Climat de France consiste in una supercorte contenente una piazza rettangolare con duecento colonne a pianta quadrata la cui ideazione è stata elaborata durante un viaggio compiuto dal Pouillon tra i villaggi del sud dell’Algeria in cerca delle radici dell’architettura islamica di quei luoghi. Ne è scaturita un’interpretazione contemporanea, una ricapitolazione dell’architettura locale inscritta nelle pietre del nuovo insediamento abitativo, che narra la vasta dimensione dell’architettura specialistica contrapposta a quella di base della casbah: un tentativo di ritualizzare il tema dell’abitazione innalzandolo a luogo urbano, a piazza, a stoà, al recinto di una moschea. “Forse per la prima volta in epoca moderna avevamo messo degli uomini ad abitare in un monumento. Questi uomini, che erano i più poveri dell’Algeria povera, lo capirono. Sono stati loro che hanno battezzato la grande piazza ‘le duecento colonne’ ”. Si tratta di un recinto imponente e fortificato che dà alloggio a seimila abitanti, costituito da una supercorte con corpi abitativi che si estendono sui lati lunghi per circa 300 metri. Le duecento colonne in pietra inserite al suo interno, collegate ai corpi di fabbrica solo in sommità tramite esili balconi, ne costituiscono una doppia pelle, di matrice greca ancor prima che islamica, una stoà dove poter vivere, riflettere, pensare, discutere, giocare. Il progetto venne realizzato a seguito di una prima proposta più episodica e non monumentale, eseguita in tre mesi di tempo con sessanta collaboratori, che Fernand Pouillon, non soddisfatto, abbandonò. Quindi partì in jeep per un giro del sud dell’Algeria dicendo ai collaboratori di riposarsi per essere pronti al suo ritorno. Fece la visita delle oasi, del Sahara, scoprendo “…il vento di sabbia, il freddo della notte, un sole terribile, un clima pari per purezza a quello dell’alta montagna. Le città di M’zab, le rovine di el Goléa e di Timimoun, le costruzioni di argilla cruda dei palmeti…i nomadi e i loro armenti, le carovane, e il paese in cui i datteri sostituiscono il grano…l’immenso regno degli uomini blu, dei Chaanbas, e dei gravi M’zabiti…”. Una volta rientrato il pezzo principale del progetto era delineato: un volume cavo all’interno che contiene una piazza con duecento botteghe artigiane, ‘incamiciato’ da un portico in pietra con le famose colonne quadre in pietra, alternate a vuoti di misura doppia rispetto ad esse, e una facciata lunga trecento metri e alta trenta, ispirata ai motivi decorativi dei tappeti del sud del paese. Il grande ‘tappeto dalle duecento colonne’ era nato: un immenso edificio, paragonabile al Karl Marx Hof o all’Immeuble Villas di Le Corbusier, un macrosegno contemporaneo che col suo ampio recinto si contrappone al tessuto minuto della vicina casbah. Il museo di Arte Islamica (MIA) a Doha nella penisola del Qatar nel Golfo Persico progettato da I.M. Pei consiste in un complesso contemporaneo anch’esso basato sull’interpretazione della cultura dei luoghi, quindi sul Regionalismo critico. Esso rappresenta una pietra angolare nel processo di trasformazione della capitale dello Stato del Qatar in un centro vitale della cultura islamica. Si tratta di un’opera che incorpora significati, geometrie e modi di sentire lo spazio architettonico appartenenti a una cultura molto diversa tanto da quella cinese, nativa per l’architetto (Canton, 1917), quanto da quella di New York dove Pei vive e lavora. La sfida di progettare un museo di arte islamica ubicato sul 25° parallelo, un’istituzione che sta diventando uno dei simboli internazionali dell’Islam del terzo millennio e che incorpora nei suoi volumi alcuni intimi caratteri di quella cultura, appare in tutta la sua complessità se pensiamo che I.M. Pei è un architetto totalmente contemporaneo appartenente alla corrente del late-modern. Il museo, anche centro informativo e luogo di ricerca, sorge su un’isola artificiale collegata alla costa della città di Doha tramite due passerelle pedonali e un ponte carrabile. L’edificio si compone di un volume principale contenente un atrio di 60 metri di altezza sul quale si affacciano cinque livelli, di una corte e di un’ala per le attività di formazione e ricerca. La forte massa geometrica del volume principale è caratterizzata da gradoni angolati che scendono progressivamente da una torre posta al centro della composizione verso il basamento quadrato. La torre nasconde quasi totalmente alla vista una cupola visibile solo da un’asola a forma di palpebra che, come in un occhio, ne lascia intravedere dall’esterno solo una minima parte. Al suo interno la cupola è rivestita in pannelli di acciaio inossidabile e presenta un oculo ubicato in sommità. Ciò crea l’effetto caleidoscopico del diaframma di una macchina fotografica, con la luce che si scompone nei riflessi delle varie sfaccettature dei pannelli che cambiano geometria passando dall’oculo circolare al tamburo ottagonale, quest’ultimo sostenuto da quattro colonne a forma di vela che terminano a terra su altrettanti giunti in acciaio inox.

Esempi di architettura islamica nella contemporaneità: il quartiere abitativo Climat de France ad Algeri di Fernand Pouillon, il Museo di Arte Islamica a Doha, Qatar, di I. M. Pei / Lenci, Ruggero. - STAMPA. - 5(2011), pp. 50-53.

Esempi di architettura islamica nella contemporaneità: il quartiere abitativo Climat de France ad Algeri di Fernand Pouillon, il Museo di Arte Islamica a Doha, Qatar, di I. M. Pei

LENCI, Ruggero
2011

Abstract

Climat de France consiste in una supercorte contenente una piazza rettangolare con duecento colonne a pianta quadrata la cui ideazione è stata elaborata durante un viaggio compiuto dal Pouillon tra i villaggi del sud dell’Algeria in cerca delle radici dell’architettura islamica di quei luoghi. Ne è scaturita un’interpretazione contemporanea, una ricapitolazione dell’architettura locale inscritta nelle pietre del nuovo insediamento abitativo, che narra la vasta dimensione dell’architettura specialistica contrapposta a quella di base della casbah: un tentativo di ritualizzare il tema dell’abitazione innalzandolo a luogo urbano, a piazza, a stoà, al recinto di una moschea. “Forse per la prima volta in epoca moderna avevamo messo degli uomini ad abitare in un monumento. Questi uomini, che erano i più poveri dell’Algeria povera, lo capirono. Sono stati loro che hanno battezzato la grande piazza ‘le duecento colonne’ ”. Si tratta di un recinto imponente e fortificato che dà alloggio a seimila abitanti, costituito da una supercorte con corpi abitativi che si estendono sui lati lunghi per circa 300 metri. Le duecento colonne in pietra inserite al suo interno, collegate ai corpi di fabbrica solo in sommità tramite esili balconi, ne costituiscono una doppia pelle, di matrice greca ancor prima che islamica, una stoà dove poter vivere, riflettere, pensare, discutere, giocare. Il progetto venne realizzato a seguito di una prima proposta più episodica e non monumentale, eseguita in tre mesi di tempo con sessanta collaboratori, che Fernand Pouillon, non soddisfatto, abbandonò. Quindi partì in jeep per un giro del sud dell’Algeria dicendo ai collaboratori di riposarsi per essere pronti al suo ritorno. Fece la visita delle oasi, del Sahara, scoprendo “…il vento di sabbia, il freddo della notte, un sole terribile, un clima pari per purezza a quello dell’alta montagna. Le città di M’zab, le rovine di el Goléa e di Timimoun, le costruzioni di argilla cruda dei palmeti…i nomadi e i loro armenti, le carovane, e il paese in cui i datteri sostituiscono il grano…l’immenso regno degli uomini blu, dei Chaanbas, e dei gravi M’zabiti…”. Una volta rientrato il pezzo principale del progetto era delineato: un volume cavo all’interno che contiene una piazza con duecento botteghe artigiane, ‘incamiciato’ da un portico in pietra con le famose colonne quadre in pietra, alternate a vuoti di misura doppia rispetto ad esse, e una facciata lunga trecento metri e alta trenta, ispirata ai motivi decorativi dei tappeti del sud del paese. Il grande ‘tappeto dalle duecento colonne’ era nato: un immenso edificio, paragonabile al Karl Marx Hof o all’Immeuble Villas di Le Corbusier, un macrosegno contemporaneo che col suo ampio recinto si contrappone al tessuto minuto della vicina casbah. Il museo di Arte Islamica (MIA) a Doha nella penisola del Qatar nel Golfo Persico progettato da I.M. Pei consiste in un complesso contemporaneo anch’esso basato sull’interpretazione della cultura dei luoghi, quindi sul Regionalismo critico. Esso rappresenta una pietra angolare nel processo di trasformazione della capitale dello Stato del Qatar in un centro vitale della cultura islamica. Si tratta di un’opera che incorpora significati, geometrie e modi di sentire lo spazio architettonico appartenenti a una cultura molto diversa tanto da quella cinese, nativa per l’architetto (Canton, 1917), quanto da quella di New York dove Pei vive e lavora. La sfida di progettare un museo di arte islamica ubicato sul 25° parallelo, un’istituzione che sta diventando uno dei simboli internazionali dell’Islam del terzo millennio e che incorpora nei suoi volumi alcuni intimi caratteri di quella cultura, appare in tutta la sua complessità se pensiamo che I.M. Pei è un architetto totalmente contemporaneo appartenente alla corrente del late-modern. Il museo, anche centro informativo e luogo di ricerca, sorge su un’isola artificiale collegata alla costa della città di Doha tramite due passerelle pedonali e un ponte carrabile. L’edificio si compone di un volume principale contenente un atrio di 60 metri di altezza sul quale si affacciano cinque livelli, di una corte e di un’ala per le attività di formazione e ricerca. La forte massa geometrica del volume principale è caratterizzata da gradoni angolati che scendono progressivamente da una torre posta al centro della composizione verso il basamento quadrato. La torre nasconde quasi totalmente alla vista una cupola visibile solo da un’asola a forma di palpebra che, come in un occhio, ne lascia intravedere dall’esterno solo una minima parte. Al suo interno la cupola è rivestita in pannelli di acciaio inossidabile e presenta un oculo ubicato in sommità. Ciò crea l’effetto caleidoscopico del diaframma di una macchina fotografica, con la luce che si scompone nei riflessi delle varie sfaccettature dei pannelli che cambiano geometria passando dall’oculo circolare al tamburo ottagonale, quest’ultimo sostenuto da quattro colonne a forma di vela che terminano a terra su altrettanti giunti in acciaio inox.
2011
Linee
9788860603197
Architettura Islamica; Climat De France; Museo dell'arte Islamica
02 Pubblicazione su volume::02a Capitolo o Articolo
Esempi di architettura islamica nella contemporaneità: il quartiere abitativo Climat de France ad Algeri di Fernand Pouillon, il Museo di Arte Islamica a Doha, Qatar, di I. M. Pei / Lenci, Ruggero. - STAMPA. - 5(2011), pp. 50-53.
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