“Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse” racconta Francesca a Dante nel V canto dell’Inferno, alludendo alla scintilla che fece divampare l’amore con Paolo. Un’ipotesi raccolta dai saggi contenuti in questo volume, che attribuiscono alla lettura la capacità di indurre cambiamenti anche decisivi nei soggetti che vi si dedicano e abbandonano. Tanto più se ciò che si legge riguarda aspetti profondi del modo di essere e di sentire: l’amore rappresentato, ad esempio, si impone con forza oltre i limiti del testo che lo inscena, emoziona i suoi lettori al punto da rivivere malgrado e attraverso di loro. Alle “passioni enunciate” corrispondono infatti spesso “enunciazioni appassionate”. Si riaffaccia in questo modo la questione dell’efficacia semiotica: in che modo i testi intrigano, coinvolgono e arrivano a trasformare i propri fruitori? Gli esercizi di analisi semiotica e di riflessione critica proposti in queste pagine cercano proprio di approfondire questa dimensione della significazione, nella convinzione che alcuni testi contribuiscano in modo significativo alla costituzione delle identità dei soggetti. Il che significa pensare ai libri anche come agenti di potenziale mutamento di una società e di una cultura, restituendo loro un’effettiva carica semantica e insistendo sull’intreccio, sul circuito virtuoso che si può venire a creare fra forme di vita vissute e forme di vita testuali, fra comportamenti, esperienze e consumi. Oggetto di studio sono dunque le forme e i modi attraverso i quali la soggettività trova spazi attivi di iscrizione testuale. I testi di cui ci occupiamo sono qui soprattutto letterari, ma non solo e non necessariamente, come vedremo nel cap.VII, dedicato alla fruizione televisiva “di culto”. L’ipotesi di sfondo è che in ambiti culturali dati alcuni testi contribuiscano in modo privilegiato a stabilizzare configurazioni del sentire e di conseguenza del vivere, partecipando in modo significativo alla costituzione delle identità dei soggetti. Il che significa pensare ai testi anche come potenziali “modificatori” di una società e di una cultura, restituendo loro un’effettiva “carica” semantica. Facciamo subito un esempio, per chiarire in parte di cosa vorremmo parlare. Jurij Lotman, in un celebre saggio, descrive la poetica di vita quotidiana dei decabristi, i nobili rivoluzionari che insorsero tragicamente contro lo zar Nicola I nel giorno della sua incoronazione, il 14 dicembre 1825. Lotman mostra come il loro comportamento nella vita di ogni giorno, anche negli aspetti più minuti, come nel modo di vestirsi o di atteggiarsi, fosse improntato a una serie di scelte significative, coerenti con i loro ideali, ed insiste sul ruolo modellizzante che ebbero alcuni grandi testi letterari, adottati come “guida”, nel mettere a punto questa vera e propria “forma di vita”: “I decabristi – egli scrive - introdussero nel comportamento l’unità, ma non riabilitando la prosa della vita, bensì passando la vita attraverso il filtro dei testi eroici ed eliminando in tal modo tutto ciò che non doveva essere iscritto negli annali della storia” (Lotman 2006, p. 256). Se non si tratta di un esempio “vincente”, data la triste fine dei nobili rivoluzionari di cui si tratta, speriamo che sia almeno calzante. Non si tratta di affermare soltanto, con Lotman, che il comportamento quotidiano può essere costruito ed analizzato “come un testo”, cosa che d’altronde la semiotica ormai abitualmente fa, o che ci siano testi che “iscrivono” mirabilmente, e dunque tramandano, certi modi di essere e di fare. Si tratta anche di cogliere l’occasione di insistere sull’intreccio, sul circuito virtuoso che si può venire a creare fra forme di vita vissute e forme di vita testuali, fra comportamenti, esperienze e consumi, e dunque anche fra testi e “pratiche”, per citare una preoccupazione attuale della ricerca. Si tratta di restituire esplicitamente ai testi e alle pratiche che li riguardano, come lettura, scrittura, circolazione, traduzione, e così via – un senso unitario e un peso specifico all’interno di un dato momento culturale, allargando lo sguardo in modo da comprenderli insieme. La semiotica testuale si è sviluppata progressivamente come una teoria generale della narratività, disaggregando, ampliando e riarticolando in un modello comune i risultati ottenuti dalle ricerche dapprima sulle fiabe e sui miti ( i formalisti, Propp, Lévi-Strauss), poi più in generale sul racconto (la narratologia, Barthes, Brémond, Genette, Eco…). Nell’approccio strutturale della scuola parigina sorta intorno a Algirdas Julien Greimas, la cosiddetta “grammatica narrativa” si è venuta elaborando a partire da un nucleo ristretto di categorie e termini interdefiniti fra loro: gli attanti (Destinante/Destinatario; Soggetto/Oggetto) e le loro relazioni, gli stati e le trasformazioni. Nello forma stereotipata dello Schema Narrativo Canonico, essa si caratterizza soprattutto nei termini di concatenamenti di azioni (la dimensione cosiddetta pragmatica del racconto) e di circolazione del sapere (la dimensione cognitiva) preliminare e conseguente allo svolgersi delle azioni. Le acquisizioni e i confronti fra le modalità (volere, dovere, sapere, potere) offrono strumenti via via più sottili per descrivere le dinamiche fra attanti: accanto all’”azione” assume progressiva pertinenza come oggetto di studio la “passione”, ovviamente ridefinita nei termini e con gli strumenti semiotici. L’allargamento di campo è tanto più urgente tanto più diviene esplicita la vocazione assiologia della semiotica, il suo occuparsi, cioè, di valori che non sono soltanto semplici differenze, ma cariche semantiche, che diventano obiettivi, investimenti. Il “senso” oggetto della sua ricerca, è senso per qualcuno, cioè direzione verso qualcosa. Qualcuno parla di “senso della vita”. A partire dagli anni ’80, molte analisi si focalizzano sui “racconti di passione”, e il modello si arricchisce con il riconoscimento di vera e propria dimensione passionale nella generazione del senso. Per alcuni, l’approfondimento di questa direzione di ricerca non può limitarsi a un accrescimento e a un riaggiustamento della semiotica cosiddetta “standard”, quella per intendersi che viene sistematizzata nel Dizionario di Greimas-Courtés (1979), ma può diventare l’occasione di una più ampia e radicale rielaborazione teorica, che, anche in seguito alla scomparsa di Greimas, prende strade in parte diverse fra loro. Questo non significa che l’analisi testuale abbia esaurito la sua funzione, se il testo, nella semiotica matura, ha sostituito il segno come oggetto privilegiato di indagine. Testo, dicevamo prima, non solo come congegno linguistico-semiotico in sé “immanente”, definito dalle relazioni che lo costituiscono, e contemplato sub specie aeternitatis, ma anche come spazio di configurazione e di articolazione del “senso”, luogo del provvisorio intrecciarsi e del fissarsi dell’enciclopedia e dunque della memoria culturale, terreno di sperimentazione e di conflitto… Testo insomma non solo come “totalità significante”, ma, a sua volta, come unità significativa di un insieme culturale più vasto: semiosfera in una semiosfera più ampia e viva, attraversata da tensioni e dinamiche proprie (cfr. cap. VII. Praticare il testo: oltre l’interpretazione, gli usi). Restiamo nell’ambito delle “passioni”, che qui soprattutto ci interessa: esse strutturano il “sentire” relativamente a una cultura e a un momento dati, come abbiamo detto, entrano nel gioco della cosiddetta prassi enunciazionale, dell’uso, nel senso che Hjelmslev dà a questo termine. Attraverso i discorsi sociali che le “parlano” e le fanno parlare, si fissano in configurazioni relativamente stabili e riconoscibili, fino a diventare topoi letterari, o stereotipi di uso comune, tassonomie connotative. (cfr. cap. III, Noia e melanconia. Leopardi lettore di Tasso). E forse, a quel punto, hanno esaurito il loro ruolo nell’innovazione culturale, benché continuino a circolare e a mantenere una certa efficacia “pratica”. Ci volevano la penna, la maestria e la sensibilità di Roland Barthes, ad esempio, per osare riprendere e rimettere in circolo alla fine degli anni 70, momento di grandi teorizzazioni, il discorso amoroso. Un tipo di discorso in privato praticato da tutti, eppure quasi negletto e svalutato, la cui indigesta consistenza Barthes spezzava appunto in frammenti: altrettanti luoghi o figure canonici – attesa, assenza, dichiarazione, scena …- a cui veniva però sottratto il peso di una trattazione troppo sistematica, sapienziale (Barthes 1977). In realtà Barthes procedeva facendo giocare insieme senso comune, arte, filosofia e, soprattutto, letteratura, dove “esseri di carta” si fanno amare o odiare, vivono le loro storie, figurandovi assai più di quanto a prima vista non sembri. A questo proposito, va sottolineato che nella semiotica testuale si è continuato a rivendicare l’interesse per forme e modi diversi – in certi casi alternativi - della conoscenza. Si mantiene così la distinzione, graduabile, tra i poli discorsivi – verbali e non - dell’astrazione (teoria, scienza, filosofia) e della figuratività (mito, fiabe, parabole, ma anche articoli di giornale, pubblicità). Con quest’ultima espressione si designa “la proprietà di produrre e di trasmettere significati in parte analoghi a quelli tratti dalle nostre esperienze percettive” (Bertrand 2000, p. 99), sollecitando nei destinatari forme di adesione a quelle che paiono evidenze, in base al principio assai generale per cui “vedere è credere”. Il che d’altra parte non esclude un uso complesso delle figure, ad esempio in ragionamenti di ordine analogico, che “persuadono” in modo obliquo e indiretto (cfr. cap. VI, Lo spazio letterario. Sguardi e razionalità a confronto). Anche il discorso sulle passioni, dunque, può scegliere la via di proporsi attraverso modelli figurativi, come dimostra il filosofo Jean Jacques Rousseau, che apertis verbis disprezzava la scrittura romanzesca, e fu l’autore di un grande classico come La Nouvelle Heloise (cfr. il cap.II, Leggere le passioni: le istruzioni di Rousseau). La scrittura romanzesca è uno dei grandi dispositivi di elaborazione della soggettività moderna, accanto e/o in alternativa alla sistemazione filosofica. Un dispositivo “figurativo”, e che cioè sceglie le forme di un pensiero concreto, messo in scena e incarnato nei panni di attori che prestano esemplarmente le loro vite alle peripezie non più soltanto dell’agire ma soprattutto del sentire (cfr. cap. IV, Il sintomo come passione del corpo). Un pensiero non necessariamente esatto, ma che beneficia delle possibilità dell’intreccio e di uno spazio di manovra relativamente ampio, e che dunque rende possibile l’esplorazione intensiva come il tentativo, l’esitazione, che può contare sul non detto, sulle maglie larghe di un tessuto pieno di risorse, di pieghe, di sfumature, di aperture. Un pensiero diffuso nei dettagli, capace soprattutto di “passare” attraverso una forma di connessione con il proprio pubblico ritenuta fino a un certo punto per lo più piacevole: l’esperienza di lettura (cfr. cap.I, Soggettività e romanzo: quando il lettore non è blasé). E’ facile a questo punto osservare che molto spesso alle “passioni enunciate” corrispondono “enunciazioni appassionate”. I testi producono modelli culturali che organizzano le soggettività, il “sentire”, e al tempo stesso offrono modelli di adesione e di repulsione verso i contenuti che mettono in scena. Si riaffaccia in questo modo la questione dell’efficacia semiotica: in che modo i testi intrigano, coinvolgono ed arrivano a trasformare - qualcuno dice addirittura a “convertire” - i propri fruitori? (cfr. cap. VIII, L’efficacia del testo. Effetti e affetti nella semiosi) Parlare di spazi testuali come “spazi attivi” significa pensare che la soggettività non vi è soltanto deposta, codificata e articolata in forme riconoscibili, passioni culturali, ma vi è al tempo stesso messa in serbo, custodita, trattenuta, in attesa di tornare a farsi sentire, di entrare in risonanza con una nuova e spesso diversa soggettività, quella del lettore, in un dialogo tanto inesauribile quanto a volte casuale, di esperienze del senso. Non v’è testo che, frequentato con attenzione, non finisca per irretire, per farsi abitare. La storia della critica e lo sviluppo delle teorie della letteratura hanno dovuto necessariamente imparare a distinguere e a separare le varie istanze che si incontrano sul terreno della fenomeno testuale, e che la tradizione polarizza nella triade delle intentiones, ridiscusse ampiamente da Umberto Eco: l’intentio auctoris, l’intentio operis e l’intentio lectoris (Eco !979, 1990). L’approccio semiotico ha optato con decisione per la pertinenza della seconda, riuscendo, nel migliore dei casi, a mostrare come essa possa implicare le altre due, almeno nei termini di quelle strategie virtuali e relazionali, di quelle istruzioni per l’uso che presiedono a un’attualizzazione empirica del testo, come nell’approccio cosiddetto interpretativo. Anche negli approcci derivati dalla linguistica dell’enunciazione, l’idea di fondo è che il testo, costitutivamente, metta in gioco strutture e simulacri che, tipicamente, possono essere proiettati, o ribaltati, dal suo interno all’esterno. La posta si alza, ad esempio per Jacques Geninasca, un autore alla cui riflessione queste pagine devono molto, fino a rendere indissociabile la riuscita interpretativa di quel tipo particolare di discorso, definito estetico, dall’acquisizione, da parte dell’interprete, della competenza specifica in grado di cogliere, in un processo di semiosi in atto, la struttura singolare di un dato testo (cfr. cap. V, Il campo dialogico della lettura). Ma la teoria di questi incontri ravvicinati fra lettore e testo non è soltanto un dispositivo di affermazione dell’ordine del discorso (Foucault 1974). Ben al contrario, mi pare, esso fonda la stessa possibilità di misurarsi con intelligenza con l’infinità delle letture e delle pratiche testuali che ogni cultura rende al suo interno pertinenti.

IL TESTO GALEOTTO. LA LETTURA COME PRATICA EFFICACE / Pezzini, Isabella. - (2007), pp. 1-192.

IL TESTO GALEOTTO. LA LETTURA COME PRATICA EFFICACE

PEZZINI, Isabella
2007

Abstract

“Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse” racconta Francesca a Dante nel V canto dell’Inferno, alludendo alla scintilla che fece divampare l’amore con Paolo. Un’ipotesi raccolta dai saggi contenuti in questo volume, che attribuiscono alla lettura la capacità di indurre cambiamenti anche decisivi nei soggetti che vi si dedicano e abbandonano. Tanto più se ciò che si legge riguarda aspetti profondi del modo di essere e di sentire: l’amore rappresentato, ad esempio, si impone con forza oltre i limiti del testo che lo inscena, emoziona i suoi lettori al punto da rivivere malgrado e attraverso di loro. Alle “passioni enunciate” corrispondono infatti spesso “enunciazioni appassionate”. Si riaffaccia in questo modo la questione dell’efficacia semiotica: in che modo i testi intrigano, coinvolgono e arrivano a trasformare i propri fruitori? Gli esercizi di analisi semiotica e di riflessione critica proposti in queste pagine cercano proprio di approfondire questa dimensione della significazione, nella convinzione che alcuni testi contribuiscano in modo significativo alla costituzione delle identità dei soggetti. Il che significa pensare ai libri anche come agenti di potenziale mutamento di una società e di una cultura, restituendo loro un’effettiva carica semantica e insistendo sull’intreccio, sul circuito virtuoso che si può venire a creare fra forme di vita vissute e forme di vita testuali, fra comportamenti, esperienze e consumi. Oggetto di studio sono dunque le forme e i modi attraverso i quali la soggettività trova spazi attivi di iscrizione testuale. I testi di cui ci occupiamo sono qui soprattutto letterari, ma non solo e non necessariamente, come vedremo nel cap.VII, dedicato alla fruizione televisiva “di culto”. L’ipotesi di sfondo è che in ambiti culturali dati alcuni testi contribuiscano in modo privilegiato a stabilizzare configurazioni del sentire e di conseguenza del vivere, partecipando in modo significativo alla costituzione delle identità dei soggetti. Il che significa pensare ai testi anche come potenziali “modificatori” di una società e di una cultura, restituendo loro un’effettiva “carica” semantica. Facciamo subito un esempio, per chiarire in parte di cosa vorremmo parlare. Jurij Lotman, in un celebre saggio, descrive la poetica di vita quotidiana dei decabristi, i nobili rivoluzionari che insorsero tragicamente contro lo zar Nicola I nel giorno della sua incoronazione, il 14 dicembre 1825. Lotman mostra come il loro comportamento nella vita di ogni giorno, anche negli aspetti più minuti, come nel modo di vestirsi o di atteggiarsi, fosse improntato a una serie di scelte significative, coerenti con i loro ideali, ed insiste sul ruolo modellizzante che ebbero alcuni grandi testi letterari, adottati come “guida”, nel mettere a punto questa vera e propria “forma di vita”: “I decabristi – egli scrive - introdussero nel comportamento l’unità, ma non riabilitando la prosa della vita, bensì passando la vita attraverso il filtro dei testi eroici ed eliminando in tal modo tutto ciò che non doveva essere iscritto negli annali della storia” (Lotman 2006, p. 256). Se non si tratta di un esempio “vincente”, data la triste fine dei nobili rivoluzionari di cui si tratta, speriamo che sia almeno calzante. Non si tratta di affermare soltanto, con Lotman, che il comportamento quotidiano può essere costruito ed analizzato “come un testo”, cosa che d’altronde la semiotica ormai abitualmente fa, o che ci siano testi che “iscrivono” mirabilmente, e dunque tramandano, certi modi di essere e di fare. Si tratta anche di cogliere l’occasione di insistere sull’intreccio, sul circuito virtuoso che si può venire a creare fra forme di vita vissute e forme di vita testuali, fra comportamenti, esperienze e consumi, e dunque anche fra testi e “pratiche”, per citare una preoccupazione attuale della ricerca. Si tratta di restituire esplicitamente ai testi e alle pratiche che li riguardano, come lettura, scrittura, circolazione, traduzione, e così via – un senso unitario e un peso specifico all’interno di un dato momento culturale, allargando lo sguardo in modo da comprenderli insieme. La semiotica testuale si è sviluppata progressivamente come una teoria generale della narratività, disaggregando, ampliando e riarticolando in un modello comune i risultati ottenuti dalle ricerche dapprima sulle fiabe e sui miti ( i formalisti, Propp, Lévi-Strauss), poi più in generale sul racconto (la narratologia, Barthes, Brémond, Genette, Eco…). Nell’approccio strutturale della scuola parigina sorta intorno a Algirdas Julien Greimas, la cosiddetta “grammatica narrativa” si è venuta elaborando a partire da un nucleo ristretto di categorie e termini interdefiniti fra loro: gli attanti (Destinante/Destinatario; Soggetto/Oggetto) e le loro relazioni, gli stati e le trasformazioni. Nello forma stereotipata dello Schema Narrativo Canonico, essa si caratterizza soprattutto nei termini di concatenamenti di azioni (la dimensione cosiddetta pragmatica del racconto) e di circolazione del sapere (la dimensione cognitiva) preliminare e conseguente allo svolgersi delle azioni. Le acquisizioni e i confronti fra le modalità (volere, dovere, sapere, potere) offrono strumenti via via più sottili per descrivere le dinamiche fra attanti: accanto all’”azione” assume progressiva pertinenza come oggetto di studio la “passione”, ovviamente ridefinita nei termini e con gli strumenti semiotici. L’allargamento di campo è tanto più urgente tanto più diviene esplicita la vocazione assiologia della semiotica, il suo occuparsi, cioè, di valori che non sono soltanto semplici differenze, ma cariche semantiche, che diventano obiettivi, investimenti. Il “senso” oggetto della sua ricerca, è senso per qualcuno, cioè direzione verso qualcosa. Qualcuno parla di “senso della vita”. A partire dagli anni ’80, molte analisi si focalizzano sui “racconti di passione”, e il modello si arricchisce con il riconoscimento di vera e propria dimensione passionale nella generazione del senso. Per alcuni, l’approfondimento di questa direzione di ricerca non può limitarsi a un accrescimento e a un riaggiustamento della semiotica cosiddetta “standard”, quella per intendersi che viene sistematizzata nel Dizionario di Greimas-Courtés (1979), ma può diventare l’occasione di una più ampia e radicale rielaborazione teorica, che, anche in seguito alla scomparsa di Greimas, prende strade in parte diverse fra loro. Questo non significa che l’analisi testuale abbia esaurito la sua funzione, se il testo, nella semiotica matura, ha sostituito il segno come oggetto privilegiato di indagine. Testo, dicevamo prima, non solo come congegno linguistico-semiotico in sé “immanente”, definito dalle relazioni che lo costituiscono, e contemplato sub specie aeternitatis, ma anche come spazio di configurazione e di articolazione del “senso”, luogo del provvisorio intrecciarsi e del fissarsi dell’enciclopedia e dunque della memoria culturale, terreno di sperimentazione e di conflitto… Testo insomma non solo come “totalità significante”, ma, a sua volta, come unità significativa di un insieme culturale più vasto: semiosfera in una semiosfera più ampia e viva, attraversata da tensioni e dinamiche proprie (cfr. cap. VII. Praticare il testo: oltre l’interpretazione, gli usi). Restiamo nell’ambito delle “passioni”, che qui soprattutto ci interessa: esse strutturano il “sentire” relativamente a una cultura e a un momento dati, come abbiamo detto, entrano nel gioco della cosiddetta prassi enunciazionale, dell’uso, nel senso che Hjelmslev dà a questo termine. Attraverso i discorsi sociali che le “parlano” e le fanno parlare, si fissano in configurazioni relativamente stabili e riconoscibili, fino a diventare topoi letterari, o stereotipi di uso comune, tassonomie connotative. (cfr. cap. III, Noia e melanconia. Leopardi lettore di Tasso). E forse, a quel punto, hanno esaurito il loro ruolo nell’innovazione culturale, benché continuino a circolare e a mantenere una certa efficacia “pratica”. Ci volevano la penna, la maestria e la sensibilità di Roland Barthes, ad esempio, per osare riprendere e rimettere in circolo alla fine degli anni 70, momento di grandi teorizzazioni, il discorso amoroso. Un tipo di discorso in privato praticato da tutti, eppure quasi negletto e svalutato, la cui indigesta consistenza Barthes spezzava appunto in frammenti: altrettanti luoghi o figure canonici – attesa, assenza, dichiarazione, scena …- a cui veniva però sottratto il peso di una trattazione troppo sistematica, sapienziale (Barthes 1977). In realtà Barthes procedeva facendo giocare insieme senso comune, arte, filosofia e, soprattutto, letteratura, dove “esseri di carta” si fanno amare o odiare, vivono le loro storie, figurandovi assai più di quanto a prima vista non sembri. A questo proposito, va sottolineato che nella semiotica testuale si è continuato a rivendicare l’interesse per forme e modi diversi – in certi casi alternativi - della conoscenza. Si mantiene così la distinzione, graduabile, tra i poli discorsivi – verbali e non - dell’astrazione (teoria, scienza, filosofia) e della figuratività (mito, fiabe, parabole, ma anche articoli di giornale, pubblicità). Con quest’ultima espressione si designa “la proprietà di produrre e di trasmettere significati in parte analoghi a quelli tratti dalle nostre esperienze percettive” (Bertrand 2000, p. 99), sollecitando nei destinatari forme di adesione a quelle che paiono evidenze, in base al principio assai generale per cui “vedere è credere”. Il che d’altra parte non esclude un uso complesso delle figure, ad esempio in ragionamenti di ordine analogico, che “persuadono” in modo obliquo e indiretto (cfr. cap. VI, Lo spazio letterario. Sguardi e razionalità a confronto). Anche il discorso sulle passioni, dunque, può scegliere la via di proporsi attraverso modelli figurativi, come dimostra il filosofo Jean Jacques Rousseau, che apertis verbis disprezzava la scrittura romanzesca, e fu l’autore di un grande classico come La Nouvelle Heloise (cfr. il cap.II, Leggere le passioni: le istruzioni di Rousseau). La scrittura romanzesca è uno dei grandi dispositivi di elaborazione della soggettività moderna, accanto e/o in alternativa alla sistemazione filosofica. Un dispositivo “figurativo”, e che cioè sceglie le forme di un pensiero concreto, messo in scena e incarnato nei panni di attori che prestano esemplarmente le loro vite alle peripezie non più soltanto dell’agire ma soprattutto del sentire (cfr. cap. IV, Il sintomo come passione del corpo). Un pensiero non necessariamente esatto, ma che beneficia delle possibilità dell’intreccio e di uno spazio di manovra relativamente ampio, e che dunque rende possibile l’esplorazione intensiva come il tentativo, l’esitazione, che può contare sul non detto, sulle maglie larghe di un tessuto pieno di risorse, di pieghe, di sfumature, di aperture. Un pensiero diffuso nei dettagli, capace soprattutto di “passare” attraverso una forma di connessione con il proprio pubblico ritenuta fino a un certo punto per lo più piacevole: l’esperienza di lettura (cfr. cap.I, Soggettività e romanzo: quando il lettore non è blasé). E’ facile a questo punto osservare che molto spesso alle “passioni enunciate” corrispondono “enunciazioni appassionate”. I testi producono modelli culturali che organizzano le soggettività, il “sentire”, e al tempo stesso offrono modelli di adesione e di repulsione verso i contenuti che mettono in scena. Si riaffaccia in questo modo la questione dell’efficacia semiotica: in che modo i testi intrigano, coinvolgono ed arrivano a trasformare - qualcuno dice addirittura a “convertire” - i propri fruitori? (cfr. cap. VIII, L’efficacia del testo. Effetti e affetti nella semiosi) Parlare di spazi testuali come “spazi attivi” significa pensare che la soggettività non vi è soltanto deposta, codificata e articolata in forme riconoscibili, passioni culturali, ma vi è al tempo stesso messa in serbo, custodita, trattenuta, in attesa di tornare a farsi sentire, di entrare in risonanza con una nuova e spesso diversa soggettività, quella del lettore, in un dialogo tanto inesauribile quanto a volte casuale, di esperienze del senso. Non v’è testo che, frequentato con attenzione, non finisca per irretire, per farsi abitare. La storia della critica e lo sviluppo delle teorie della letteratura hanno dovuto necessariamente imparare a distinguere e a separare le varie istanze che si incontrano sul terreno della fenomeno testuale, e che la tradizione polarizza nella triade delle intentiones, ridiscusse ampiamente da Umberto Eco: l’intentio auctoris, l’intentio operis e l’intentio lectoris (Eco !979, 1990). L’approccio semiotico ha optato con decisione per la pertinenza della seconda, riuscendo, nel migliore dei casi, a mostrare come essa possa implicare le altre due, almeno nei termini di quelle strategie virtuali e relazionali, di quelle istruzioni per l’uso che presiedono a un’attualizzazione empirica del testo, come nell’approccio cosiddetto interpretativo. Anche negli approcci derivati dalla linguistica dell’enunciazione, l’idea di fondo è che il testo, costitutivamente, metta in gioco strutture e simulacri che, tipicamente, possono essere proiettati, o ribaltati, dal suo interno all’esterno. La posta si alza, ad esempio per Jacques Geninasca, un autore alla cui riflessione queste pagine devono molto, fino a rendere indissociabile la riuscita interpretativa di quel tipo particolare di discorso, definito estetico, dall’acquisizione, da parte dell’interprete, della competenza specifica in grado di cogliere, in un processo di semiosi in atto, la struttura singolare di un dato testo (cfr. cap. V, Il campo dialogico della lettura). Ma la teoria di questi incontri ravvicinati fra lettore e testo non è soltanto un dispositivo di affermazione dell’ordine del discorso (Foucault 1974). Ben al contrario, mi pare, esso fonda la stessa possibilità di misurarsi con intelligenza con l’infinità delle letture e delle pratiche testuali che ogni cultura rende al suo interno pertinenti.
2007
9788883535543
semiotica del testo; teoria della lettura
03 Monografia::03a Saggio, Trattato Scientifico
IL TESTO GALEOTTO. LA LETTURA COME PRATICA EFFICACE / Pezzini, Isabella. - (2007), pp. 1-192.
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