L’architettura classica è stata prevalentemente rappresentata dagli architetti attraverso disegni realizzati con le tecniche tradizionali quali le matite colorate, i pastelli, i pennarelli e gli acquarelli. Queste tecniche manuali consentono di rendere con chiarezza non solo l’espressività cromatica del singolo edificio ma anche l’atmosfera del luogo con il quale esso si confronta. La tecnica digitale permette, a volte, una maggiore velocità ed intercambiabilità, ma rende la rappresentazione immateriale, non tangibile con perdita di una parte della soggettività e dell’emotività intrinseca nel disegno manuale. L’analisi attraverso il disegno svolto con tecniche tradizionali di un'architettura interamente, o quasi, concepita e, soprattutto, rappresentata digitalmente, consente, proprio per questo forte contrasto, di percepire, apprezzare e comprendere non solo gli aspetti formali e spaziali più evidenti ma anche quelle particolarità dell’opera non facilmente percepibili se non dopo un attento studio sull’organismo architettonico. Si presenta una lettura attraverso il disegno a colori di un’architettura contemporanea a Roma; il Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo (Maxxi). Il MaxxI può considerarsi un innesto urbano avvenuto nel quartiere Flaminio, quartiere situato a nord della città già ricco di nuove trasformazioni, poiché sembra proprio che le sue linee sinuose e fluide si insinuino nella realtà storica e compatta di questa realtà urbana. L’opera è stata scelta perché caratterizzata da una particolare forma architettonica flessibile e fluida, frutto dell’espressione digitale della nostra epoca e da una naturale colorazione neutra, quasi incolore, che sembra avere lo scopo di inserirsi con delicatezza con la sua materia in movimento, quasi liquida, in un contesto urbano rigidamente strutturato e colorato. La percezione dell’edificio diventa assunzione delle informazioni sulla realtà esterna in seguito a stimolazioni sensoriali e processi di rielaborazione e organizzazione mentale.L’edificio è concepito come uno spazio completamente aperto, mobile, dove, a causa della sovrapposizione dei piani, delle pendenze e delle particolari superfici si perde facilmente l’orientamento; nessun accesso è predominante sugli altri ma una volta entrati ci si trova all’interno di un percorso, come spinti da una forza che genera un movimento continuo, senza una precisa direzione; tutte le opere si distendono sotto il tetto del museo dove le sue lamelle regolano la luce nelle diverse delle ore del giorno creando effetti molto suggestivi. Gli shed che caratterizzano l'andamento rigato della copertura sono manifesto della memoria delle coperture dei capannoni militari preesistenti. Il progetto si inserisce e si confronta direttamente con il sistema urbano delle caserme antistanti avvolgendole con un sistema stratificato di volumi sinuosi che si aprono su una piazza interna ristabilendo un collegamento spaziale tra due assi viari, via Guido Reni e via Masaccio, da tempo interrotto. La percezione del fruitore viene stravolta perché si passa dalla visione di un sistema urbano rigidamente costruito su assi perpendicolari tra loro e da volumi classici euclidei alla visione di un sistema spaziale dove le superfici del Maxxi non permettono un riconoscimento diretto nè dei punti di fuga percettivi nè dei singoli volumi. Lo stato di confusione è accentuato anche dalla superficie dei volumi volutamente liscia e di colore neutro interrotta solo da vetrate che si aprono sugli spazi dell’ingresso e sugli assi visivi. Dal punto di vista cromatico è riconosciuto il fatto che tutte le espressioni sia grafiche che architettoniche che utilizzano i derivati del colore grigio sottolineano la sua caratteristica di nascondimento e di perdita della vivacità. L’obiettivo è stato infatti quello di riflettere sull’accostamento e sulla fusione del nuovo colore nato dal digitale dell’edificio con il colore della storia, stratificato e storicizzato nel luogo urbano; il nuovo colore è diventato colore reale, concreto, materia tangibile che si articola con il contesto e, attraverso il disegno di analisi, ritorna sulla carta diventando non solo espressione grafica ma al tempo stesso documento, registrazione e monitoraggio dello stato attuale. Il disegno consente infatti di fermare sulla carta l’aspetto dell’architettura e della città prima che questi vengano trasformati dal tempo.
Lettura dell’architettura contemporanea attraverso il disegno e la rappresentazione cromatica manuale. Il Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo di Roma / Chiavoni, Emanuela; Fabbri, Livia; Porfiri, Francesca; Tacchi, GAIA LISA. - STAMPA. - VII/A(2011), pp. 319-326.
Lettura dell’architettura contemporanea attraverso il disegno e la rappresentazione cromatica manuale. Il Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo di Roma.
CHIAVONI, Emanuela;FABBRI, Livia;PORFIRI, FRANCESCA;TACCHI, GAIA LISA
2011
Abstract
L’architettura classica è stata prevalentemente rappresentata dagli architetti attraverso disegni realizzati con le tecniche tradizionali quali le matite colorate, i pastelli, i pennarelli e gli acquarelli. Queste tecniche manuali consentono di rendere con chiarezza non solo l’espressività cromatica del singolo edificio ma anche l’atmosfera del luogo con il quale esso si confronta. La tecnica digitale permette, a volte, una maggiore velocità ed intercambiabilità, ma rende la rappresentazione immateriale, non tangibile con perdita di una parte della soggettività e dell’emotività intrinseca nel disegno manuale. L’analisi attraverso il disegno svolto con tecniche tradizionali di un'architettura interamente, o quasi, concepita e, soprattutto, rappresentata digitalmente, consente, proprio per questo forte contrasto, di percepire, apprezzare e comprendere non solo gli aspetti formali e spaziali più evidenti ma anche quelle particolarità dell’opera non facilmente percepibili se non dopo un attento studio sull’organismo architettonico. Si presenta una lettura attraverso il disegno a colori di un’architettura contemporanea a Roma; il Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo (Maxxi). Il MaxxI può considerarsi un innesto urbano avvenuto nel quartiere Flaminio, quartiere situato a nord della città già ricco di nuove trasformazioni, poiché sembra proprio che le sue linee sinuose e fluide si insinuino nella realtà storica e compatta di questa realtà urbana. L’opera è stata scelta perché caratterizzata da una particolare forma architettonica flessibile e fluida, frutto dell’espressione digitale della nostra epoca e da una naturale colorazione neutra, quasi incolore, che sembra avere lo scopo di inserirsi con delicatezza con la sua materia in movimento, quasi liquida, in un contesto urbano rigidamente strutturato e colorato. La percezione dell’edificio diventa assunzione delle informazioni sulla realtà esterna in seguito a stimolazioni sensoriali e processi di rielaborazione e organizzazione mentale.L’edificio è concepito come uno spazio completamente aperto, mobile, dove, a causa della sovrapposizione dei piani, delle pendenze e delle particolari superfici si perde facilmente l’orientamento; nessun accesso è predominante sugli altri ma una volta entrati ci si trova all’interno di un percorso, come spinti da una forza che genera un movimento continuo, senza una precisa direzione; tutte le opere si distendono sotto il tetto del museo dove le sue lamelle regolano la luce nelle diverse delle ore del giorno creando effetti molto suggestivi. Gli shed che caratterizzano l'andamento rigato della copertura sono manifesto della memoria delle coperture dei capannoni militari preesistenti. Il progetto si inserisce e si confronta direttamente con il sistema urbano delle caserme antistanti avvolgendole con un sistema stratificato di volumi sinuosi che si aprono su una piazza interna ristabilendo un collegamento spaziale tra due assi viari, via Guido Reni e via Masaccio, da tempo interrotto. La percezione del fruitore viene stravolta perché si passa dalla visione di un sistema urbano rigidamente costruito su assi perpendicolari tra loro e da volumi classici euclidei alla visione di un sistema spaziale dove le superfici del Maxxi non permettono un riconoscimento diretto nè dei punti di fuga percettivi nè dei singoli volumi. Lo stato di confusione è accentuato anche dalla superficie dei volumi volutamente liscia e di colore neutro interrotta solo da vetrate che si aprono sugli spazi dell’ingresso e sugli assi visivi. Dal punto di vista cromatico è riconosciuto il fatto che tutte le espressioni sia grafiche che architettoniche che utilizzano i derivati del colore grigio sottolineano la sua caratteristica di nascondimento e di perdita della vivacità. L’obiettivo è stato infatti quello di riflettere sull’accostamento e sulla fusione del nuovo colore nato dal digitale dell’edificio con il colore della storia, stratificato e storicizzato nel luogo urbano; il nuovo colore è diventato colore reale, concreto, materia tangibile che si articola con il contesto e, attraverso il disegno di analisi, ritorna sulla carta diventando non solo espressione grafica ma al tempo stesso documento, registrazione e monitoraggio dello stato attuale. Il disegno consente infatti di fermare sulla carta l’aspetto dell’architettura e della città prima che questi vengano trasformati dal tempo.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.