Fino alla metà degli anni Sessanta, nella maggior parte delle nazioni non esistevano strutture finalizzate all’amministrazione di quello che viene internazionalmente riconosciuto come il Patrimonio Culturale Mondiale dell’Umanità. Oggi la situazione è completamente mutata e la conservazione è una disciplina riconosciuta in ambito politico e amministrativo; si sono costituite numerose nuove organizzazioni internazionali e vengono tenute regolarmente “conferenze” sul restauro in tutto il mondo. Attualmente, la gran parte dei documenti internazionali riguardanti la salvaguardia del Patrimonio Culturale, compresi quelli prodotti fra il 1996 e il 2006, oggetto del contributo, fa riferimento all’ICOMOS o all’UNESCO. Non mancano, comunque, documenti redatti a seguito di incontri internazionali, come la “Carta di Cracovia”, frutto della concertazione nata fra università europee, di intesa con l’ICOMOS, o a documenti che indicano le linee di indirizzo della conservazione all’interno dei diversi continenti. Il decennio 19967/2006 è stato caratterizzato da alcune carte, raccomandazioni e linee guida che, a partire dalla “Carta di Venezia” quale fonte normativa principale a carattere universale, hanno elaborato indirizzi per la conservazione più prossimi alla cultura dei diversi paesi. Queste carte tendono ad allontanarsi dai criteri definiti nei documenti internazionali, considerati eccessivamente legati alla cultura occidentale. Alcuni di questi documenti hanno valenza continentale (“Dichiarazione di San Antonio” per le Americhe del 1996, “Dichiarazione di Hoi An sulla conservazione dei distretti storici” in Asia del 2003), altri sono legati alla cultura e alle tradizioni di una sola nazione (India, Indonesi). Il contributo analizza questi documenti internazionali, proponendone anche alcune inedite traduzioni in italiano, giungendo alla conclusione che esse mostrano una netta volontà di emancipare il pensiero sul restauro dalle sue radici culturali europee. Il risultato di questa operazione, però, è l’affermazione di un forte relativismo culturale, la cui origine si poteva già scorgere nel documento di Nara del 1994, in cui veniva escluso che i giudizi di valore e di autenticità inerenti alle diverse culture potessero fondarsi su criteri uniformi e condivisi. Considerato dunque non “universale” il pensiero sul restauro, il riferimento prevalente divengono le comunità locali, alle quali sono delegate scelte relative al futuro dei beni culturali, allo scopo di assecondarne, con un processo “politicamente corretto”, i desideri e le aspirazioni, cancellando, con un colpo di spugna, almeno due secoli di elaborazione teorica e di seria sperimentazione sul restauro.
Carte, raccomandazioni e documenti internazionali: un quadro di aggiornamento / Mancini, Rossana. - STAMPA. - IX(2007), pp. 607-638.
Carte, raccomandazioni e documenti internazionali: un quadro di aggiornamento
MANCINI, Rossana
2007
Abstract
Fino alla metà degli anni Sessanta, nella maggior parte delle nazioni non esistevano strutture finalizzate all’amministrazione di quello che viene internazionalmente riconosciuto come il Patrimonio Culturale Mondiale dell’Umanità. Oggi la situazione è completamente mutata e la conservazione è una disciplina riconosciuta in ambito politico e amministrativo; si sono costituite numerose nuove organizzazioni internazionali e vengono tenute regolarmente “conferenze” sul restauro in tutto il mondo. Attualmente, la gran parte dei documenti internazionali riguardanti la salvaguardia del Patrimonio Culturale, compresi quelli prodotti fra il 1996 e il 2006, oggetto del contributo, fa riferimento all’ICOMOS o all’UNESCO. Non mancano, comunque, documenti redatti a seguito di incontri internazionali, come la “Carta di Cracovia”, frutto della concertazione nata fra università europee, di intesa con l’ICOMOS, o a documenti che indicano le linee di indirizzo della conservazione all’interno dei diversi continenti. Il decennio 19967/2006 è stato caratterizzato da alcune carte, raccomandazioni e linee guida che, a partire dalla “Carta di Venezia” quale fonte normativa principale a carattere universale, hanno elaborato indirizzi per la conservazione più prossimi alla cultura dei diversi paesi. Queste carte tendono ad allontanarsi dai criteri definiti nei documenti internazionali, considerati eccessivamente legati alla cultura occidentale. Alcuni di questi documenti hanno valenza continentale (“Dichiarazione di San Antonio” per le Americhe del 1996, “Dichiarazione di Hoi An sulla conservazione dei distretti storici” in Asia del 2003), altri sono legati alla cultura e alle tradizioni di una sola nazione (India, Indonesi). Il contributo analizza questi documenti internazionali, proponendone anche alcune inedite traduzioni in italiano, giungendo alla conclusione che esse mostrano una netta volontà di emancipare il pensiero sul restauro dalle sue radici culturali europee. Il risultato di questa operazione, però, è l’affermazione di un forte relativismo culturale, la cui origine si poteva già scorgere nel documento di Nara del 1994, in cui veniva escluso che i giudizi di valore e di autenticità inerenti alle diverse culture potessero fondarsi su criteri uniformi e condivisi. Considerato dunque non “universale” il pensiero sul restauro, il riferimento prevalente divengono le comunità locali, alle quali sono delegate scelte relative al futuro dei beni culturali, allo scopo di assecondarne, con un processo “politicamente corretto”, i desideri e le aspirazioni, cancellando, con un colpo di spugna, almeno due secoli di elaborazione teorica e di seria sperimentazione sul restauro.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.