Ormai cinquant’anni fa, all’indomani del secondo conflitto mondiale, l’Italia si accingeva ad entrare negli anni del cosiddetto miracolo economico. Non si trattava di un fenomeno isolato: concideva piuttosto con una fase di crescita generale del vecchio continente, che registrava trend positivi equivalenti al doppio di quelli registrati nei cento anni precedenti. In questo generale contesto di promozione, le differenze politiche tra i blocchi costituitisi nel Dopoguerra contavano fino ad un certo punto: l’“età dell’oro” coinvolse infatti in pieno i paesi dell’est caratterizzati dalle cosiddette economie pianificate e da una diversa ipotesi di sviluppo; anzi, fu proprio in quel gruppo che si registrarono alcuni casi di successo (si veda la ex-DDR) tra i più singolari. Vedremo oltre quali furono i limiti di quest’esperienza, sfociata nel giro di pochi anni in una profonda seppur breve recessione economica, da cui tuttavia il Paese non riuscirà ad elaborare una nuova formula efficace di sviluppo. Si possono però qui anticipare alcune delle “secche” in cui era impantanato il capitalismo italiano. Con la politica d’espansione concentrata sulla grande industria (le Partecipazioni, la scelta scellerata dell’auto…) e la concentrazione degli impianti e delle infrastrutture nel nord del Paese, infatti, si produce un danno irreversibile alle piccole manifatture e soprattutto al comparto agricolo, generando dei paradossi. La modalità organizzativa prevalente del tessuto produttivo italiano, coincide grossomodo con quella delle produzioni radunate sotto l’etichetta di made in Italy. In effetti il made in Italy non definisce, oggi, un insieme di tipologie di produzioni – troppo eterogenee sono le filiere coinvolte, che vanno dal settore agro-alimentare a quello dell’arredamento, alla moda, alla componentistica e alle tecnologie tradizionali – quanto piuttosto uno stile di produzione, basato su caratteristiche ben riconoscibili. Questi anni, caratterizzati da un progresso economico indiscutibilmente autentico, fondano tuttavia un modello di sviluppo sbilanciato che, insieme ai mali endemici della classe industriale italiana, spiegano molte delle difficoltà dell’oggi. La storia della borghesia italiana la evidenzia sempre come classe dominante e mai come classe dirigente e le uniche “riforme” significative realizzate in Italia sono state quelle che hanno colpito il lavoro. Basate su riduzione costi e non su promozioni investimenti :Riformismo miope perché dissipa conoscenze, crea discontinuità e insicurezza etc. che si riversa sempre di più sui giovani trasformando le mille forme del lavoro precario in una vera e propria precarietà della vita sociale.

Storia di un capitalismo piccolo piccolo. Lo Stato Italiano dal ’45 ad oggi / Vasapollo, Luciano. - (2007).

Storia di un capitalismo piccolo piccolo. Lo Stato Italiano dal ’45 ad oggi

VASAPOLLO, Luciano
2007

Abstract

Ormai cinquant’anni fa, all’indomani del secondo conflitto mondiale, l’Italia si accingeva ad entrare negli anni del cosiddetto miracolo economico. Non si trattava di un fenomeno isolato: concideva piuttosto con una fase di crescita generale del vecchio continente, che registrava trend positivi equivalenti al doppio di quelli registrati nei cento anni precedenti. In questo generale contesto di promozione, le differenze politiche tra i blocchi costituitisi nel Dopoguerra contavano fino ad un certo punto: l’“età dell’oro” coinvolse infatti in pieno i paesi dell’est caratterizzati dalle cosiddette economie pianificate e da una diversa ipotesi di sviluppo; anzi, fu proprio in quel gruppo che si registrarono alcuni casi di successo (si veda la ex-DDR) tra i più singolari. Vedremo oltre quali furono i limiti di quest’esperienza, sfociata nel giro di pochi anni in una profonda seppur breve recessione economica, da cui tuttavia il Paese non riuscirà ad elaborare una nuova formula efficace di sviluppo. Si possono però qui anticipare alcune delle “secche” in cui era impantanato il capitalismo italiano. Con la politica d’espansione concentrata sulla grande industria (le Partecipazioni, la scelta scellerata dell’auto…) e la concentrazione degli impianti e delle infrastrutture nel nord del Paese, infatti, si produce un danno irreversibile alle piccole manifatture e soprattutto al comparto agricolo, generando dei paradossi. La modalità organizzativa prevalente del tessuto produttivo italiano, coincide grossomodo con quella delle produzioni radunate sotto l’etichetta di made in Italy. In effetti il made in Italy non definisce, oggi, un insieme di tipologie di produzioni – troppo eterogenee sono le filiere coinvolte, che vanno dal settore agro-alimentare a quello dell’arredamento, alla moda, alla componentistica e alle tecnologie tradizionali – quanto piuttosto uno stile di produzione, basato su caratteristiche ben riconoscibili. Questi anni, caratterizzati da un progresso economico indiscutibilmente autentico, fondano tuttavia un modello di sviluppo sbilanciato che, insieme ai mali endemici della classe industriale italiana, spiegano molte delle difficoltà dell’oggi. La storia della borghesia italiana la evidenzia sempre come classe dominante e mai come classe dirigente e le uniche “riforme” significative realizzate in Italia sono state quelle che hanno colpito il lavoro. Basate su riduzione costi e non su promozioni investimenti :Riformismo miope perché dissipa conoscenze, crea discontinuità e insicurezza etc. che si riversa sempre di più sui giovani trasformando le mille forme del lavoro precario in una vera e propria precarietà della vita sociale.
2007
9788816407879
03 Monografia::03a Saggio, Trattato Scientifico
Storia di un capitalismo piccolo piccolo. Lo Stato Italiano dal ’45 ad oggi / Vasapollo, Luciano. - (2007).
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