In questo libro si parla sia di specifici eventi che di quadri generali, cercheremo di addentrarci (senza ovviamente pretese di completezza) nel quadro storico e ideologico che ha fatto da contorno a tutta la violenza di massa, agli attentati, alle stragi, cercando di individuarne gli attori principali, il contesto geografico, le motivazioni ideologiche. Da Hitler a Pol Pot, dall’eccidio italiano di Debrà Libanos all’11 settembre 2001, dalla strategia della tensione alle stragi di mafia, da Timor Est ai desaparacidos argentini, dal genocidio ‘del machete’ al dramma del Darfur. E in questa descrizione di eventi e di contesti socio-politici ci siamo rigidamente attenuti alla regola ferrea della avalutatività, ovverosia all’astenerci il più possibile da giudizi di valori, da interpretazioni soggettive, anche se come sappiamo, spesso la semplice scelta dei fatti da raccontare è già frutto di una personale (e magari ‘inconscia’) attività soggettiva di selezione dei fatti. Ecco perché anche per limare questo aspetto metodologico abbiamo cercato di corredare il libro con più cronologie finalizzate a non escludere nessun evento, non solo di strage ma anche di eventi che in qualche modo si avvicinassero a delle stragi. Il file rouge di questo libro è quindi rappresentato dallo snodarsi di eventi che in qualche modo siano stati accomunati dalla nozione di strage. E qui è necessaria una chiarificazione terminologica. Quella relativa al termine ‘strage’. Cosa deve essere inteso con questo termine che ha prima vista si presenta di facile intuizione quando però vi ci addentriamo dentro ci accorgiamo che spesso è ambiguo? Ad esempio nel concetto di strage vi dobbiamo anche ricomprendere i genocidi, e le violenze politiche di massa? Oppure i crimini contro l’umanità? E’ semplicemente un omicidio plurimo? E allora quante vittime debbono essere prese in considerazione affinché si possa parlare di strage? Prendiamo il caso italiano. Giuridicamente la strage è considerata non tra i delitti contro la persona ma tra i reati contro l’incolumità pubblica. Il reato di strage si realizza quando al fine di uccidere, qualcuno che compia atti tali da porre in pericolo la pubblica incolumità, causa la morte di più persone. Quindi nella norma penale vi sono tre elementi principali: il fine di uccidere, il compimento di atti idonei a porre in pericolo la pubblica incolumità e la morte di più persone. Quest’ultimo concetto riferibile all’uccisione di due o più persone anche se vi sono orientamenti dottrinari che identificano la strage anche in chi uccida una sola persona e il ferimento di altre quando dai mezzi predisposti sarebbero potute morirne altre. Ecco perché nella narrazione di taluni eventi abbiamo anche preso in considerazione singoli atti di omicidio allorquando dai mezzi adoperati (un’esplosione ad esempio), dalle armi impiegate (mitragliatrici ad esempio), dal luogo del delitto (una strada frequentata), l’uccisione di una persona piuttosto che di altre è apparsa solo come un mero evento fortuito, niente togliendo a quell’evento la sua principale caratteristica, ovverosia quella di uccidere mettendo in pericolo la pubblica incolumità. Da un punta di vista sociologico e politologico la nozione di strage è ancora più confusa. In ambito internazionale il termine principale di riferimento è (in inglese) ‘massacre’, ma la nozione di massacro e di sterminio include anche i genocidi, i crimini contro l’umanità, e la ‘political violence’ (la violenza politica di massa). Il significato comune a queste definizioni è comunque l’uccisione di più persone al fine di realizzare un obbiettivo politico e/o economico-sociale (una rivoluzione, lo sterminio di una etnia, l’attuazione di un provvedimento economico, una guerra, il terrorismo, eccetera). Ecco perché parlare di stragi significa anche prendere in considerazione tutti quegli eventi e quelle motivazioni che le sorreggono. Una esposizione puramente descrittiva ne risulterebbe come inevitabilmente monca. Ecco perché seppure in maniera ridotta abbiamo ‘accennato’ alle grandi questioni globali, ai conflitti, alle guerre, alle ideologie del terrore. Ai conflitti che oggi più di ieri insanguinano il mondo. Ci sia consentita una breve riflessione al riguardo. Il crollo del Muro di Berlino per molti aveva aperto una speranza. Quella della fine di un ordine geopolitico basato sul bipolarismo delle due superpotenze e quindi la speranza in un nuovo ordine mondiale che ponendo fine allo spettro perenne di una guerra tra le due superpotenze avrebbe portato a un sistema di relazioni internazionali più giusto e pacifico. Gli eventi del Golfo Persico e in Jugoslavia, la crescita a dismisura del divario tra paesi ricchi e paesi poveri, la rinascita di guerre e conflitti locali, hanno spento nei primi anni Novanta quella debole speranza. E il mondo ancora una volta si è ritrovato immerso in conflitti locali e globali alimentati dall’odio etnico, dalla mancanza di democrazia e dalla speculazione dei soliti ‘signori della guerra’. Le nuove guerre, sia locali che internazionali, hanno visto una percentuale di vittime civili mai conosciuta. Se durante la prima guerra mondiale, le morti civili erano nell’ordine del 5%, nella seconda guerra mondiale sono salite al 66%, in una escalation che vede ad esempio nel conflitto serbo-bosniaco una percentuale di vittime civili pari al 95% del totale. Le guerre coinvolgono quindi oggi in una stragrande maggioranza di casi vittime civili. Basti ad esempio pensare ai bambini coinvolti nelle guerre, dall’uso di bambini per uccidere e combattere (i cd. bambini soldato) in molti conflitti africani, sudamericani e asiatici, all’arruolamento forzato di bambini in Sierra Leone che uccidono sotto effetto di droghe e alcol, in una progressione di atrocità che vede l’utilizzo di armi su misura del minore, come l’AK-47, la mitraglietta automatica, dal prezzo irrisorio (sui 50 dollari), leggera, maneggevole. Su 20 milioni di persone uccise nei 150 conflitti armati tra il 1945 ed il 1982, la maggior parte dei morti sono stati donne e bambini. Negli ultimi dieci anni le guerre nel mondo hanno ucciso 2 milioni di bambini, mutilato 4-5 milioni, resi orfani un milione e arruolati da 300.000 a 500.000. A queste stragi di civili segue che nelle aree martoriate dai conflitti si sia verificato l’effetto di un aumento allarmante dei rifugiati politici. In Kosovo, come in Bosnia e Palestina, in Iraq come in Ruanda o in Congo, un numero di rifugiati (dai 20 ai 25 milioni) e di emigrazione clandestina che ha invaso le cittadelle del benessere dell’Europa e dell’Occidente industrializzato (Hobsbawm, 1997). Gli eserciti e le guerre di oggi compiono massacri su larga scala, uso di bombe e razzi su bersagli civili, eserciti di professionisti-mercenari, che con l’aiuto di gruppi locali criminali, non esitano a violare diritti umani e a avvalersi di gruppi locali violenti che massacrano e uccidono in terre considerate di nessuno. Non solo ma una delle caratteristiche dei conflitti attuali è quello di essere conflitti ‘asimmetrici’, parola che in sostanza sta a significare che molto spesso tra le due parti in lotta non cìè equiparazione di forza, dove da una parte c’è un esercito in divisa e dall’altro un avversario ‘senza divisa’ (come nel caso dei taliban in Afghanistan), asimmetria che ha fatto delle azioni militari ‘operazioni chirurgiche’ basate sulla precisione tecnologica, che però spesso non ha risparmiato la popolazione civile e che spesso ha spinto le popolazioni colpite dalla guerra a esacerbare l’odio, gli integralismi e ad adottare l’unica forma di lotta a disposizione: il terrorismo. Un altro aspetto delle guerre di oggi è quello di essere giustificate spesso come ‘guerre preventive’ o anche come ‘interventi umanitari’. Questo secondo aspetto è stato introdotto per giustificare l’intervento Onu contro Milosevic. Con la guerra in Kosovo è passata l’idea che si potesse scatenare una guerra, peraltro in questo caso senza l’autorizzazione dell’Onu, in nome dei diritti umani. Non solo ma all’interno della polisemia del termine ‘strage’ sono da ricomprendere le guerre civili locali, gli attentati terroristici, le guerre di mafia e gli attentati della criminalità organizzata in tempo di pace. Anche in questi casi, se pensiamo ad esempio alle stragi italiane di matrice politica e terroristica, comprendere queste stragi significa riuscire a esplicitare i meccanismi di potere, le ideologie, le strumentalizzazioni e l’uso politico che viene fatto di quelle morti, spesso simboliche, orridi messaggi cifrati che mettono in gioco la tenuta democratica di un Paese, la sua dignità, la sua capacità d’indignazione. Mi riferisco alle stragi italiane, da Piazza Fontana a Bologna, da via d’Amelio a Portella della Ginestra. Massacri il cui fine era la destabilizzazione di un paese, la rottura del contratto sociale, l’idea folle che il vero ed il giusto (ammesso che nelle rivendicazioni terroristiche e/o mafiose vi sia un qualcosa di ‘vero’ e ‘giusto’) possa essere raggiunto con la violenza ed il terrore. Ecco perché abbiamo iniziato a parlare di stragi ed abbiamo finito col parlare –anche seppure incidentalmente- di guerra, di terrorismo, di mercenari della guerra, col proposito di rendere il termine strage maggiormente significativo. Speriamo di esserci –almeno in parte- riusciti. Si ringraziano per le informazioni acquisite e i dati il Centro per la legalità e la Cultura democratica della Regione Toscana, il Centro Siciliano di Documentazione ‘Peppino Impastato’, l’Associazione familiari vittime delle stragi, il Centro Studi della Resistenza di Roma, il Centro di documentazione Cedost di Bologna, il Comune di Bologna e Wikipedia per le informazioni, agli amici Paolo Bolognesi e Walter Ricoveri e a tutte le vittime e familiari delle vittime di strage e terrorismo. Un pensiero va quindi a tutte le vittime innocenti delle stragi di ieri, di oggi e di domani. Agli uomini, alle donne e bambini di allora, ai genitori che hanno vissuto anni tremendi e ai loro figli a cui auguriamo un mondo senza violenza.

Disastri di Massa nel Mondo “ / Mastronardi, Vincenzo. - STAMPA. - 1:(2008), pp. 1-278.

Disastri di Massa nel Mondo “

MASTRONARDI, Vincenzo
2008

Abstract

In questo libro si parla sia di specifici eventi che di quadri generali, cercheremo di addentrarci (senza ovviamente pretese di completezza) nel quadro storico e ideologico che ha fatto da contorno a tutta la violenza di massa, agli attentati, alle stragi, cercando di individuarne gli attori principali, il contesto geografico, le motivazioni ideologiche. Da Hitler a Pol Pot, dall’eccidio italiano di Debrà Libanos all’11 settembre 2001, dalla strategia della tensione alle stragi di mafia, da Timor Est ai desaparacidos argentini, dal genocidio ‘del machete’ al dramma del Darfur. E in questa descrizione di eventi e di contesti socio-politici ci siamo rigidamente attenuti alla regola ferrea della avalutatività, ovverosia all’astenerci il più possibile da giudizi di valori, da interpretazioni soggettive, anche se come sappiamo, spesso la semplice scelta dei fatti da raccontare è già frutto di una personale (e magari ‘inconscia’) attività soggettiva di selezione dei fatti. Ecco perché anche per limare questo aspetto metodologico abbiamo cercato di corredare il libro con più cronologie finalizzate a non escludere nessun evento, non solo di strage ma anche di eventi che in qualche modo si avvicinassero a delle stragi. Il file rouge di questo libro è quindi rappresentato dallo snodarsi di eventi che in qualche modo siano stati accomunati dalla nozione di strage. E qui è necessaria una chiarificazione terminologica. Quella relativa al termine ‘strage’. Cosa deve essere inteso con questo termine che ha prima vista si presenta di facile intuizione quando però vi ci addentriamo dentro ci accorgiamo che spesso è ambiguo? Ad esempio nel concetto di strage vi dobbiamo anche ricomprendere i genocidi, e le violenze politiche di massa? Oppure i crimini contro l’umanità? E’ semplicemente un omicidio plurimo? E allora quante vittime debbono essere prese in considerazione affinché si possa parlare di strage? Prendiamo il caso italiano. Giuridicamente la strage è considerata non tra i delitti contro la persona ma tra i reati contro l’incolumità pubblica. Il reato di strage si realizza quando al fine di uccidere, qualcuno che compia atti tali da porre in pericolo la pubblica incolumità, causa la morte di più persone. Quindi nella norma penale vi sono tre elementi principali: il fine di uccidere, il compimento di atti idonei a porre in pericolo la pubblica incolumità e la morte di più persone. Quest’ultimo concetto riferibile all’uccisione di due o più persone anche se vi sono orientamenti dottrinari che identificano la strage anche in chi uccida una sola persona e il ferimento di altre quando dai mezzi predisposti sarebbero potute morirne altre. Ecco perché nella narrazione di taluni eventi abbiamo anche preso in considerazione singoli atti di omicidio allorquando dai mezzi adoperati (un’esplosione ad esempio), dalle armi impiegate (mitragliatrici ad esempio), dal luogo del delitto (una strada frequentata), l’uccisione di una persona piuttosto che di altre è apparsa solo come un mero evento fortuito, niente togliendo a quell’evento la sua principale caratteristica, ovverosia quella di uccidere mettendo in pericolo la pubblica incolumità. Da un punta di vista sociologico e politologico la nozione di strage è ancora più confusa. In ambito internazionale il termine principale di riferimento è (in inglese) ‘massacre’, ma la nozione di massacro e di sterminio include anche i genocidi, i crimini contro l’umanità, e la ‘political violence’ (la violenza politica di massa). Il significato comune a queste definizioni è comunque l’uccisione di più persone al fine di realizzare un obbiettivo politico e/o economico-sociale (una rivoluzione, lo sterminio di una etnia, l’attuazione di un provvedimento economico, una guerra, il terrorismo, eccetera). Ecco perché parlare di stragi significa anche prendere in considerazione tutti quegli eventi e quelle motivazioni che le sorreggono. Una esposizione puramente descrittiva ne risulterebbe come inevitabilmente monca. Ecco perché seppure in maniera ridotta abbiamo ‘accennato’ alle grandi questioni globali, ai conflitti, alle guerre, alle ideologie del terrore. Ai conflitti che oggi più di ieri insanguinano il mondo. Ci sia consentita una breve riflessione al riguardo. Il crollo del Muro di Berlino per molti aveva aperto una speranza. Quella della fine di un ordine geopolitico basato sul bipolarismo delle due superpotenze e quindi la speranza in un nuovo ordine mondiale che ponendo fine allo spettro perenne di una guerra tra le due superpotenze avrebbe portato a un sistema di relazioni internazionali più giusto e pacifico. Gli eventi del Golfo Persico e in Jugoslavia, la crescita a dismisura del divario tra paesi ricchi e paesi poveri, la rinascita di guerre e conflitti locali, hanno spento nei primi anni Novanta quella debole speranza. E il mondo ancora una volta si è ritrovato immerso in conflitti locali e globali alimentati dall’odio etnico, dalla mancanza di democrazia e dalla speculazione dei soliti ‘signori della guerra’. Le nuove guerre, sia locali che internazionali, hanno visto una percentuale di vittime civili mai conosciuta. Se durante la prima guerra mondiale, le morti civili erano nell’ordine del 5%, nella seconda guerra mondiale sono salite al 66%, in una escalation che vede ad esempio nel conflitto serbo-bosniaco una percentuale di vittime civili pari al 95% del totale. Le guerre coinvolgono quindi oggi in una stragrande maggioranza di casi vittime civili. Basti ad esempio pensare ai bambini coinvolti nelle guerre, dall’uso di bambini per uccidere e combattere (i cd. bambini soldato) in molti conflitti africani, sudamericani e asiatici, all’arruolamento forzato di bambini in Sierra Leone che uccidono sotto effetto di droghe e alcol, in una progressione di atrocità che vede l’utilizzo di armi su misura del minore, come l’AK-47, la mitraglietta automatica, dal prezzo irrisorio (sui 50 dollari), leggera, maneggevole. Su 20 milioni di persone uccise nei 150 conflitti armati tra il 1945 ed il 1982, la maggior parte dei morti sono stati donne e bambini. Negli ultimi dieci anni le guerre nel mondo hanno ucciso 2 milioni di bambini, mutilato 4-5 milioni, resi orfani un milione e arruolati da 300.000 a 500.000. A queste stragi di civili segue che nelle aree martoriate dai conflitti si sia verificato l’effetto di un aumento allarmante dei rifugiati politici. In Kosovo, come in Bosnia e Palestina, in Iraq come in Ruanda o in Congo, un numero di rifugiati (dai 20 ai 25 milioni) e di emigrazione clandestina che ha invaso le cittadelle del benessere dell’Europa e dell’Occidente industrializzato (Hobsbawm, 1997). Gli eserciti e le guerre di oggi compiono massacri su larga scala, uso di bombe e razzi su bersagli civili, eserciti di professionisti-mercenari, che con l’aiuto di gruppi locali criminali, non esitano a violare diritti umani e a avvalersi di gruppi locali violenti che massacrano e uccidono in terre considerate di nessuno. Non solo ma una delle caratteristiche dei conflitti attuali è quello di essere conflitti ‘asimmetrici’, parola che in sostanza sta a significare che molto spesso tra le due parti in lotta non cìè equiparazione di forza, dove da una parte c’è un esercito in divisa e dall’altro un avversario ‘senza divisa’ (come nel caso dei taliban in Afghanistan), asimmetria che ha fatto delle azioni militari ‘operazioni chirurgiche’ basate sulla precisione tecnologica, che però spesso non ha risparmiato la popolazione civile e che spesso ha spinto le popolazioni colpite dalla guerra a esacerbare l’odio, gli integralismi e ad adottare l’unica forma di lotta a disposizione: il terrorismo. Un altro aspetto delle guerre di oggi è quello di essere giustificate spesso come ‘guerre preventive’ o anche come ‘interventi umanitari’. Questo secondo aspetto è stato introdotto per giustificare l’intervento Onu contro Milosevic. Con la guerra in Kosovo è passata l’idea che si potesse scatenare una guerra, peraltro in questo caso senza l’autorizzazione dell’Onu, in nome dei diritti umani. Non solo ma all’interno della polisemia del termine ‘strage’ sono da ricomprendere le guerre civili locali, gli attentati terroristici, le guerre di mafia e gli attentati della criminalità organizzata in tempo di pace. Anche in questi casi, se pensiamo ad esempio alle stragi italiane di matrice politica e terroristica, comprendere queste stragi significa riuscire a esplicitare i meccanismi di potere, le ideologie, le strumentalizzazioni e l’uso politico che viene fatto di quelle morti, spesso simboliche, orridi messaggi cifrati che mettono in gioco la tenuta democratica di un Paese, la sua dignità, la sua capacità d’indignazione. Mi riferisco alle stragi italiane, da Piazza Fontana a Bologna, da via d’Amelio a Portella della Ginestra. Massacri il cui fine era la destabilizzazione di un paese, la rottura del contratto sociale, l’idea folle che il vero ed il giusto (ammesso che nelle rivendicazioni terroristiche e/o mafiose vi sia un qualcosa di ‘vero’ e ‘giusto’) possa essere raggiunto con la violenza ed il terrore. Ecco perché abbiamo iniziato a parlare di stragi ed abbiamo finito col parlare –anche seppure incidentalmente- di guerra, di terrorismo, di mercenari della guerra, col proposito di rendere il termine strage maggiormente significativo. Speriamo di esserci –almeno in parte- riusciti. Si ringraziano per le informazioni acquisite e i dati il Centro per la legalità e la Cultura democratica della Regione Toscana, il Centro Siciliano di Documentazione ‘Peppino Impastato’, l’Associazione familiari vittime delle stragi, il Centro Studi della Resistenza di Roma, il Centro di documentazione Cedost di Bologna, il Comune di Bologna e Wikipedia per le informazioni, agli amici Paolo Bolognesi e Walter Ricoveri e a tutte le vittime e familiari delle vittime di strage e terrorismo. Un pensiero va quindi a tutte le vittime innocenti delle stragi di ieri, di oggi e di domani. Agli uomini, alle donne e bambini di allora, ai genitori che hanno vissuto anni tremendi e ai loro figli a cui auguriamo un mondo senza violenza.
2008
9788860220912
03 Monografia::03a Saggio, Trattato Scientifico
Disastri di Massa nel Mondo “ / Mastronardi, Vincenzo. - STAMPA. - 1:(2008), pp. 1-278.
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