Il contributo analizza in maniera sistematica e approfondita il patrimonio carcerario storico italiano, evidenziandone l’eterogeneità tipologica, l’interesse architettonico e culturale, e il ruolo potenziale che questi complessi possono avere nel contesto contemporaneo. A partire da un censimento nazionale degli istituti penitenziari attivi costruiti entro il 1950 – dunque rientranti nella categoria dei beni culturali secondo la normativa italiana – il testo propone una mappatura e una classificazione architettonica e storica di 85 siti (76 per adulti e 9 per minori), suddivisi tra carceri ricavate da preesistenze storiche e carceri di nuova fondazione. Le prime (33% del totale) si inseriscono frequentemente in contesti religiosi o militari preesistenti – come conventi o fortezze – e richiedono una duplice operazione critica: il riconoscimento del valore architettonico originario e la comprensione dei livelli di trasformazione indotti dall’adattamento penitenziario. Le seconde (61%) costituiscono un corpus omogeneo di edifici realizzati tra la fine dell’Ottocento e la metà del Novecento, periodo in cui si sviluppano e si sovrappongono differenti modelli tipologici: da quello radiale ispirato al panopticon benthamiano, a quello “a palo telegrafico” – il più diffuso – fino agli impianti “a corte” e “a corpi differenziati”. Viene sottolineata la rapida obsolescenza dei modelli rigidi (come quello radiale) a fronte della maggiore flessibilità delle altre tipologie. L'analisi propone una lettura dell’evoluzione delle scelte architettoniche e funzionali in relazione alle teorie penitenziarie dominanti, come il modello irlandese, che introduce la differenziazione spaziale per fasi detentive. I mutamenti costruttivi e distributivi – come il passaggio dalle celle ai “camerotti” – riflettono, infatti, trasformazioni profonde nel concetto stesso di pena e di gestione carceraria. L’autore avanza un forte invito a superare la visione del patrimonio carcerario come mera eredità scomoda o problema tecnico-amministrativo, per riconoscerne invece il valore culturale, storico e urbanistico. L’obiettivo è promuovere una nuova cultura della detenzione in cui l’architettura carceraria venga integrata nella memoria collettiva e considerata come strumento di riflessione critica sulla giustizia, l’inclusione e la cittadinanza. In tal senso, il patrimonio carcerario può essere valorizzato non solo come oggetto di tutela, ma come risorsa per innovare le relazioni tra carcere, città e società
Carceri storiche in uso. Un censimento ragionato / Acierno, Marta; Caperna, Maurizio. - (2025), pp. 122-137.
Carceri storiche in uso. Un censimento ragionato
Marta Acierno
Co-primo
Conceptualization
;Maurizio Caperna
Co-primo
Conceptualization
2025
Abstract
Il contributo analizza in maniera sistematica e approfondita il patrimonio carcerario storico italiano, evidenziandone l’eterogeneità tipologica, l’interesse architettonico e culturale, e il ruolo potenziale che questi complessi possono avere nel contesto contemporaneo. A partire da un censimento nazionale degli istituti penitenziari attivi costruiti entro il 1950 – dunque rientranti nella categoria dei beni culturali secondo la normativa italiana – il testo propone una mappatura e una classificazione architettonica e storica di 85 siti (76 per adulti e 9 per minori), suddivisi tra carceri ricavate da preesistenze storiche e carceri di nuova fondazione. Le prime (33% del totale) si inseriscono frequentemente in contesti religiosi o militari preesistenti – come conventi o fortezze – e richiedono una duplice operazione critica: il riconoscimento del valore architettonico originario e la comprensione dei livelli di trasformazione indotti dall’adattamento penitenziario. Le seconde (61%) costituiscono un corpus omogeneo di edifici realizzati tra la fine dell’Ottocento e la metà del Novecento, periodo in cui si sviluppano e si sovrappongono differenti modelli tipologici: da quello radiale ispirato al panopticon benthamiano, a quello “a palo telegrafico” – il più diffuso – fino agli impianti “a corte” e “a corpi differenziati”. Viene sottolineata la rapida obsolescenza dei modelli rigidi (come quello radiale) a fronte della maggiore flessibilità delle altre tipologie. L'analisi propone una lettura dell’evoluzione delle scelte architettoniche e funzionali in relazione alle teorie penitenziarie dominanti, come il modello irlandese, che introduce la differenziazione spaziale per fasi detentive. I mutamenti costruttivi e distributivi – come il passaggio dalle celle ai “camerotti” – riflettono, infatti, trasformazioni profonde nel concetto stesso di pena e di gestione carceraria. L’autore avanza un forte invito a superare la visione del patrimonio carcerario come mera eredità scomoda o problema tecnico-amministrativo, per riconoscerne invece il valore culturale, storico e urbanistico. L’obiettivo è promuovere una nuova cultura della detenzione in cui l’architettura carceraria venga integrata nella memoria collettiva e considerata come strumento di riflessione critica sulla giustizia, l’inclusione e la cittadinanza. In tal senso, il patrimonio carcerario può essere valorizzato non solo come oggetto di tutela, ma come risorsa per innovare le relazioni tra carcere, città e società| File | Dimensione | Formato | |
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