Com’è noto il processo di modernizzazione ha raggiunto con ritardo il nostro paese, innestandosi su un desiderio accecante di un innalzamento del tenore di vita (che è altro rispetto alla qualità della vita, ma questo lo avremmo capito solo cinquant’anni dopo) e la contrapposizione tra il massimalismo intransigente e le ragioni dello sviluppo non ha giovato. Questo ritardo, che con la consapevolezza del dopo avremmo potuto rovesciare in un vantaggio, si è concretizzato in un’accelerazione senza precedenti che ha riverberato effetti devastanti su tutto il territorio con alcune eccezioni: i paesaggi che già allora venivano considerati di pregio, gli ambienti più o meno isolati nei quali ha prevalso la continuità con le tradizioni, le zone isolate o comunque di scarsa appetibilità dal punto di vista del ritorno economico. Per limitare il ragionamento alla montagna appare chiaro come l’Arco Alpino, sebbene sottoposto a un processo di infrastrutturazione assai invasivo dovuto al turismo, soprattutto invernale, abbia resistito all’aggressione meglio dell’Appennino, la catena montuosa che naturalmente si identifica con l’Italia, ove è facile osservare come le cose siano andate diversamente. Economie meno solide e dunque mancanza di lavoro insieme alle sollecitazioni a mano a mano sempre più energiche da parte della società dei consumi hanno favorito lo spopolamento in massa. Già all’inizio del Novecento si era verificato un primo fenomeno di immigrazione soprattutto al centro-sud, verso Stati Uniti e Canada, poi nel secondo dopoguerra, i grandi poli industriali del nord, Torino e Milano in primis, hanno attratto ulteriore forza lavoro. Al contempo, e questo è un fenomeno più generale c’è stato uno spostamento graduale verso le pianure e le città vicine. Il risultato è che le comunità locali ne sono uscite indebolite e interessate da un invecchiamento della popolazione. Tutto questo ha determinato una situazione ove quelle che oggi definiamo aree interne sono state marginalizzate, mentre le zone maggiormente accessibili i cui caratteri si prestavano a una valorizzazione turistica, sono state investite da uno sfruttamento massiccio, incontrollato ed eterodiretto, che presto ha mostrato i propri limiti.

C'è montagna e montagna / Toppetti, Fabrizio. - (2025), pp. 135-148.

C'è montagna e montagna

Fabrizio Toppetti
2025

Abstract

Com’è noto il processo di modernizzazione ha raggiunto con ritardo il nostro paese, innestandosi su un desiderio accecante di un innalzamento del tenore di vita (che è altro rispetto alla qualità della vita, ma questo lo avremmo capito solo cinquant’anni dopo) e la contrapposizione tra il massimalismo intransigente e le ragioni dello sviluppo non ha giovato. Questo ritardo, che con la consapevolezza del dopo avremmo potuto rovesciare in un vantaggio, si è concretizzato in un’accelerazione senza precedenti che ha riverberato effetti devastanti su tutto il territorio con alcune eccezioni: i paesaggi che già allora venivano considerati di pregio, gli ambienti più o meno isolati nei quali ha prevalso la continuità con le tradizioni, le zone isolate o comunque di scarsa appetibilità dal punto di vista del ritorno economico. Per limitare il ragionamento alla montagna appare chiaro come l’Arco Alpino, sebbene sottoposto a un processo di infrastrutturazione assai invasivo dovuto al turismo, soprattutto invernale, abbia resistito all’aggressione meglio dell’Appennino, la catena montuosa che naturalmente si identifica con l’Italia, ove è facile osservare come le cose siano andate diversamente. Economie meno solide e dunque mancanza di lavoro insieme alle sollecitazioni a mano a mano sempre più energiche da parte della società dei consumi hanno favorito lo spopolamento in massa. Già all’inizio del Novecento si era verificato un primo fenomeno di immigrazione soprattutto al centro-sud, verso Stati Uniti e Canada, poi nel secondo dopoguerra, i grandi poli industriali del nord, Torino e Milano in primis, hanno attratto ulteriore forza lavoro. Al contempo, e questo è un fenomeno più generale c’è stato uno spostamento graduale verso le pianure e le città vicine. Il risultato è che le comunità locali ne sono uscite indebolite e interessate da un invecchiamento della popolazione. Tutto questo ha determinato una situazione ove quelle che oggi definiamo aree interne sono state marginalizzate, mentre le zone maggiormente accessibili i cui caratteri si prestavano a una valorizzazione turistica, sono state investite da uno sfruttamento massiccio, incontrollato ed eterodiretto, che presto ha mostrato i propri limiti.
2025
Montagne a bassa definizione. Gli Appennini tra crisi di identità e cambiamento
9788855226929
montagna minore; abitare; qualità del paesaggio
02 Pubblicazione su volume::02a Capitolo o Articolo
C'è montagna e montagna / Toppetti, Fabrizio. - (2025), pp. 135-148.
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