L’interazione tra i cicli economici a lungo termine e le rivoluzioni industriali costituisce un nodo cruciale di convergenza tra economia e storia e, al tempo stesso, un’intersezione che invita a un’indagine multidisciplinare. Le rivoluzioni industriali, ben lontane dall’essere meri aggiustamenti tecnologici, emergono come catalizzatori di cambiamento, innescando nuove fasi di espansione non solo economica ma anche sociale. Si tratta, dunque, di trasformazioni radicali che ristrutturano l’intera architettura socioeconomica. Pensando alla prima Rivoluzione Industriale, è evidente come la meccanizzazione e l’uso del vapore abbiano non solo stimolato la crescita economica, ma anche ridefinito le relazioni di lavoro e la struttura del tessuto sociale. Analogamente, la seconda Rivoluzione Industriale, con l’avvento dell’elettrificazione e della produzione di massa, e la terza, focalizzata sulla comunicazione e sull’informatica, hanno prodotto profonde implicazioni economiche, sociali e politiche. Un’utile chiave di lettura di questo fenomeno sociotecnico è stata fornita da Nikolai Kondratiev con l’introduzione dei cicli K (Kondratiev, 1935). I cicli K, noti anche come onde di Kondratiev, rappresentano un fenomeno economico di grande rilevanza. La teoria, formulata per la prima volta dall’economista russo Nikolai Kondratiev nel 1925, ha subito numerose revisioni e adattamenti, ma la sua essenza rimane invariata: l’economia globale attraversa cicli a lungo termine con fasi di espansione e contrazione di durata variabile tra i cinquanta e i sessanta anni. Ogni ciclo è composto da una fase di espansione (o primavera), una fase di stallo (o estate), una fase di contrazione (o autunno) e una fase di depressione (o inverno), misurabili attraverso indicatori di produzione industriale, occupazione, prezzi delle materie prime e tassi di interesse. Nelle dinamiche economiche e sociali si possono identificare quattro fasi cruciali che non solo modellano il mercato, ma influenzano profondamente anche gli aspetti psicosociali della comunità. La primavera, che dura approssimativamente un quarto di secolo, è un periodo di crescita e di espansione, rappresentando l’unico stadio di autentico benessere sociale. Economicamente, si manifesta un bisogno di maggiore liquidità per sostenere l’incremento della produzione, che a sua volta porta a un aumento dei prezzi e prelude a una fase inflazionistica. Socialmente, si verifica una ristrutturazione del mercato del lavoro e dei ruoli individuali. Segue l’estate, un periodo più breve di circa cinque anni, che segna un’inversione di tendenza verso la recessione. In questa fase, il capitale è prevalentemente canalizzato verso il consumo, con una conseguente diminuzione degli investimenti e del risparmio. Si raggiunge anche il picco inflazionistico, che erode parte dei guadagni della fase primaverile. Sul piano sociale, il benessere accumulato nella fase precedente porta a una diminuzione della produttività. L’autunno, esteso dai sette ai dieci anni, è caratterizzato da una forma di crescita deflazionaria. Sebbene non eguagli il benessere della primavera, si assiste a un rinnovato impulso all’innovazione e a un incremento del consumo, spesso sostenuto da un maggiore indebitamento. Infine, l’inverno si articola in due sottoperiodi: una fase di collasso di circa tre anni e una fase di contrazione che si protrae per un quindicennio. In questa stagione si manifesta una contrazione significativa dell’economia e la società entra in un periodo di austerità. Tuttavia, è anche il momento in cui i cambiamenti incrementali maturati nelle fasi precedenti convergono nella formazione di una nuova struttura sociale, inaugurando un nuovo ciclo. Le principali cause dell’alternanza dei cicli sono identificate, da un lato, nell’innovazione e negli investimenti che la sostengono, e dall’altro, nelle pressioni socioeconomiche che spingono verso nuova innovazione. Ciò evidenzia che le onde K non sono un fenomeno strettamente economico, ma la manifestazione misurabile in termini economici del comportamento, armonico o disarmonico, del sistema socioeconomico nel suo insieme. A partire dagli studi di Kondratiev, Schumpeter (1939), Freeman (1977) e Freeman e Perez (1986) hanno individuato cinque cicli principali. L’avvio del primo ciclo è ricondotto alla prima Rivoluzione Industriale in Inghilterra, intorno al 1771. Il secondo ciclo, l’epoca delle ferrovie, si colloca nella prima metà del XIX secolo e corrisponde alla seconda Rivoluzione Industriale. Le nuove tecnologie e i capitali accumulati durante la prima rivoluzione vengono impiegati per costruire le prime ferrovie, e l’industria pesante dell’acciaio diventa il settore trainante dell’economia. Il terzo ciclo, sviluppatosi nella seconda metà del XIX secolo, prende il nome di “Era dell’elettricità” e si caratterizza per la proliferazione dei collegamenti ferroviari transnazionali e dei trasporti marittimi transcontinentali, che rendono possibile una prima globalizzazione. In questo periodo, Germania e Stati Uniti sfidano l’egemonia economica britannica. Il quarto ciclo, più breve del precedente, è l’“Era del petrolio, dell’automobile e della produzione di massa”, avviata intorno al 1908. Il suo inizio è legato al lancio della Ford T, la prima vettura prodotta in serie mediante la catena di montaggio. Le nuove tecniche di produzione di massa, l’ampia diffusione dell’energia elettrica e l’uso della plastica sconvolsero i modelli di lavoro e di vita, avviando il consumismo di massa. Il quinto ciclo, infine, è definito “Era dell’informatica e delle telecomunicazioni” e ha inizio nel 1971, anno in cui l’Intel lancia sul mercato il microprocessore, aprendo l’epoca delle tecnologie informatiche e delle comunicazioni digitali. Questa onda, oggi nella sua fase invernale, riflette l’accelerazione dei cicli tecnologici, che risultano progressivamente più brevi. Ciascuna delle onde individuate comprende una fase di rivoluzione tecnologica, una fase di maturità – in cui le innovazioni radicali diminuiscono in numero e impatto e l’attenzione si concentra sull’exploitation – e una fase conclusiva di saturazione. Una rivoluzione tecnologica, tuttavia, non è una semplice evoluzione tecnica: rappresenta una metamorfosi fondamentale dell’architettura di una società. Modificando le modalità attraverso le quali una comunità si auto-perpetua e si espande, essa ne trasforma il paradigma (Dosi, 1985). Si tratta di una trasformazione radicale delle interazioni tra individui e gruppi sociali: non solo il risultato dell’avvento di nuove tecnologie, ma un processo in cui l’uso differenziato di tali tecnologie consente ad alcuni gruppi di ottenere una posizione dominante, alterando le dinamiche di potere all’interno della società. Un paradigma tecnologico (Dosi & Nelson, 2014; Dosi, 1982, 1988; Freeman, 1982, 1994) può essere inteso come un insieme coerente di pratiche, design archetipici e conoscenze che forniscono una cornice per la definizione dei problemi e delle soluzioni tecno-economiche. Questo concetto, sviluppato a partire dal lavoro di Thomas Kuhn sulle rivoluzioni scientifiche, funge da guida per le attività di ricerca e sviluppo, fornendo regole formali e informali che orientano gli sforzi di innovazione, influenzano l’organizzazione industriale e la dinamica del mercato. Le traiettorie tecnologiche, d’altra parte, rappresentano i percorsi evolutivi che emergono all’interno di un paradigma tecnologico: esse costituiscono i sentieri lungo i quali si sviluppa l’innovazione tecnologica, orientando la ricerca verso miglioramenti incrementali o radicali (Nelson & Winter, 1977, 1982). Un cambiamento di paradigma tecnologico può dunque aprire nuove opportunità di innovazione. La conoscenza scientifica rappresenta il motore dell’innovazione tecnologica (Mokyr, 2002, 2010). Tuttavia, non si può ignorare la dimensione path-dependent della tecnologia: Paul David (1993, 2004) e Keith Pavitt (1987, 1999) hanno sottolineato che le innovazioni sono spesso il risultato di combinazioni di tecnologie esistenti (Arthur, 2009). A partire da queste premesse, si può ripercorrere brevemente il ruolo storicamente ricoperto dalla tecnologia nel passaggio dall’era analogica a quella digitale.
Analogica, digitale, autonoma: una (breve) storia della tecnologia / Rocchi, Andrea; La Sala, Antonio; Sirolli, Mariavirginia. - (2025), pp. 15-32. [10.13133/9788893774130].
Analogica, digitale, autonoma: una (breve) storia della tecnologia
Andrea, Rocchi;Antonio, La Sala
;Mariavirginia Sirolli
2025
Abstract
L’interazione tra i cicli economici a lungo termine e le rivoluzioni industriali costituisce un nodo cruciale di convergenza tra economia e storia e, al tempo stesso, un’intersezione che invita a un’indagine multidisciplinare. Le rivoluzioni industriali, ben lontane dall’essere meri aggiustamenti tecnologici, emergono come catalizzatori di cambiamento, innescando nuove fasi di espansione non solo economica ma anche sociale. Si tratta, dunque, di trasformazioni radicali che ristrutturano l’intera architettura socioeconomica. Pensando alla prima Rivoluzione Industriale, è evidente come la meccanizzazione e l’uso del vapore abbiano non solo stimolato la crescita economica, ma anche ridefinito le relazioni di lavoro e la struttura del tessuto sociale. Analogamente, la seconda Rivoluzione Industriale, con l’avvento dell’elettrificazione e della produzione di massa, e la terza, focalizzata sulla comunicazione e sull’informatica, hanno prodotto profonde implicazioni economiche, sociali e politiche. Un’utile chiave di lettura di questo fenomeno sociotecnico è stata fornita da Nikolai Kondratiev con l’introduzione dei cicli K (Kondratiev, 1935). I cicli K, noti anche come onde di Kondratiev, rappresentano un fenomeno economico di grande rilevanza. La teoria, formulata per la prima volta dall’economista russo Nikolai Kondratiev nel 1925, ha subito numerose revisioni e adattamenti, ma la sua essenza rimane invariata: l’economia globale attraversa cicli a lungo termine con fasi di espansione e contrazione di durata variabile tra i cinquanta e i sessanta anni. Ogni ciclo è composto da una fase di espansione (o primavera), una fase di stallo (o estate), una fase di contrazione (o autunno) e una fase di depressione (o inverno), misurabili attraverso indicatori di produzione industriale, occupazione, prezzi delle materie prime e tassi di interesse. Nelle dinamiche economiche e sociali si possono identificare quattro fasi cruciali che non solo modellano il mercato, ma influenzano profondamente anche gli aspetti psicosociali della comunità. La primavera, che dura approssimativamente un quarto di secolo, è un periodo di crescita e di espansione, rappresentando l’unico stadio di autentico benessere sociale. Economicamente, si manifesta un bisogno di maggiore liquidità per sostenere l’incremento della produzione, che a sua volta porta a un aumento dei prezzi e prelude a una fase inflazionistica. Socialmente, si verifica una ristrutturazione del mercato del lavoro e dei ruoli individuali. Segue l’estate, un periodo più breve di circa cinque anni, che segna un’inversione di tendenza verso la recessione. In questa fase, il capitale è prevalentemente canalizzato verso il consumo, con una conseguente diminuzione degli investimenti e del risparmio. Si raggiunge anche il picco inflazionistico, che erode parte dei guadagni della fase primaverile. Sul piano sociale, il benessere accumulato nella fase precedente porta a una diminuzione della produttività. L’autunno, esteso dai sette ai dieci anni, è caratterizzato da una forma di crescita deflazionaria. Sebbene non eguagli il benessere della primavera, si assiste a un rinnovato impulso all’innovazione e a un incremento del consumo, spesso sostenuto da un maggiore indebitamento. Infine, l’inverno si articola in due sottoperiodi: una fase di collasso di circa tre anni e una fase di contrazione che si protrae per un quindicennio. In questa stagione si manifesta una contrazione significativa dell’economia e la società entra in un periodo di austerità. Tuttavia, è anche il momento in cui i cambiamenti incrementali maturati nelle fasi precedenti convergono nella formazione di una nuova struttura sociale, inaugurando un nuovo ciclo. Le principali cause dell’alternanza dei cicli sono identificate, da un lato, nell’innovazione e negli investimenti che la sostengono, e dall’altro, nelle pressioni socioeconomiche che spingono verso nuova innovazione. Ciò evidenzia che le onde K non sono un fenomeno strettamente economico, ma la manifestazione misurabile in termini economici del comportamento, armonico o disarmonico, del sistema socioeconomico nel suo insieme. A partire dagli studi di Kondratiev, Schumpeter (1939), Freeman (1977) e Freeman e Perez (1986) hanno individuato cinque cicli principali. L’avvio del primo ciclo è ricondotto alla prima Rivoluzione Industriale in Inghilterra, intorno al 1771. Il secondo ciclo, l’epoca delle ferrovie, si colloca nella prima metà del XIX secolo e corrisponde alla seconda Rivoluzione Industriale. Le nuove tecnologie e i capitali accumulati durante la prima rivoluzione vengono impiegati per costruire le prime ferrovie, e l’industria pesante dell’acciaio diventa il settore trainante dell’economia. Il terzo ciclo, sviluppatosi nella seconda metà del XIX secolo, prende il nome di “Era dell’elettricità” e si caratterizza per la proliferazione dei collegamenti ferroviari transnazionali e dei trasporti marittimi transcontinentali, che rendono possibile una prima globalizzazione. In questo periodo, Germania e Stati Uniti sfidano l’egemonia economica britannica. Il quarto ciclo, più breve del precedente, è l’“Era del petrolio, dell’automobile e della produzione di massa”, avviata intorno al 1908. Il suo inizio è legato al lancio della Ford T, la prima vettura prodotta in serie mediante la catena di montaggio. Le nuove tecniche di produzione di massa, l’ampia diffusione dell’energia elettrica e l’uso della plastica sconvolsero i modelli di lavoro e di vita, avviando il consumismo di massa. Il quinto ciclo, infine, è definito “Era dell’informatica e delle telecomunicazioni” e ha inizio nel 1971, anno in cui l’Intel lancia sul mercato il microprocessore, aprendo l’epoca delle tecnologie informatiche e delle comunicazioni digitali. Questa onda, oggi nella sua fase invernale, riflette l’accelerazione dei cicli tecnologici, che risultano progressivamente più brevi. Ciascuna delle onde individuate comprende una fase di rivoluzione tecnologica, una fase di maturità – in cui le innovazioni radicali diminuiscono in numero e impatto e l’attenzione si concentra sull’exploitation – e una fase conclusiva di saturazione. Una rivoluzione tecnologica, tuttavia, non è una semplice evoluzione tecnica: rappresenta una metamorfosi fondamentale dell’architettura di una società. Modificando le modalità attraverso le quali una comunità si auto-perpetua e si espande, essa ne trasforma il paradigma (Dosi, 1985). Si tratta di una trasformazione radicale delle interazioni tra individui e gruppi sociali: non solo il risultato dell’avvento di nuove tecnologie, ma un processo in cui l’uso differenziato di tali tecnologie consente ad alcuni gruppi di ottenere una posizione dominante, alterando le dinamiche di potere all’interno della società. Un paradigma tecnologico (Dosi & Nelson, 2014; Dosi, 1982, 1988; Freeman, 1982, 1994) può essere inteso come un insieme coerente di pratiche, design archetipici e conoscenze che forniscono una cornice per la definizione dei problemi e delle soluzioni tecno-economiche. Questo concetto, sviluppato a partire dal lavoro di Thomas Kuhn sulle rivoluzioni scientifiche, funge da guida per le attività di ricerca e sviluppo, fornendo regole formali e informali che orientano gli sforzi di innovazione, influenzano l’organizzazione industriale e la dinamica del mercato. Le traiettorie tecnologiche, d’altra parte, rappresentano i percorsi evolutivi che emergono all’interno di un paradigma tecnologico: esse costituiscono i sentieri lungo i quali si sviluppa l’innovazione tecnologica, orientando la ricerca verso miglioramenti incrementali o radicali (Nelson & Winter, 1977, 1982). Un cambiamento di paradigma tecnologico può dunque aprire nuove opportunità di innovazione. La conoscenza scientifica rappresenta il motore dell’innovazione tecnologica (Mokyr, 2002, 2010). Tuttavia, non si può ignorare la dimensione path-dependent della tecnologia: Paul David (1993, 2004) e Keith Pavitt (1987, 1999) hanno sottolineato che le innovazioni sono spesso il risultato di combinazioni di tecnologie esistenti (Arthur, 2009). A partire da queste premesse, si può ripercorrere brevemente il ruolo storicamente ricoperto dalla tecnologia nel passaggio dall’era analogica a quella digitale.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.


