Claudio Merler, in questo primo sintetico e affettuoso ciclo di interviste a sette architetti di chiara fama, ci propone una riflessione sull’identità dell’architettura contemporanea italiana che nasce dalla necessità di definire i confini di una ricerca plastica, strutturale e funzionale in ambito mediterraneo. Non sono presenti, tra gli intervistati, voci di chi detiene posizioni più in linea con l’attuale produzione internazionale di imprinting a-topologico, slegata dalla tettonica peninsulare. Il nodo culturale da sciogliere è connesso a una lettura temporale dell’architettura che resiste ai moti e ai rigurgiti di una società avida di contenuti formali, sovraccarichi e di immediato consumo. Una società che, di converso, a intermittenze, è in grado di trasformare, nelle menti di taluni, barriere anche forti in altrettanti trampolini dai quali generare coraggiosi salti. Qui si innesta il tema sulla comunicazione, oggi sempre più diffuso e condiviso, nonché istantaneo e immediato. E’ quando l’architettura si trasforma in bene di consumo che si “sciupa” in fetta, non resistendo, anzi, cedendo più di qualcosa in termini di identità, alle pressanti richieste di una committenza sempre protesa verso un’insoddisfazione ormai cronica. L’appiattimento, la coincidenza di architettura e marketing, produce nel mondo la simultaneità, “l’edificio-progetto” , “l’action architecture”, ovvero “l’architecture on demand”, nella quale l’identità agisce “a rilascio prolungato”, fino a esaurirsi, come una pillola. La perdita di una distanza critica viene vanificata da una coincidenza e commistione nella quale in alcuni casi non si distingue più l’architetto dal committente, tanto è talvolta l’affanno del progettista a rincorrere prevalentemente i capricci e i desideri del suo principe divenuto fantoccio. Il programma edilizio diventa sempre più il progetto e l’architetto sempre più il sarto di questo impianto logico che deve rispondere in primo luogo alle leggi del mercato. Come nei Gigli di Nola, obelischi lignei leggerissimi strutturalmente sempre uguali alti 25 metri rivestiti di placche di cartapesta sempre diverse, l’architettura rischia di appiattirsi a uno spessore puramente epidermico, acconsentire al suo ridursi a una questione di cartapesta. Alcuni, i più avvertiti ed equilibrati, lo hanno capito e reagiscono con un colpo secco a questo smottamento che l’identità dell’architettura italiana sta ormai subendo, quasi si trattasse di un’ampia zolla di terra scollatasi dall’altura di cui era parte, ora libera di devastare paesi e paesaggi. Il cetaceo di Zaha Hadid che diventa il museo nuragico a Cagliari, ad esempio, è uno di questi smottamenti che non aiutano a ricostruire identità, né peninsulare né insulare. Ma quanti altri se ne potrebbero citare, da Milano a Roma a Napoli a Salerno… Purtroppo la permanenza del segno dell’architettura nel tempo non è fenomeno condiviso da molti gruppi economici con elevate possibilità realizzative, ovvero è rigettato dalla committenza privata e dal mercato del consumo istantaneo che ad essa preferisce il chiasso. Il prodotto, anche architettonico, deve essere flessibile nell’utilizzo fino a rasentare l’immaterialità dell’immagine, deve stordire, stupire, contribuire a far spendere. Da qui l’abbondanza di reti metalliche, di “vesti sottili” che ne ammantano i volumi fino a superare gli ambiti prestazionali dell’oggetto architettonico in una funzione seconda eccessivamente comunicativa e rumorosa. Le idee di Nikos Salingaros, visionario sì ma certamente contro il “Derrida Virus”, non sono dissimili da quelle che emergono in queste interviste. E’ ora che il rigore della tipologia non si arrenda più davanti alle ammiccanti richieste di flessibilità e comunicatività estremizzate, che il muro apollineo non ceda più il passo alle sensuali superfici a membrana dionisiache, destinate a diventare ben presto un groviglio di lamiere arrugginite portatrici di tetano. Coloro i quali sanno oggi meditare sulla complessità delle leggi non scritte della società contemporanea sopravvivendo ai suoi effimeri cambiamenti, sono eletti a inserire calibrate tematiche identitarie nelle architetture contemporanee di nuovo conio. Queste sono principalmente le questioni che si agitano nelle domande che sapientemente Claudio Merler pone ai sette intervistati e che si colgono nelle sette emergenti tematiche.

Prefazione al libro/preface of the book: Dialoghi sull'identità dell'Architettura italiana, sette tematiche per sette interviste d'autore, di C. Merler / Lenci, Ruggero. - STAMPA. - 1(2010), pp. 7-9.

Prefazione al libro/preface of the book: Dialoghi sull'identità dell'Architettura italiana, sette tematiche per sette interviste d'autore, di C. Merler

LENCI, Ruggero
2010

Abstract

Claudio Merler, in questo primo sintetico e affettuoso ciclo di interviste a sette architetti di chiara fama, ci propone una riflessione sull’identità dell’architettura contemporanea italiana che nasce dalla necessità di definire i confini di una ricerca plastica, strutturale e funzionale in ambito mediterraneo. Non sono presenti, tra gli intervistati, voci di chi detiene posizioni più in linea con l’attuale produzione internazionale di imprinting a-topologico, slegata dalla tettonica peninsulare. Il nodo culturale da sciogliere è connesso a una lettura temporale dell’architettura che resiste ai moti e ai rigurgiti di una società avida di contenuti formali, sovraccarichi e di immediato consumo. Una società che, di converso, a intermittenze, è in grado di trasformare, nelle menti di taluni, barriere anche forti in altrettanti trampolini dai quali generare coraggiosi salti. Qui si innesta il tema sulla comunicazione, oggi sempre più diffuso e condiviso, nonché istantaneo e immediato. E’ quando l’architettura si trasforma in bene di consumo che si “sciupa” in fetta, non resistendo, anzi, cedendo più di qualcosa in termini di identità, alle pressanti richieste di una committenza sempre protesa verso un’insoddisfazione ormai cronica. L’appiattimento, la coincidenza di architettura e marketing, produce nel mondo la simultaneità, “l’edificio-progetto” , “l’action architecture”, ovvero “l’architecture on demand”, nella quale l’identità agisce “a rilascio prolungato”, fino a esaurirsi, come una pillola. La perdita di una distanza critica viene vanificata da una coincidenza e commistione nella quale in alcuni casi non si distingue più l’architetto dal committente, tanto è talvolta l’affanno del progettista a rincorrere prevalentemente i capricci e i desideri del suo principe divenuto fantoccio. Il programma edilizio diventa sempre più il progetto e l’architetto sempre più il sarto di questo impianto logico che deve rispondere in primo luogo alle leggi del mercato. Come nei Gigli di Nola, obelischi lignei leggerissimi strutturalmente sempre uguali alti 25 metri rivestiti di placche di cartapesta sempre diverse, l’architettura rischia di appiattirsi a uno spessore puramente epidermico, acconsentire al suo ridursi a una questione di cartapesta. Alcuni, i più avvertiti ed equilibrati, lo hanno capito e reagiscono con un colpo secco a questo smottamento che l’identità dell’architettura italiana sta ormai subendo, quasi si trattasse di un’ampia zolla di terra scollatasi dall’altura di cui era parte, ora libera di devastare paesi e paesaggi. Il cetaceo di Zaha Hadid che diventa il museo nuragico a Cagliari, ad esempio, è uno di questi smottamenti che non aiutano a ricostruire identità, né peninsulare né insulare. Ma quanti altri se ne potrebbero citare, da Milano a Roma a Napoli a Salerno… Purtroppo la permanenza del segno dell’architettura nel tempo non è fenomeno condiviso da molti gruppi economici con elevate possibilità realizzative, ovvero è rigettato dalla committenza privata e dal mercato del consumo istantaneo che ad essa preferisce il chiasso. Il prodotto, anche architettonico, deve essere flessibile nell’utilizzo fino a rasentare l’immaterialità dell’immagine, deve stordire, stupire, contribuire a far spendere. Da qui l’abbondanza di reti metalliche, di “vesti sottili” che ne ammantano i volumi fino a superare gli ambiti prestazionali dell’oggetto architettonico in una funzione seconda eccessivamente comunicativa e rumorosa. Le idee di Nikos Salingaros, visionario sì ma certamente contro il “Derrida Virus”, non sono dissimili da quelle che emergono in queste interviste. E’ ora che il rigore della tipologia non si arrenda più davanti alle ammiccanti richieste di flessibilità e comunicatività estremizzate, che il muro apollineo non ceda più il passo alle sensuali superfici a membrana dionisiache, destinate a diventare ben presto un groviglio di lamiere arrugginite portatrici di tetano. Coloro i quali sanno oggi meditare sulla complessità delle leggi non scritte della società contemporanea sopravvivendo ai suoi effimeri cambiamenti, sono eletti a inserire calibrate tematiche identitarie nelle architetture contemporanee di nuovo conio. Queste sono principalmente le questioni che si agitano nelle domande che sapientemente Claudio Merler pone ai sette intervistati e che si colgono nelle sette emergenti tematiche.
2010
Dialoghi sull'identità dell'Architettura italiana, sette tematiche per sette interviste d'autore
9788889400586
identità dell'architettura taliana; dialoghi sull'architettura; heritage
02 Pubblicazione su volume::02c Prefazione/Postfazione
Prefazione al libro/preface of the book: Dialoghi sull'identità dell'Architettura italiana, sette tematiche per sette interviste d'autore, di C. Merler / Lenci, Ruggero. - STAMPA. - 1(2010), pp. 7-9.
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