In questo contributo si studia il motivo del manoscritto ritrovato alla luce del cambio epistemologico da una poetica dell'oralità a una basata sulla scrittura. Sulle orme di Paul Zumthor, si ricorda come sovente nella letteratura medievale l’‘io narrativo’ coincida (se chi recita il testo ne è anche l’autore) o si confonda (se interprete e autore sono due persone distinte) con un ‘io performativo’ che procede dall’oralità della declamazione. Il testo di un autore rivive spesso nella voce di un altro che vi apporta varianti, volontarie o involontarie. La coscienza della proprietà letteraria si sfuma così nel sentimento di una proprietà ‘diffusa’, ‘molteplice’, di cui il motivo del ‘falso traduttore’ darebbe ragione. Si giunge alla conclusione che il motivo dei falsi cronisti, dei plurimi intermediari e del rinvenimento dell'apocrifo nella produzione cavalleresca rimanda a una coscienza dell’atto creativo ancora legata a modalità proprie delle culture orali, che che vede confusi i ruoli di autore, narratore e performer . I libri di cavalleria, con il riutilizzo del motivo del vecchio manoscritto perduto e poi ritrovato, probabilmente vengono a costituire quell’‘interfaccia’, secondo la terminologia di Walter Ong, tra una ‘poetica dell’oralità’ e una ‘poetica della scrittura’, manuale o a stampa, non ancora completamente avvenuta. Vi si verificherebbe, dunque, quella coesistenza di ‘sistemi’ diversi, a base orale e scritturale propria delle fasi di culture di transizione, tra l’uso di una modalità espressiva pregressa (la voce) e l’affermarsi di un mezzo di trasmissione nuovo (la scrittura). All’obiezione di come si possano riscontrare tracce di oralità nella letteratura del Cinquecento ben inoltrato, si può rispondere che il Rinascimento, assieme al Medioevo, è indicato da Ong come un’epoca culturale dai forti ‘residui orali’ e che, sempre secondo lo studioso, il medesimo "Shakespeare visse alla fine di un mondo di scrittura pretipografica, un mondo con sopravvivenze orali dedito alla riorganizzazione del sapere".
I libri di cavalleria e la ficción del original: tra oralità e scrittura / Sarmati, Elisabetta. - STAMPA. - (2011), pp. 423-436.
I libri di cavalleria e la ficción del original: tra oralità e scrittura
SARMATI, Elisabetta
2011
Abstract
In questo contributo si studia il motivo del manoscritto ritrovato alla luce del cambio epistemologico da una poetica dell'oralità a una basata sulla scrittura. Sulle orme di Paul Zumthor, si ricorda come sovente nella letteratura medievale l’‘io narrativo’ coincida (se chi recita il testo ne è anche l’autore) o si confonda (se interprete e autore sono due persone distinte) con un ‘io performativo’ che procede dall’oralità della declamazione. Il testo di un autore rivive spesso nella voce di un altro che vi apporta varianti, volontarie o involontarie. La coscienza della proprietà letteraria si sfuma così nel sentimento di una proprietà ‘diffusa’, ‘molteplice’, di cui il motivo del ‘falso traduttore’ darebbe ragione. Si giunge alla conclusione che il motivo dei falsi cronisti, dei plurimi intermediari e del rinvenimento dell'apocrifo nella produzione cavalleresca rimanda a una coscienza dell’atto creativo ancora legata a modalità proprie delle culture orali, che che vede confusi i ruoli di autore, narratore e performer . I libri di cavalleria, con il riutilizzo del motivo del vecchio manoscritto perduto e poi ritrovato, probabilmente vengono a costituire quell’‘interfaccia’, secondo la terminologia di Walter Ong, tra una ‘poetica dell’oralità’ e una ‘poetica della scrittura’, manuale o a stampa, non ancora completamente avvenuta. Vi si verificherebbe, dunque, quella coesistenza di ‘sistemi’ diversi, a base orale e scritturale propria delle fasi di culture di transizione, tra l’uso di una modalità espressiva pregressa (la voce) e l’affermarsi di un mezzo di trasmissione nuovo (la scrittura). All’obiezione di come si possano riscontrare tracce di oralità nella letteratura del Cinquecento ben inoltrato, si può rispondere che il Rinascimento, assieme al Medioevo, è indicato da Ong come un’epoca culturale dai forti ‘residui orali’ e che, sempre secondo lo studioso, il medesimo "Shakespeare visse alla fine di un mondo di scrittura pretipografica, un mondo con sopravvivenze orali dedito alla riorganizzazione del sapere".I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.