In questo lavoro si analizza la descrizione polibiana del sistema istituzionale romano nel VI libro in termini di costituzione mista, affrontando i vari problemi rilevati da una bibliografia straordinariamente ricca: si parte dalla connessione fra l'eccellenza della politeia e l'ethos di un popolo, esemplificata negli effetti ortativi della cerimonia funebre dei membri della nobilitas romana, e – parallelamente – del pubblico conferimento di premi e ricompense ai soldati distintisi per valore. Si rileva come tutta la riflessione polibiana sulla successine delle diverse forme costituzionali sia permeata da un senso di fragilità, di precarietà: la degenerazione morale dei detentori del potere, che determina il deterioramento delle forme semplici di politeia, è un rischio sempre presente. Quindi, si illustra il ciclo delle costituzioni, al termine della cui esposizione Polibio ribadisce l'utilità prognostica della sua conoscenza, in particolare a proposito della politeia dei Romani. Si analizza quindi il rapporto fra la successione delle forme istituzionali semplici e il processo di formazione, sviluppo e culmine della politeia romana, che diversamente dalla politeia licurghea era nata non grazie all'intuizione di un singolo, ma attraverso un lungo travaglio; Polibio doveva averlo analizzato nella cosiddetta archaeologia, che si tenta di ricostruire anche attraverso il confronto con il de re publica di Cicerone. Solo dopo aver delineato lo sviluppo istituzionale romano, Polibio passa finalmente a illustrare il sistema della costituzione mista, presentando poteri e competenze dei consoli, del senato e del popolo, e di seguito il sistema di controlli e bilanciamenti reciproci fra i tre fattori costituzionali, che impediva che consoli, senato o popolo potessero approfittare oltre misura del loro potere. La sezione si chiude con una nota di ottimismo sulla stabilità del sistema, che appare possedere gli anticorpi necessari a combattere l'impulso naturale alla degenerazione. Il saggio procede quindi all'esame del paragone fra la politeia romana e le altre costituzioni più celebrate, indicando la centralità nella struttura del VI libro del confronto con la costituzione di Cartagine in 51, 3-8, in cui si suggerisce la possibilità di individuare un tentativo di conciliazione fra la teoria dell'anaciclosi, la convinzione nella superiore stabilità della costituzione mista e il ritmo naturale di sviluppo, culmine, decadenza. A Roma, nelle diverse fasi di transizione, si procedeva non per sostituzione, ma per accumulazione: l'elemento istituzionale dominante nella fase precedente non veniva eliminato, ma si trasformava, rientrando nei limiti; e soprattutto, gli si affiancava la forma successiva del ciclo, rendendone assai più difficile una nuova degenerazione. La compresenza dei diversi poteri creava un equilibrio complesso, in cui ognuna delle parti veniva trattenuta nei suoi impulsi alla prevaricazione e alla superbia dal contrappeso esercitato dagli altri elementi. L'equilibrio istituzionale di per sé tuttavia non bastava a sottrarre la costituzione mista alla legge naturale per cui ogni essere vivente è destinato alla degenerazione; in questo quadro si spiega l'insistenza, negli ultimi capitoli pervenuti del VI libro, sul sistema educativo romano. Benché in definitiva l'impressione che si trae è che la forza del ritmo naturale, che dopo l'ascesa e l'acme prevede inevitabilmente la degenerazione e la fine, sia destinata ad avere la meglio sui fragili argini posti dall'ingegno umano, la consapevolezza dell'instabilità delle forme politiche aumenta l'ammirazione per il sistema di equilibri e contrappesi che aveva saputo ostacolare la forza della natura, e contribuisce a spiegare l'insistenza sulle forme di trasmissione dei valori a Roma: solo l'adesione diffusa a un sistema di valori che a tutto anteponeva il bene pubblico poteva arrestare la decadenza politica.
La costituzione mista in Polibio / Thornton, John. - STAMPA. - (2011), pp. 67-118. - DOMINI. MEMO.
La costituzione mista in Polibio
THORNTON, John
2011
Abstract
In questo lavoro si analizza la descrizione polibiana del sistema istituzionale romano nel VI libro in termini di costituzione mista, affrontando i vari problemi rilevati da una bibliografia straordinariamente ricca: si parte dalla connessione fra l'eccellenza della politeia e l'ethos di un popolo, esemplificata negli effetti ortativi della cerimonia funebre dei membri della nobilitas romana, e – parallelamente – del pubblico conferimento di premi e ricompense ai soldati distintisi per valore. Si rileva come tutta la riflessione polibiana sulla successine delle diverse forme costituzionali sia permeata da un senso di fragilità, di precarietà: la degenerazione morale dei detentori del potere, che determina il deterioramento delle forme semplici di politeia, è un rischio sempre presente. Quindi, si illustra il ciclo delle costituzioni, al termine della cui esposizione Polibio ribadisce l'utilità prognostica della sua conoscenza, in particolare a proposito della politeia dei Romani. Si analizza quindi il rapporto fra la successione delle forme istituzionali semplici e il processo di formazione, sviluppo e culmine della politeia romana, che diversamente dalla politeia licurghea era nata non grazie all'intuizione di un singolo, ma attraverso un lungo travaglio; Polibio doveva averlo analizzato nella cosiddetta archaeologia, che si tenta di ricostruire anche attraverso il confronto con il de re publica di Cicerone. Solo dopo aver delineato lo sviluppo istituzionale romano, Polibio passa finalmente a illustrare il sistema della costituzione mista, presentando poteri e competenze dei consoli, del senato e del popolo, e di seguito il sistema di controlli e bilanciamenti reciproci fra i tre fattori costituzionali, che impediva che consoli, senato o popolo potessero approfittare oltre misura del loro potere. La sezione si chiude con una nota di ottimismo sulla stabilità del sistema, che appare possedere gli anticorpi necessari a combattere l'impulso naturale alla degenerazione. Il saggio procede quindi all'esame del paragone fra la politeia romana e le altre costituzioni più celebrate, indicando la centralità nella struttura del VI libro del confronto con la costituzione di Cartagine in 51, 3-8, in cui si suggerisce la possibilità di individuare un tentativo di conciliazione fra la teoria dell'anaciclosi, la convinzione nella superiore stabilità della costituzione mista e il ritmo naturale di sviluppo, culmine, decadenza. A Roma, nelle diverse fasi di transizione, si procedeva non per sostituzione, ma per accumulazione: l'elemento istituzionale dominante nella fase precedente non veniva eliminato, ma si trasformava, rientrando nei limiti; e soprattutto, gli si affiancava la forma successiva del ciclo, rendendone assai più difficile una nuova degenerazione. La compresenza dei diversi poteri creava un equilibrio complesso, in cui ognuna delle parti veniva trattenuta nei suoi impulsi alla prevaricazione e alla superbia dal contrappeso esercitato dagli altri elementi. L'equilibrio istituzionale di per sé tuttavia non bastava a sottrarre la costituzione mista alla legge naturale per cui ogni essere vivente è destinato alla degenerazione; in questo quadro si spiega l'insistenza, negli ultimi capitoli pervenuti del VI libro, sul sistema educativo romano. Benché in definitiva l'impressione che si trae è che la forza del ritmo naturale, che dopo l'ascesa e l'acme prevede inevitabilmente la degenerazione e la fine, sia destinata ad avere la meglio sui fragili argini posti dall'ingegno umano, la consapevolezza dell'instabilità delle forme politiche aumenta l'ammirazione per il sistema di equilibri e contrappesi che aveva saputo ostacolare la forza della natura, e contribuisce a spiegare l'insistenza sulle forme di trasmissione dei valori a Roma: solo l'adesione diffusa a un sistema di valori che a tutto anteponeva il bene pubblico poteva arrestare la decadenza politica.File | Dimensione | Formato | |
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