Il presente lavoro di ricerca è scritto a cinquant’anni esatti dalla scomparsa di Hannah Arendt e si radica nella convinzione che la sua visione della filosofia e del soggetto umano conservi una specifica rilevanza per la complessità tragica del mondo contemporaneo. Ha l’obiettivo primario di articolare una cartografia teoretica della riflessione di Arendt sul diritto e di risignificare alcune categorie centrali del suo pensiero. Per una piena comunicabilità dei loro esiti, le ricerche sono organizzate in cinque capitoli di ampiezza eterogenea, pertanto liberi da ogni claustrofobica schematizzazione. Il primo ha scopi introduttivi ed è dedicato all’analisi del problema della sovranità che, nei testi di Arendt, assume forme sempre mutevoli designando tanto la peculiare libertà dell’umano nella sua relazione con gli altri quanto una modalità deteriorata di potere politico che impiega la norma come propria strumentazione funzionale. Il secondo capitolo serve a tematizzare alcuni elementi speculativi nominati nelle pagine di Vita activa. L’analisi si avvia dal concetto di azione da intendersi come atto incondizionato ed espositivo della capacità umana di dare inizio e di essere soggettività istituente. L’azione è discussa in qualità di fenomeno relazionale e posta in un confronto serrato con la giuridicità, altrettanto relazionale e dialogica, e con il gioco. Quest’ultimo è meditato sulla base delle autorevoli riflessioni di Eugen Fink. Il terzo capitolo è a carattere prettamente polemico, è pensato per mettere in questione i passaggi più fragili del pensiero di Arendt con particolare attenzione ai rapporti opachi tra diritto, politica ed economia. Nelle pagine che lo compongono vengono reinterpretate alcune delle più diffuse critiche alla sua teoresi. La filosofia del diritto di Hannah Arendt non è disposta in un apparato di idee unitario, ha natura proteiforme ed è disseminata nei suoi scritti. Per questa evidente ragione, occorre ri-costruirne le linee più importanti senza apporle coloriture politiche anguste. Si specifica che la disseminazione delle posizioni arendtiane non corrisponde ad una mancanza di coerenza. Il senso più profondo di tale impostazione di lavoro si ritrova nella sua esigenza di salvare il pensiero dal proprio perpetuo rattrappirsi e di riconvertire alcuni concetti chiave (legge, responsabilità, spazio pubblico, persona) dalle torsioni che subiscono a partire dall’evento dei totalitarismi. Il quarto capitolo ha lo scopo di approfondire la tensione sotterranea tra fenomeno giuridico e politico che, come un fiume carsico, attraversa i libri di Arendt. S’incentra sull’opera Sulla rivoluzione ed ha due direzioni essenziali: chiarire (e criticare) le pieghe più irrisolte della sua teoria sui rivolgimenti rivoluzionari e ridefinire il senso di una serie di strutture filosofiche utilizzate. Ci si domanda cosa Arendt voglia indicare con i poli del pubblico e del privato, quale sia il rapporto profondo tra violenza e diritto e cosa raffigurino, in questo quadro, le ideologie. L’ultimo capitolo è definito supplemento perché ha una struttura potenzialmente autonoma dal resto della ricerca. Ciononostante può essere spiegato come suo incidente corollario perché muove dalle più riconosciute considerazioni di Arendt: la sua paradigmatica riflessione sui totalitarismi e sullo sterminio. Queste pagine conclusive hanno il proposito di delineare una nomologia del campo e di descrivere gli aspetti più caratteristici dei luoghi concentrazionari assumendo come segnavia la visione antropologico-filosofica che tali strutture condividono. In questa rotta, viene presentata anche una risemantizzazione ardita, ma, ci si augura, rigorosa delle idee di Franco Basaglia sull’ospedale psichiatrico come spazio di una custodia ingiusta. Per quanto attiene alla metodologia di ricerca, si segnalano le seguenti scelte. Il pensiero di Arendt è discusso mediante un impiego frugale di testi di letteratura secondaria sia italiani che internazionali. Non tanto per l’ambizione di smarcarsi da strumenti ermeneutici senz’altro validi, ma per entrare in contatto diretto con la sua filosofia attraverso lo studio certosino di un’opera così vasta e diversificata. Su Hannah Arendt si è scritto (e si scrive) in modo incessante e avventurarsi incautamente nella mole di questi lavori espone lo studioso al rischio di assumere acriticamente punti di vista altrui rinunciando al superbo tentativo di ogni essere umano impegnato in attività scientifiche: la ricerca di una qualche originalità. Queste indagini consistono, dunque, nel perseguimento testardo di una relazione immediata con Hannah Arendt. Sono però meticolosamente orientate a ri-percorrere il suo confronto con i classici del pensiero politico e giuridico. In questa prospettiva, nei vari capitoli si espongono riletture del contrattualismo, di Rousseau, di Marx e di elementi peculiari della democrazia ateniese: la pólis, i princìpi dell’isonomia e dell’isegoria. Infine, questo scritto sulla filosofia del diritto di Hannah Arendt vuole evitare velleità storicistiche o di mera analisi dell’attualità. Per tale motivo compaiono e vengono trattati concetti senz’altro in crisi nel contesto giuridico contemporaneo (istituzione, comunità, potere, pubblico-privato) e la cui legittimità di ermeneusi del reale è messa in discussione da uno spazio-tempo della politica e del diritto del tutto parcellizzato e spaventosamente pieghevole. Tuttavia, la ricerca ha senso solo se migliora la qualità della coesistenza e se si mantiene aperta al dubbio. Pertanto la conservazione tutt’altro che disillusa di tali categorie vuole essere un tentativo di conferire loro una significatività affatto antiquaria e di riqualificarle; perché garantiscono una giusta disposizione delle relazioni umane a partire dal tessuto comune del linguaggio. Le riflessioni qui presentate sono il frutto (acerbo) del percorso di ricerca che porto avanti nell’Istituto di Filosofia del diritto dell’Università ‘Sapienza’ di Roma, grazie alla solida guida speculativa e umana del Prof. Bruno Romano e della Prof.ssa Luisa Avitabile. A loro va il mio più sentito ringraziamento perché con l’esempio degli studi mi insegnano il senso profondo della vocazione, dell’amore per i saperi e per la loro trasmissione.

La filosofia del diritto di Hannah Arendt / Castorino, Matteo. - (2025).

La filosofia del diritto di Hannah Arendt

Matteo Castorino
2025

Abstract

Il presente lavoro di ricerca è scritto a cinquant’anni esatti dalla scomparsa di Hannah Arendt e si radica nella convinzione che la sua visione della filosofia e del soggetto umano conservi una specifica rilevanza per la complessità tragica del mondo contemporaneo. Ha l’obiettivo primario di articolare una cartografia teoretica della riflessione di Arendt sul diritto e di risignificare alcune categorie centrali del suo pensiero. Per una piena comunicabilità dei loro esiti, le ricerche sono organizzate in cinque capitoli di ampiezza eterogenea, pertanto liberi da ogni claustrofobica schematizzazione. Il primo ha scopi introduttivi ed è dedicato all’analisi del problema della sovranità che, nei testi di Arendt, assume forme sempre mutevoli designando tanto la peculiare libertà dell’umano nella sua relazione con gli altri quanto una modalità deteriorata di potere politico che impiega la norma come propria strumentazione funzionale. Il secondo capitolo serve a tematizzare alcuni elementi speculativi nominati nelle pagine di Vita activa. L’analisi si avvia dal concetto di azione da intendersi come atto incondizionato ed espositivo della capacità umana di dare inizio e di essere soggettività istituente. L’azione è discussa in qualità di fenomeno relazionale e posta in un confronto serrato con la giuridicità, altrettanto relazionale e dialogica, e con il gioco. Quest’ultimo è meditato sulla base delle autorevoli riflessioni di Eugen Fink. Il terzo capitolo è a carattere prettamente polemico, è pensato per mettere in questione i passaggi più fragili del pensiero di Arendt con particolare attenzione ai rapporti opachi tra diritto, politica ed economia. Nelle pagine che lo compongono vengono reinterpretate alcune delle più diffuse critiche alla sua teoresi. La filosofia del diritto di Hannah Arendt non è disposta in un apparato di idee unitario, ha natura proteiforme ed è disseminata nei suoi scritti. Per questa evidente ragione, occorre ri-costruirne le linee più importanti senza apporle coloriture politiche anguste. Si specifica che la disseminazione delle posizioni arendtiane non corrisponde ad una mancanza di coerenza. Il senso più profondo di tale impostazione di lavoro si ritrova nella sua esigenza di salvare il pensiero dal proprio perpetuo rattrappirsi e di riconvertire alcuni concetti chiave (legge, responsabilità, spazio pubblico, persona) dalle torsioni che subiscono a partire dall’evento dei totalitarismi. Il quarto capitolo ha lo scopo di approfondire la tensione sotterranea tra fenomeno giuridico e politico che, come un fiume carsico, attraversa i libri di Arendt. S’incentra sull’opera Sulla rivoluzione ed ha due direzioni essenziali: chiarire (e criticare) le pieghe più irrisolte della sua teoria sui rivolgimenti rivoluzionari e ridefinire il senso di una serie di strutture filosofiche utilizzate. Ci si domanda cosa Arendt voglia indicare con i poli del pubblico e del privato, quale sia il rapporto profondo tra violenza e diritto e cosa raffigurino, in questo quadro, le ideologie. L’ultimo capitolo è definito supplemento perché ha una struttura potenzialmente autonoma dal resto della ricerca. Ciononostante può essere spiegato come suo incidente corollario perché muove dalle più riconosciute considerazioni di Arendt: la sua paradigmatica riflessione sui totalitarismi e sullo sterminio. Queste pagine conclusive hanno il proposito di delineare una nomologia del campo e di descrivere gli aspetti più caratteristici dei luoghi concentrazionari assumendo come segnavia la visione antropologico-filosofica che tali strutture condividono. In questa rotta, viene presentata anche una risemantizzazione ardita, ma, ci si augura, rigorosa delle idee di Franco Basaglia sull’ospedale psichiatrico come spazio di una custodia ingiusta. Per quanto attiene alla metodologia di ricerca, si segnalano le seguenti scelte. Il pensiero di Arendt è discusso mediante un impiego frugale di testi di letteratura secondaria sia italiani che internazionali. Non tanto per l’ambizione di smarcarsi da strumenti ermeneutici senz’altro validi, ma per entrare in contatto diretto con la sua filosofia attraverso lo studio certosino di un’opera così vasta e diversificata. Su Hannah Arendt si è scritto (e si scrive) in modo incessante e avventurarsi incautamente nella mole di questi lavori espone lo studioso al rischio di assumere acriticamente punti di vista altrui rinunciando al superbo tentativo di ogni essere umano impegnato in attività scientifiche: la ricerca di una qualche originalità. Queste indagini consistono, dunque, nel perseguimento testardo di una relazione immediata con Hannah Arendt. Sono però meticolosamente orientate a ri-percorrere il suo confronto con i classici del pensiero politico e giuridico. In questa prospettiva, nei vari capitoli si espongono riletture del contrattualismo, di Rousseau, di Marx e di elementi peculiari della democrazia ateniese: la pólis, i princìpi dell’isonomia e dell’isegoria. Infine, questo scritto sulla filosofia del diritto di Hannah Arendt vuole evitare velleità storicistiche o di mera analisi dell’attualità. Per tale motivo compaiono e vengono trattati concetti senz’altro in crisi nel contesto giuridico contemporaneo (istituzione, comunità, potere, pubblico-privato) e la cui legittimità di ermeneusi del reale è messa in discussione da uno spazio-tempo della politica e del diritto del tutto parcellizzato e spaventosamente pieghevole. Tuttavia, la ricerca ha senso solo se migliora la qualità della coesistenza e se si mantiene aperta al dubbio. Pertanto la conservazione tutt’altro che disillusa di tali categorie vuole essere un tentativo di conferire loro una significatività affatto antiquaria e di riqualificarle; perché garantiscono una giusta disposizione delle relazioni umane a partire dal tessuto comune del linguaggio. Le riflessioni qui presentate sono il frutto (acerbo) del percorso di ricerca che porto avanti nell’Istituto di Filosofia del diritto dell’Università ‘Sapienza’ di Roma, grazie alla solida guida speculativa e umana del Prof. Bruno Romano e della Prof.ssa Luisa Avitabile. A loro va il mio più sentito ringraziamento perché con l’esempio degli studi mi insegnano il senso profondo della vocazione, dell’amore per i saperi e per la loro trasmissione.
2025
9791221117677
arendt; diritto; violenza; totalitarismo; istituzione giuridica; linguaggio; responsabilità
03 Monografia::03a Saggio, Trattato Scientifico
La filosofia del diritto di Hannah Arendt / Castorino, Matteo. - (2025).
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