Clay, loam, clay. In the myths of many cultures, archaeological, anthropological and ethnological this is the matter of creation, the matrix and at the same time the body of the form, as if to say shape and substance of nature. From this, in the first place, the replication, the ability to play the one in the manifold, the analog and the like, the one and the other. When, however, this metaphor lies in the remotest ideas of 'thought creator of myths, "let us look at the properties of the clay is the essence of plastic that our attention is: split up into that infinity of ways that takes in space and time every lump of earth, as if the plate had been granted to the hand tilled the ability to create, build, shape and finish. It is in this repetition of steps and gestures, in their organized, that some art historians glimpsed the style of the cultures and, moreover, these are considered much more 'material' as close to the ground. Material - let us remember - but is equivocal, difficult to pick out of his historiography

Argilla, terra cruda, terra rossa. Nei miti di moltissime culture archeologiche, antropologiche ed etnologiche è questa la materia della creazione, matrice e al tempo stesso corpo della forma, come a dire figura e sostanza della natura. Da questa, in primo luogo, la replica, la possibilità di riprodurre l’uno in molteplice, l’analogo e il simile, l’unico e il diverso. Quando però da questa metafora che risiede nelle idee più remote del «pensiero creatore di miti» passiamo ad osservare le proprietà dell’argilla è sulla sua essenza plastica che la nostra attenzione si ferma: contempla quell’infinità di modi che assume nello spazio e nel tempo ogni grumo di terra, come se dalla zolla dissodata fosse stata concessa alla mano anche la capacità di creare, costruire, modellare e rifinire. È in questo ripetersi di passaggi e gesti, nel loro organizzarsi, che alcuni storici dell’arte intravedono lo stile delle culture e, d’altronde, queste sono ritenute tanto più ‘materiali’ quanto più vicine alla terra. Materiale – ricordiamolo – è però un termine equivoco, difficile da cogliere fuori dalla sua storiografia; qualcuno (più sensibile o fortunato) lo riconosce ancora per opposizione all’ideale, altri lo pone al grado zero dell’evoluzione spirituale, ed altri ancora lo intende come un calco del pensiero umano. Eppure per quanto attiene l’argilla seguire ciecamente ed esclusivamente una qualsiasi di queste traiettorie, credere troppo nella capacità di una sola teoria di separare il materiale dall’ideale nei manufatti accresce solo la nostra miopia, rendendola una distorsione cronica; alla fine, quanto rimane della nostra fiducia nell’onniscienza del metodo è sempre, inevitabilmente, un lavoro preliminare, introduttivo. D’altronde, proprio nel Vicino Oriente antico l’argilla compare subito come il materiale e l’ideale d’ogni processo creativo, è – in altri termini – un’inscindibile compresenza di valori e tecniche che compongono e producono infiniti significati: tattili e psichici, allusivi e metaforici, storici e metastorici. Per queste ragioni, nella Mesopotamia del IV e del III Millennio a. C., e più specificatamente nel Paese di Sumer e di Accad, le più arcaiche tradizioni letterarie indicheranno l’argilla come un’essenza al tempo stesso concreta e teorica della creazione, e racconteranno la genesi dell’uomo dalla terra come protesi dell’azione e della volontà divine. Ogni manipolazione dell’argilla verrà così concepita e trasmessa per oltre tre millenni quasi fosse un rito capace di animare, fondare e restaurare l’umanità. E d’altronde questa ritualità sulla materia della creazione sembra aver coinvolto anche i primi scribi che trasformarono alcuni semplici pani di argilla cruda in supporti della scrittura, in tavolette che recavano impresse idee figurate prima (gli ideogrammi) e parole cuneiformi poi (il cuneiforme). Da quel momento, nella Bassa Mesopotamia della fine del IV Millennio a. C., l’argilla come materia della creazione e come supporto del linguaggio diverrà un archetipo della mitogenesi e della memoria storica antico orientale. Ma, allo stesso tempo, la medesima argilla che ha plasmato l’umanità mesopotamica e che ne ha conservato la parola sarà anche interiormente vissuta come materia privilegiata della costruzione. Così, non solo le maggiori istituzioni economiche, culturali, religiose e politiche della Babilonia (magazzini, archivi, templi e palazzi) saranno innalzate con i mattoni di terra cruda e cotta, ma diverranno anche le unità fisiche principali delle città sumeriche, accadiche ed eblaite (Tall). Non deve stupire, allora, che proprio l’argilla sia stata posta al fondamento e dell’etica e della retorica nelle culture dei paesi di Sumer, di Accad e di Ebla; in quanto materia della creazione, supporto del linguaggio e materiale della costruzione, l’ideologia dell’argilla trasborda ovunque e compare nelle cosmogonie (che organizzano il comportamento sociale) negli epiteti regali (che compiono la retorica della propaganda) nell’azione civica (che qualifica il buon governo). A questo punto, avremmo potuto celebrare un elogio dell’argilla, ma questo lavoro sarebbe divenuto un’ecloga, piuttosto che un saggio storico e archeologico centrato sulla scoperta sumerica, accadica ed eblaita della materia della creazione, del linguaggio e della costruzione. Una scoperta che, per quanto ci è noto, è avvenuta nell’antichità di molte altre regioni del globo e – oggi – continua a ripetersi quasi senza tempo divenendo, nell’età contemporanea, età della tecnica, un’implicita denuncia. Si, una denuncia, perché il rapporto tra l’uomo e la terra non è più simbiotico come … un tempo, perché in argilla non si crea quasi più, e perché le stesse costruzioni in terra sono divenute rare come fossili. Alla terra – quasi ovunque – è stato sostituito il cemento, la pietra, il metallo, e al plasticismo dei gesti creativi della mano sulla terra si è sovrapposta la manipolazione industriale di immagini già note, circolanti. Allo stesso modo, seguire le strade dell’argilla nell’Archeologia e nella Storia dell’Arte del Vicino Oriente antico ci aiuterà a fuggire dall’intendere i sumeri, gli accadi, gli eblaiti (e gli altri popoli del mondo antico) misteri da svelare per risalire alle origini della civiltà; la loro cultura artistica e materiale è visibile, concreta e sfugge ad uno studio frettoloso e superficiale sulle origini delle civiltà, origini troppo spesso allestite e istruite dalle moderne ideologie dominanti. Queste strade dell’argilla sono, inoltre, piene di crepe ed ostacoli ma ci riportano ad avere i piedi sulla terra e, se volete, a negare l’idea stessa di una ‘rivelazione’ delle civiltà antico orientali che sempre serpeggia nella pericolosa mistica del senso comune. Ma queste strade dell’argilla mesopotamica ci aiuteranno ad esaminare anche la scorza di altri paradigmi interpretativi delle culture antiche orientali e tra questi quello della loro esaltazione preposizionale. Infatti, nel senso comune, questi popoli antico orientali sarebbero stati vicini al nostro mondo per quanto avrebbero scritto prima di noi (come inventori della scrittura), oppure per come avrebbero pensato l’universo prima di noi (in quanto autori delle primi miti), e infine per quanto avrebbero influenzato le culture loro vicine (come distributori di saggezza, spiritualità e civiltà). Tuttavia, questa esaltazione preposizionale, per quanto suggestiva, ci ha allontanato da una storicizzazione concreta, ovvero misurata, della loro presenza. Banalizzando in negativo questi primati è, infatti, evidente come gli altri stereotipi della loro interpretazione siano stati quello di offrirne un’immagine prettamente mitica e talora aleatoria, e quello di considerarne la pre-esistenza come arcaismo delle culture più vicine al mondo occidentale, la cultura ideografica di livello inferiore a quella semitica e indoeuropea, l’interpretazione che diedero al loro cosmo come una forma pre-classica del più fiorente panteismo greco-ellenistico, e la loro saggezza come l’aneddotica pre-esistente alla fioritura del pensiero politico classico. In questo lavoro, dunque, noi torneremo all’argilla, o meglio … ai suoi piedi, ai piedi di quel gigante che – tetragono – lascia correre ogni interpretazione storico-archeologica quasi fosse un soffio di vento che penetra le sue crepe, scherza con la perfezione dei metodi che neppure graffiano la sua arida pelle e – sempre – siede pesante, in attesa di essere scoperto, rifondato, restaurato e musealizzato. Il nostro gigante, nel ‘Paese di Sumer e di Accad’, sa bene che può restare infinito: la sua presenza

Argilla. Archeologia della terra cruda nel Paese di Sumer e di Accad (IV e III Millennio a.C.) / Ramazzotti, Marco. - (In corso di stampa).

Argilla. Archeologia della terra cruda nel Paese di Sumer e di Accad (IV e III Millennio a.C.)

RAMAZZOTTI, Marco
In corso di stampa

Abstract

Clay, loam, clay. In the myths of many cultures, archaeological, anthropological and ethnological this is the matter of creation, the matrix and at the same time the body of the form, as if to say shape and substance of nature. From this, in the first place, the replication, the ability to play the one in the manifold, the analog and the like, the one and the other. When, however, this metaphor lies in the remotest ideas of 'thought creator of myths, "let us look at the properties of the clay is the essence of plastic that our attention is: split up into that infinity of ways that takes in space and time every lump of earth, as if the plate had been granted to the hand tilled the ability to create, build, shape and finish. It is in this repetition of steps and gestures, in their organized, that some art historians glimpsed the style of the cultures and, moreover, these are considered much more 'material' as close to the ground. Material - let us remember - but is equivocal, difficult to pick out of his historiography
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Argilla, terra cruda, terra rossa. Nei miti di moltissime culture archeologiche, antropologiche ed etnologiche è questa la materia della creazione, matrice e al tempo stesso corpo della forma, come a dire figura e sostanza della natura. Da questa, in primo luogo, la replica, la possibilità di riprodurre l’uno in molteplice, l’analogo e il simile, l’unico e il diverso. Quando però da questa metafora che risiede nelle idee più remote del «pensiero creatore di miti» passiamo ad osservare le proprietà dell’argilla è sulla sua essenza plastica che la nostra attenzione si ferma: contempla quell’infinità di modi che assume nello spazio e nel tempo ogni grumo di terra, come se dalla zolla dissodata fosse stata concessa alla mano anche la capacità di creare, costruire, modellare e rifinire. È in questo ripetersi di passaggi e gesti, nel loro organizzarsi, che alcuni storici dell’arte intravedono lo stile delle culture e, d’altronde, queste sono ritenute tanto più ‘materiali’ quanto più vicine alla terra. Materiale – ricordiamolo – è però un termine equivoco, difficile da cogliere fuori dalla sua storiografia; qualcuno (più sensibile o fortunato) lo riconosce ancora per opposizione all’ideale, altri lo pone al grado zero dell’evoluzione spirituale, ed altri ancora lo intende come un calco del pensiero umano. Eppure per quanto attiene l’argilla seguire ciecamente ed esclusivamente una qualsiasi di queste traiettorie, credere troppo nella capacità di una sola teoria di separare il materiale dall’ideale nei manufatti accresce solo la nostra miopia, rendendola una distorsione cronica; alla fine, quanto rimane della nostra fiducia nell’onniscienza del metodo è sempre, inevitabilmente, un lavoro preliminare, introduttivo. D’altronde, proprio nel Vicino Oriente antico l’argilla compare subito come il materiale e l’ideale d’ogni processo creativo, è – in altri termini – un’inscindibile compresenza di valori e tecniche che compongono e producono infiniti significati: tattili e psichici, allusivi e metaforici, storici e metastorici. Per queste ragioni, nella Mesopotamia del IV e del III Millennio a. C., e più specificatamente nel Paese di Sumer e di Accad, le più arcaiche tradizioni letterarie indicheranno l’argilla come un’essenza al tempo stesso concreta e teorica della creazione, e racconteranno la genesi dell’uomo dalla terra come protesi dell’azione e della volontà divine. Ogni manipolazione dell’argilla verrà così concepita e trasmessa per oltre tre millenni quasi fosse un rito capace di animare, fondare e restaurare l’umanità. E d’altronde questa ritualità sulla materia della creazione sembra aver coinvolto anche i primi scribi che trasformarono alcuni semplici pani di argilla cruda in supporti della scrittura, in tavolette che recavano impresse idee figurate prima (gli ideogrammi) e parole cuneiformi poi (il cuneiforme). Da quel momento, nella Bassa Mesopotamia della fine del IV Millennio a. C., l’argilla come materia della creazione e come supporto del linguaggio diverrà un archetipo della mitogenesi e della memoria storica antico orientale. Ma, allo stesso tempo, la medesima argilla che ha plasmato l’umanità mesopotamica e che ne ha conservato la parola sarà anche interiormente vissuta come materia privilegiata della costruzione. Così, non solo le maggiori istituzioni economiche, culturali, religiose e politiche della Babilonia (magazzini, archivi, templi e palazzi) saranno innalzate con i mattoni di terra cruda e cotta, ma diverranno anche le unità fisiche principali delle città sumeriche, accadiche ed eblaite (Tall). Non deve stupire, allora, che proprio l’argilla sia stata posta al fondamento e dell’etica e della retorica nelle culture dei paesi di Sumer, di Accad e di Ebla; in quanto materia della creazione, supporto del linguaggio e materiale della costruzione, l’ideologia dell’argilla trasborda ovunque e compare nelle cosmogonie (che organizzano il comportamento sociale) negli epiteti regali (che compiono la retorica della propaganda) nell’azione civica (che qualifica il buon governo). A questo punto, avremmo potuto celebrare un elogio dell’argilla, ma questo lavoro sarebbe divenuto un’ecloga, piuttosto che un saggio storico e archeologico centrato sulla scoperta sumerica, accadica ed eblaita della materia della creazione, del linguaggio e della costruzione. Una scoperta che, per quanto ci è noto, è avvenuta nell’antichità di molte altre regioni del globo e – oggi – continua a ripetersi quasi senza tempo divenendo, nell’età contemporanea, età della tecnica, un’implicita denuncia. Si, una denuncia, perché il rapporto tra l’uomo e la terra non è più simbiotico come … un tempo, perché in argilla non si crea quasi più, e perché le stesse costruzioni in terra sono divenute rare come fossili. Alla terra – quasi ovunque – è stato sostituito il cemento, la pietra, il metallo, e al plasticismo dei gesti creativi della mano sulla terra si è sovrapposta la manipolazione industriale di immagini già note, circolanti. Allo stesso modo, seguire le strade dell’argilla nell’Archeologia e nella Storia dell’Arte del Vicino Oriente antico ci aiuterà a fuggire dall’intendere i sumeri, gli accadi, gli eblaiti (e gli altri popoli del mondo antico) misteri da svelare per risalire alle origini della civiltà; la loro cultura artistica e materiale è visibile, concreta e sfugge ad uno studio frettoloso e superficiale sulle origini delle civiltà, origini troppo spesso allestite e istruite dalle moderne ideologie dominanti. Queste strade dell’argilla sono, inoltre, piene di crepe ed ostacoli ma ci riportano ad avere i piedi sulla terra e, se volete, a negare l’idea stessa di una ‘rivelazione’ delle civiltà antico orientali che sempre serpeggia nella pericolosa mistica del senso comune. Ma queste strade dell’argilla mesopotamica ci aiuteranno ad esaminare anche la scorza di altri paradigmi interpretativi delle culture antiche orientali e tra questi quello della loro esaltazione preposizionale. Infatti, nel senso comune, questi popoli antico orientali sarebbero stati vicini al nostro mondo per quanto avrebbero scritto prima di noi (come inventori della scrittura), oppure per come avrebbero pensato l’universo prima di noi (in quanto autori delle primi miti), e infine per quanto avrebbero influenzato le culture loro vicine (come distributori di saggezza, spiritualità e civiltà). Tuttavia, questa esaltazione preposizionale, per quanto suggestiva, ci ha allontanato da una storicizzazione concreta, ovvero misurata, della loro presenza. Banalizzando in negativo questi primati è, infatti, evidente come gli altri stereotipi della loro interpretazione siano stati quello di offrirne un’immagine prettamente mitica e talora aleatoria, e quello di considerarne la pre-esistenza come arcaismo delle culture più vicine al mondo occidentale, la cultura ideografica di livello inferiore a quella semitica e indoeuropea, l’interpretazione che diedero al loro cosmo come una forma pre-classica del più fiorente panteismo greco-ellenistico, e la loro saggezza come l’aneddotica pre-esistente alla fioritura del pensiero politico classico. In questo lavoro, dunque, noi torneremo all’argilla, o meglio … ai suoi piedi, ai piedi di quel gigante che – tetragono – lascia correre ogni interpretazione storico-archeologica quasi fosse un soffio di vento che penetra le sue crepe, scherza con la perfezione dei metodi che neppure graffiano la sua arida pelle e – sempre – siede pesante, in attesa di essere scoperto, rifondato, restaurato e musealizzato. Il nostro gigante, nel ‘Paese di Sumer e di Accad’, sa bene che può restare infinito: la sua presenza
03 Monografia::03a Saggio, Trattato Scientifico
Argilla. Archeologia della terra cruda nel Paese di Sumer e di Accad (IV e III Millennio a.C.) / Ramazzotti, Marco. - (In corso di stampa).
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