. E nell’ambito della mostra, verranno esibiti anche i fascicoli conservati negli archivi del Consiglio nazionale forense che testimoniano, per quanto in maniera sintetica, la vicende burocratico-amministrative che dovettero affrontare gli avvocati cassazionisti-ebrei dopo le leggi razziali, senza che dalle istituzioni forensi si alzasse alcune voce di dissenso contro le leggi “odiose”. Infatti, oltre 200 avvocati italiani di razza ebraica con le leggi razziali emanate nel 1938, dovettero lasciare codici e toga e con grande dolore rinunciare a tutto, a volte anche alla vita. Il provvedimento di espulsione, introdusse la cosiddetta discriminazione (vale a dire la non applicazione della norme restrittive”) a favore di alcune categoria giudicate meritevoli di tutela in quanto “benemerite” alla patria. Da quel momento, anche per gli avvocati ebrei la strada si fece impervia. Il Sindacato fascista avvocati e procuratori, infatti, propose che i professionisti ebrei non fossero più ammessi agli albi. L’anno successivo fu promulgata la legge 1054 che disciplinò l’esercizio delle professioni da parte dei cittadini di razza ebrea. Gli avvocati furono divisi in due gruppi. I primi, “i discriminati” (nel senso paradossale sopra riferito), erano iscritti “agli elenchi aggiunti” agli albi forensi e avrebbero potuto, se pur con alcune limitazioni, continuare a esercitare il proprio lavoro. Poi vi erano tutti gli altri, gli avvocati “non discriminati”, costretti a iscriversi agli elenchi speciali” e che avrebbero potuto lavorare solo per clienti “appartenenti alla razza ebraica”. Anche il procedimento di accertamento dell’appartenenza “alla razza ebrea” era stato studiato per risultare particolarmente gravoso e umiliante. Erano gli stessi avvocati che dovevano autodenunciarsi agli organi professionali, altrimenti questi avrebbero provveduto d’ufficio. La cancellazione era diretta anche nel caso in cui l’avvocato avesse fatto richiesta “di discriminazione” al ministero dell’Interno. Sarebbe stato riabilitato in seguito. E a volte sarebbe passato anche più di un anno, come per il professore Enrico Finzi di Firenze, docente di diritto privato, tra i fondatori della Facoltà di Giurisprudenza della Università della città. “La discriminazione con cui lo stato spingeva alcuni a differenziarsi dagli altri, vantando le proprie benemerenze fasciste, forse costituì l’apice della aberrazione da parte del regime”, commenta Alpa. Dai documenti conservati dal Cnf, relativi anche all’amministrativista di Napoli Ugo Forti, emerge che la richiesta di re-iscrizione all’elenco aggiunto dell’albo dei patrocinanti in Cassazione era ben di 400 lire “quale diritto fisso stabilito a titolo di rimborso spese” per la iscrizione.

Mostra Lawyers without rights, dedicata alla storia della categoria forense durante il nazi-fascismo / Meniconi, Antonella. - (2010). (Intervento presentato al convegno Mostra Lawyers without rights tenutosi a Roma, Consiglio nazionale forense nel 17-30 giugno 2010).

Mostra Lawyers without rights, dedicata alla storia della categoria forense durante il nazi-fascismo

MENICONI, ANTONELLA
2010

Abstract

Presso la sede del Consiglio nazionale forense (Via del Governo Vecchio, 3 ore) si è svolta la mostra Lawyers without rights- Avvocati ebrei in Germania sotto il Terzo Reich, aperta per la prima volta nel 2009 a Londra, nella Temple Church a cura del Jewish Museum London e dell’Ordine Nazionale degli Avvocati Tedeschi (BRAK) e ora in Italia per iniziativa del Cnf. E nell’ambito della mostra, verranno esibiti anche i fascicoli conservati negli archivi del Consiglio nazionale forense che testimoniano, per quanto in maniera sintetica, la vicende burocratico-amministrative che dovettero affrontare gli avvocati cassazionisti-ebrei dopo le leggi razziali, senza che dalle istituzioni forensi si alzasse alcune voce di dissenso contro le leggi “odiose”. Infatti, oltre 200 avvocati italiani di razza ebraica con le leggi razziali emanate nel 1938, dovettero lasciare codici e toga e con grande dolore rinunciare a tutto, a volte anche alla vita. Il provvedimento di espulsione, introdusse la cosiddetta discriminazione (vale a dire la non applicazione della norme restrittive”) a favore di alcune categoria giudicate meritevoli di tutela in quanto “benemerite” alla patria. Da quel momento, anche per gli avvocati ebrei la strada si fece impervia. Il Sindacato fascista avvocati e procuratori, infatti, propose che i professionisti ebrei non fossero più ammessi agli albi. L’anno successivo fu promulgata la legge 1054 che disciplinò l’esercizio delle professioni da parte dei cittadini di razza ebrea. Gli avvocati furono divisi in due gruppi. I primi, “i discriminati” (nel senso paradossale sopra riferito), erano iscritti “agli elenchi aggiunti” agli albi forensi e avrebbero potuto, se pur con alcune limitazioni, continuare a esercitare il proprio lavoro. Poi vi erano tutti gli altri, gli avvocati “non discriminati”, costretti a iscriversi agli elenchi speciali” e che avrebbero potuto lavorare solo per clienti “appartenenti alla razza ebraica”. Anche il procedimento di accertamento dell’appartenenza “alla razza ebrea” era stato studiato per risultare particolarmente gravoso e umiliante. Erano gli stessi avvocati che dovevano autodenunciarsi agli organi professionali, altrimenti questi avrebbero provveduto d’ufficio. La cancellazione era diretta anche nel caso in cui l’avvocato avesse fatto richiesta “di discriminazione” al ministero dell’Interno. Sarebbe stato riabilitato in seguito. E a volte sarebbe passato anche più di un anno, come per il professore Enrico Finzi di Firenze, docente di diritto privato, tra i fondatori della Facoltà di Giurisprudenza della Università della città. “La discriminazione con cui lo stato spingeva alcuni a differenziarsi dagli altri, vantando le proprie benemerenze fasciste, forse costituì l’apice della aberrazione da parte del regime”, commenta Alpa. Dai documenti conservati dal Cnf, relativi anche all’amministrativista di Napoli Ugo Forti, emerge che la richiesta di re-iscrizione all’elenco aggiunto dell’albo dei patrocinanti in Cassazione era ben di 400 lire “quale diritto fisso stabilito a titolo di rimborso spese” per la iscrizione.
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