Il contributo analizza il contributo della committenza privata nelle opere realizzate all’estero dagli architetti italiani nel periodo che va dal Secondo dopoguerra all’inizio del millennio, partendo dal paradigma filaretiano dell’architettura come organismo vivente, generato dalla relazione dialettica e complementare tra committente e architetto. A partire dal Trattato di Architettura (1460-64), tale visione viene storicamente attualizzata nel secondo Novecento, in particolare in ambito internazionale, attraverso l’opera di progettisti italiani chiamati da committenze private estere colte e cosmopolite. L’indagine si concentra sui contesti sudamericano, nordamericano, mediorientale ed europeo, evidenziando come figure quali Gio Ponti, Lina Bo Bardi, Luigi Moretti, Carlo Scarpa ed Ettore Sottsass abbiano saputo reinterpretare criticamente la tradizione architettonica italiana, coniugando composizione, artigianato e innovazione tecnologica. Tali esperienze progettuali dimostrano l’esistenza di un modello alternativo all’International Style, fondato su un’identità mediterranea capace di dialogare con le specificità culturali e climatiche dei luoghi. Il saggio evidenzia inoltre come la qualità della formazione architettonica italiana del dopoguerra abbia prodotto una generazione di professionisti in grado di operare su scala globale, mantenendo una forte consapevolezza storica e disciplinare. Le opere analizzate rappresentano così una possibile traiettoria per rifondare il ruolo dell’architetto nel contesto contemporaneo, ridefinendo le relazioni tra progetto, contesto, tecnica e committenza.
Un moderno mediterraneo di mediazione tra tradizione e sperimentazione / Lanzetta, Alessandro. - (2025), pp. 211-217. - DIAP PRINT.
Un moderno mediterraneo di mediazione tra tradizione e sperimentazione
Alessandro Lanzetta
2025
Abstract
Il contributo analizza il contributo della committenza privata nelle opere realizzate all’estero dagli architetti italiani nel periodo che va dal Secondo dopoguerra all’inizio del millennio, partendo dal paradigma filaretiano dell’architettura come organismo vivente, generato dalla relazione dialettica e complementare tra committente e architetto. A partire dal Trattato di Architettura (1460-64), tale visione viene storicamente attualizzata nel secondo Novecento, in particolare in ambito internazionale, attraverso l’opera di progettisti italiani chiamati da committenze private estere colte e cosmopolite. L’indagine si concentra sui contesti sudamericano, nordamericano, mediorientale ed europeo, evidenziando come figure quali Gio Ponti, Lina Bo Bardi, Luigi Moretti, Carlo Scarpa ed Ettore Sottsass abbiano saputo reinterpretare criticamente la tradizione architettonica italiana, coniugando composizione, artigianato e innovazione tecnologica. Tali esperienze progettuali dimostrano l’esistenza di un modello alternativo all’International Style, fondato su un’identità mediterranea capace di dialogare con le specificità culturali e climatiche dei luoghi. Il saggio evidenzia inoltre come la qualità della formazione architettonica italiana del dopoguerra abbia prodotto una generazione di professionisti in grado di operare su scala globale, mantenendo una forte consapevolezza storica e disciplinare. Le opere analizzate rappresentano così una possibile traiettoria per rifondare il ruolo dell’architetto nel contesto contemporaneo, ridefinendo le relazioni tra progetto, contesto, tecnica e committenza.| File | Dimensione | Formato | |
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