A Farewell to Arms (1929, Addio alle armi) è un classico senza tempo, uno di quei libri che, secondo la nota definizione di Italo Calvino (1981, ed. 2015 p. 1820), «più si crede di conoscerli per sentito dire, tanto più quando si leggono davvero si trovano nuovi, inaspettati, inediti». Lo statuto di classico comporta infatti sovrainterpretazioni e inevitabili fraintendimenti, specie quando la figura ingombrante di un autore come Ernest Hemingway (1899-1961) – troppo spesso associata a una mascolinità bianca, eterosessuale, violenta, privilegiata e misogina – raggiunge l’intangibilità del mito finendo per distorcere o addirittura oscurare i testi delle sue opere. Anche per questo, come scrive Michael Reynolds (1987, p. 261), «avvicinarsi oggi a un romanzo di Hemingway è come restaurare un dipinto rinascimentale coperto da diversi strati di pittura». Solo abbandonando preconcetti derivati da letture forzatamente ideologiche o biografiche – spesso incoraggiate dalle foto di copertina che ritraggono il giovane autore in uniforme militare o convalescente in un ospedale di Milano, nonostante l’ultima scena del romanzo sia ambientata nella primavera del 1918, quando l’autore non era ancora arrivato in Italia – è possibile apprezzare a fondo un’opera che all’epoca fu ritenuta sovversiva e persino scandalosa; un romanzo che, anche grazie a un’architettura testuale meticolosamente organizzata e a una prosa solo in apparenza semplice e immediata, rappresenta una delle vette della letteratura modernista angloamericana.
Ernest Hemingway, "A Farewell to Arms" (1929) / Simonetti, Paolo. - (2025), pp. 265-270.
Ernest Hemingway, "A Farewell to Arms" (1929)
Paolo Simonetti
2025
Abstract
A Farewell to Arms (1929, Addio alle armi) è un classico senza tempo, uno di quei libri che, secondo la nota definizione di Italo Calvino (1981, ed. 2015 p. 1820), «più si crede di conoscerli per sentito dire, tanto più quando si leggono davvero si trovano nuovi, inaspettati, inediti». Lo statuto di classico comporta infatti sovrainterpretazioni e inevitabili fraintendimenti, specie quando la figura ingombrante di un autore come Ernest Hemingway (1899-1961) – troppo spesso associata a una mascolinità bianca, eterosessuale, violenta, privilegiata e misogina – raggiunge l’intangibilità del mito finendo per distorcere o addirittura oscurare i testi delle sue opere. Anche per questo, come scrive Michael Reynolds (1987, p. 261), «avvicinarsi oggi a un romanzo di Hemingway è come restaurare un dipinto rinascimentale coperto da diversi strati di pittura». Solo abbandonando preconcetti derivati da letture forzatamente ideologiche o biografiche – spesso incoraggiate dalle foto di copertina che ritraggono il giovane autore in uniforme militare o convalescente in un ospedale di Milano, nonostante l’ultima scena del romanzo sia ambientata nella primavera del 1918, quando l’autore non era ancora arrivato in Italia – è possibile apprezzare a fondo un’opera che all’epoca fu ritenuta sovversiva e persino scandalosa; un romanzo che, anche grazie a un’architettura testuale meticolosamente organizzata e a una prosa solo in apparenza semplice e immediata, rappresenta una delle vette della letteratura modernista angloamericana.| File | Dimensione | Formato | |
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