Il carcere contiene dentro di sé una contraddizione insanabile e profonda: dovrebbe fondarsi sul diritto, eppure rappresenta la sua sistematica violazione. Ciò nonostante, esso appare come un qualcosa di ben radicato nella mentalità occidentale (Melossi, Pavarini 1977). La società stessa richiede l’esistenza del carcere ma esso, nonostante il complesso mondo che quotidianamente lavora per il suo funzionamento e per il suo miglioramento, era e rimane una macchina escludente ed esclusa, dalla città e dalla stessa società (Paone 2011). Ad oggi sul territorio italiano sono presenti 190 istituti penitenziari, strutture architettoniche che dall’Unità d’Italia ad oggi sono state costruite, riconvertite, destinate alla pena. La mappa che viene generata dal posizionamento degli istituti, scalati in base al loro numero di presenze, rappresenta una delle rare immagini della penisola omogenea nella sua interezza. Si tratta di un importante patrimonio che, intessendo sperimentazioni e protocolli, testimonia la relazione diacronica tra la cultura architettonica italiana e gli spazi della pena (Agati et al. 2018); al tempo stesso, segnala l’ingombrante presenza materiale di una costellazione di volumi opachi ma invisibili, che, seppur spesso rimossi dalle mappe satellitari, dal discorso pubblico e dal dibattito disciplinare, sono ancora contenitori gremiti di corpi e presenze. In questo senso, indaghiamo la categoria del perturbante, l’unheimlich, “tutto ciò che potrebbe restare segreto, nascosto, e che invece è affiorato” (Freud 1919): una categoria estetica radicata in heimlich, “che appartiene alla casa”, familiare, domestico e allo stesso tempo “sottratto ad occhi estranei”, occulto, celato, segreto. La mappatura propone di rendere visibile ciò che è troppo spesso invisibilizzato. ll patrimonio architettonico occulta una miseria pubblica che, nostro malgrado, definisce un’esperienza di haunting e come un fantasma occasionalmente riappare segnalandoci un passato e un presente con cui fare i conti e da cui ripartire (Gordon 1997), cospirando collettivamente per emergere da questa pubblica vergogna.
L’Unità d’Italia. La pubblica miseria del patrimonio detentivo nazionale / Agati, Natalia; Olcuire, Serena. - (2025), pp. 32-38. [10.7413/1234-1234051].
L’Unità d’Italia. La pubblica miseria del patrimonio detentivo nazionale
Natalia Agati;Serena Olcuire
2025
Abstract
Il carcere contiene dentro di sé una contraddizione insanabile e profonda: dovrebbe fondarsi sul diritto, eppure rappresenta la sua sistematica violazione. Ciò nonostante, esso appare come un qualcosa di ben radicato nella mentalità occidentale (Melossi, Pavarini 1977). La società stessa richiede l’esistenza del carcere ma esso, nonostante il complesso mondo che quotidianamente lavora per il suo funzionamento e per il suo miglioramento, era e rimane una macchina escludente ed esclusa, dalla città e dalla stessa società (Paone 2011). Ad oggi sul territorio italiano sono presenti 190 istituti penitenziari, strutture architettoniche che dall’Unità d’Italia ad oggi sono state costruite, riconvertite, destinate alla pena. La mappa che viene generata dal posizionamento degli istituti, scalati in base al loro numero di presenze, rappresenta una delle rare immagini della penisola omogenea nella sua interezza. Si tratta di un importante patrimonio che, intessendo sperimentazioni e protocolli, testimonia la relazione diacronica tra la cultura architettonica italiana e gli spazi della pena (Agati et al. 2018); al tempo stesso, segnala l’ingombrante presenza materiale di una costellazione di volumi opachi ma invisibili, che, seppur spesso rimossi dalle mappe satellitari, dal discorso pubblico e dal dibattito disciplinare, sono ancora contenitori gremiti di corpi e presenze. In questo senso, indaghiamo la categoria del perturbante, l’unheimlich, “tutto ciò che potrebbe restare segreto, nascosto, e che invece è affiorato” (Freud 1919): una categoria estetica radicata in heimlich, “che appartiene alla casa”, familiare, domestico e allo stesso tempo “sottratto ad occhi estranei”, occulto, celato, segreto. La mappatura propone di rendere visibile ciò che è troppo spesso invisibilizzato. ll patrimonio architettonico occulta una miseria pubblica che, nostro malgrado, definisce un’esperienza di haunting e come un fantasma occasionalmente riappare segnalandoci un passato e un presente con cui fare i conti e da cui ripartire (Gordon 1997), cospirando collettivamente per emergere da questa pubblica vergogna.| File | Dimensione | Formato | |
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