Adattare la fenomenologia al ripensamento della natura, dello spazio e del paesaggio significa reimparare a vedere il mondo, assumere cioè un atteggiamento diverso nei confronti dello spazio esterno all’io e ripensare dunque in maniera dinamica e non antropocentrica le categorie cartesiane di soggetto e oggetto, di res cogitans e res extensa. Il mondo è sempre già là, prima della riflessione filosofica, è “presenza inalienabile”: si tratta per l’uomo di cambiare prospettiva e porsi in dialogo diretto con il mondo circostante, un mondo al quale apparteniamo e che ci appartiene, che ci contiene come parte di esso e che straborda oltre i nostri stessi confini. La riflessione filosofica, e in particolare quella fenomenologica, non può dunque prescindere dal presupposto che ogni pensiero non sia mai “sovrastante” la natura, ma che nasca sempre dal suo interno. Non si tratta più di riflettere “sulla” natura – e in generale sullo spazio esterno all’io – ma “dalla” natura, di abbandonare quindi una visione prospettica o à vol d’oiseau per adottarne una immersiva, abissale e carnale, in cui interno ed esterno si compenetrano e si pongono in rapporto di reciproca condivisione e di reciproca creazione di senso; non più verticalità di un soggetto che sorvola il mondo, ma orizzontalità – e dunque com-penetrazione e com-prensione – tra la mia “carne” (“chair”) e la carne del mondo (“la chair du monde”) . La natura è nel discorso di Merleau-Ponty lo sfondo di percezione, l’orizzonte del nostro apparire. Vicino alla Gestalttheorie, il filosofo francese riflette già nella Phénoménologie de la perception sul rapporto tra le “forme”, anticipando i suoi ultimi studi sull’aspetto “invisibile” della natura : noi percepiamo una forma esterna al nostro corpo nel momento in cui vediamo questa forma distaccarsi da uno sfondo. Il nostro sguardo si poggia su un elemento del paesaggio, che in questo modo si anima e si dispiega davanti a me, mentre tutti gli altri elementi passano in secondo piano, non smettono di esistere, ma diventano invisibili al mio sguardo. Lo sfondo, dunque – la natura, il paesaggio –, in quanto continuum dinamico e in perenne evoluzione, è sempre lì, anche quando non ci accorgiamo di esso; è, riprendendo Bergson, uno spazio primordiale e archetipico, antecedente la coscienza, ambiguo nei tentativi di Merleau-Ponty di dargli una definizione concreta e univoca. Esso è però necessario all’uomo per la percezione non solo delle forme del mondo esterno, ma anche del proprio corpo che in quelle si riflette come in uno specchio convesso.
Spazio e corpo nel pensiero di Merleau-Ponty / Padularosa, Daniela Paola. - (2025), pp. 237-242.
Spazio e corpo nel pensiero di Merleau-Ponty
padularosa
2025
Abstract
Adattare la fenomenologia al ripensamento della natura, dello spazio e del paesaggio significa reimparare a vedere il mondo, assumere cioè un atteggiamento diverso nei confronti dello spazio esterno all’io e ripensare dunque in maniera dinamica e non antropocentrica le categorie cartesiane di soggetto e oggetto, di res cogitans e res extensa. Il mondo è sempre già là, prima della riflessione filosofica, è “presenza inalienabile”: si tratta per l’uomo di cambiare prospettiva e porsi in dialogo diretto con il mondo circostante, un mondo al quale apparteniamo e che ci appartiene, che ci contiene come parte di esso e che straborda oltre i nostri stessi confini. La riflessione filosofica, e in particolare quella fenomenologica, non può dunque prescindere dal presupposto che ogni pensiero non sia mai “sovrastante” la natura, ma che nasca sempre dal suo interno. Non si tratta più di riflettere “sulla” natura – e in generale sullo spazio esterno all’io – ma “dalla” natura, di abbandonare quindi una visione prospettica o à vol d’oiseau per adottarne una immersiva, abissale e carnale, in cui interno ed esterno si compenetrano e si pongono in rapporto di reciproca condivisione e di reciproca creazione di senso; non più verticalità di un soggetto che sorvola il mondo, ma orizzontalità – e dunque com-penetrazione e com-prensione – tra la mia “carne” (“chair”) e la carne del mondo (“la chair du monde”) . La natura è nel discorso di Merleau-Ponty lo sfondo di percezione, l’orizzonte del nostro apparire. Vicino alla Gestalttheorie, il filosofo francese riflette già nella Phénoménologie de la perception sul rapporto tra le “forme”, anticipando i suoi ultimi studi sull’aspetto “invisibile” della natura : noi percepiamo una forma esterna al nostro corpo nel momento in cui vediamo questa forma distaccarsi da uno sfondo. Il nostro sguardo si poggia su un elemento del paesaggio, che in questo modo si anima e si dispiega davanti a me, mentre tutti gli altri elementi passano in secondo piano, non smettono di esistere, ma diventano invisibili al mio sguardo. Lo sfondo, dunque – la natura, il paesaggio –, in quanto continuum dinamico e in perenne evoluzione, è sempre lì, anche quando non ci accorgiamo di esso; è, riprendendo Bergson, uno spazio primordiale e archetipico, antecedente la coscienza, ambiguo nei tentativi di Merleau-Ponty di dargli una definizione concreta e univoca. Esso è però necessario all’uomo per la percezione non solo delle forme del mondo esterno, ma anche del proprio corpo che in quelle si riflette come in uno specchio convesso.| File | Dimensione | Formato | |
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