Questo documento affronta il tema della bassa remunerazione del lavoro nell’industria italiana. È una debolezza di cui l’Italia soffre rispetto alla media europea, potrà essere superata se in futuro saranno attuate politiche di innovazione come quelle indicate dal Rapporto Draghi, ma intanto dovrà essere attenuata in sede di rinnovo dei CCNL. I quasi 6 milioni di lavoratori dipendenti di aziende aderenti a Confindustria entro pochi mesi resteranno per tre quarti senza contratto: il 53% ne ha uno scaduto negli ultimi 12 mesi, il 10% ne ha uno scaduto da oltre due anni, il 13% ha un contratto che scadrà entro la fine di quest’anno. Nel capitolo 1, Riccardo Gallo ha elaborato i più recenti Dati cumulativi dell’Area Studi Mediobanca e ha trovato che nel 2023 il fatturato delle società industriali medie e grandi è stato di un terzo (34%) più alto di quello del 2019, anno prima della pandemia, che il valore aggiunto è risultato superiore di altrettanto (33%), ma con una forte distorsione nella sua distribuzione. Infatti, mentre ammortamenti, oneri finanziari e oneri fiscali hanno mantenuto più o meno inalterato il loro peso, la quota di valore aggiunto che ha remunerato il lavoro è calata di ben 12 punti percentuali tra il 2020 e il 2023, e quella dell’utile netto è aumentata di 14 punti. Dunque, se l’occupazione è salvata, la remunerazione del lavoro dipendente è penalizzata, a tutto vantaggio del capitale di rischio dei soci, i quali oltretutto negli ultimi quattro anni hanno reinvestito nelle loro società solo il 20% degli utili netti e se ne sono invece distribuiti l’80% in dividendi, sottraendoli all’ammodernamento delle fabbriche. Questa sorta di disaffezione imprenditoriale nasce da tante cose, innanzitutto dalla bassa competitività del nostro paese, ma non ha intaccato l’ottima salute patrimoniale e finanziaria delle società industriali né l’eccellente efficienza delle gestioni aziendali. Nel capitolo 2, Giuseppe Croce ricostruisce le variazioni recenti della quota del reddito da lavoro e delle variabili sottostanti nel settore industriale, sulla base degli ultimi dati Eurostat. Dopo un primo arretramento nel 2020, tale quota mostra una contrazione superiore al 4% del suo valore nel 2021 e poi di nuovo nel 2022. In questi due anni, quindi, la distribuzione primaria del reddito ha subito un brusco peggioramento dal punto di vista del fattore lavoro. Infine, nel 2023 torna a crescere ma di appena mezzo punto. Questa dinamica è spiegata in gran parte dal fatto che le retribuzioni orarie del settore sono cresciute in termini nominali troppo poco. Il mancato adeguamento delle retribuzioni è da attribuire in primis alle difficoltà ben note della contrattazione collettiva. Ma è lecito ritenere che abbiano pesato anche altri fattori che limitano la mobilità del lavoro, tra cui i costi eccessivi degli affitti, le carenze delle politiche di welfare e delle politiche attive del lavoro, il mismatch di competenze e la propensione delle imprese a difendere la competitività mediante compressione del costo del lavoro. La bassa produttività del lavoro è spesso considerata la causa principale della scarsa crescita della nostra economia. Tuttavia, spiega Mauro Gatti nel capitolo 3, poca attenzione viene prestata all’innovazione organizzativa, fatta di nuove modalità di organizzare il lavoro e di sviluppare le risorse umane (high performance work practices), idonee ad accrescere la produttività del lavoro. Le imprese del nostro Paese possono e devono fare di più su questo fronte, lavorando su una people strategy che consenta di valorizzare al più alto livello la qualità delle competenze e del capitale umano di cui le imprese stesse già dispongono. Esiste un doppio fil rouge che lega tre ambiti problematici e tre categorie di attori, spiega Stefano Bellomo nel capitolo 4. Il primo connette tre questioni la cui triangolazione racchiude la gran parte delle criticità e dei fattori di arretratezza del sistema e del mercato del lavoro in Italia: 1) è necessario rivisitare le strutture salariali auspicabilmente sul versante della partecipazione economica dei lavoratori; 2) non è più rinviabile un intervento ordinatore in materia di rappresentatività sindacale e contrattazione collettiva; 3) è indispensabile riconvertire e (ri)attivare un sistema efficiente e organico di politiche attive del lavoro. La chiamata di responsabilità rispetto a queste tre sfide è rivolta e condivisa tra gli attori istituzionali, in particolare il legislatore e le parti sociali su entrambi i versanti, quello delle imprese e quello delle organizzazioni sindacali dei lavoratori, ed esprime il più ampio insieme di variabili potenzialmente incidenti in termini risolutivi sulle permanenti criticità del costo del lavoro e al contempo sui bassi livelli di remunerazione nel sistema economico italiano. Studi recenti dimostrano chiaramente come la trasformazione digitale e l'adozione di nuove tecnologie come l'intelligenza artificiale e la hyperautomation rappresentano fattori chiave per la competitività e la crescita economica sia a livello italiano che europeo. Giulio Di Gravio nel capitolo 5 spiega che le istituzioni politiche e industriali sono chiamate a sviluppare strategie mirate a supportare questi cambiamenti, promuovendo l'innovazione e garantendo che i benefici delle tecnologie avanzate siano accessibili a tutti i settori della società. L’adozione dello smart working rappresenta un esempio concreto di come la digitalizzazione può trasformare positivamente il mercato del lavoro, offrendo nuove opportunità e sfide che richiedano un approccio flessibile e proattivo da parte di aziende e lavoratori. Tuttavia, è fondamentale considerare i rischi connessi a questa trasformazione, come le potenziali disuguaglianze nell’accesso alle tecnologie, la necessità di creare nuove competenze per i lavoratori e le sfide legate alla sicurezza dei dati e delle informazioni. Lo scenario è promettente e l’Italia non può permettersi di mancare questa opportunità.

Dinamica dei redditi, recenti squilibri nell'industria italiana / Bellomo, Stefano; Croce, Giuseppe; DI GRAVIO, Giulio; Gallo, Riccardo; Gatti, Mauro. - (2024).

Dinamica dei redditi, recenti squilibri nell'industria italiana

stefano bellomo;giuseppe croce;giulio di gravio;riccardo gallo;mauro gatti
2024

Abstract

Questo documento affronta il tema della bassa remunerazione del lavoro nell’industria italiana. È una debolezza di cui l’Italia soffre rispetto alla media europea, potrà essere superata se in futuro saranno attuate politiche di innovazione come quelle indicate dal Rapporto Draghi, ma intanto dovrà essere attenuata in sede di rinnovo dei CCNL. I quasi 6 milioni di lavoratori dipendenti di aziende aderenti a Confindustria entro pochi mesi resteranno per tre quarti senza contratto: il 53% ne ha uno scaduto negli ultimi 12 mesi, il 10% ne ha uno scaduto da oltre due anni, il 13% ha un contratto che scadrà entro la fine di quest’anno. Nel capitolo 1, Riccardo Gallo ha elaborato i più recenti Dati cumulativi dell’Area Studi Mediobanca e ha trovato che nel 2023 il fatturato delle società industriali medie e grandi è stato di un terzo (34%) più alto di quello del 2019, anno prima della pandemia, che il valore aggiunto è risultato superiore di altrettanto (33%), ma con una forte distorsione nella sua distribuzione. Infatti, mentre ammortamenti, oneri finanziari e oneri fiscali hanno mantenuto più o meno inalterato il loro peso, la quota di valore aggiunto che ha remunerato il lavoro è calata di ben 12 punti percentuali tra il 2020 e il 2023, e quella dell’utile netto è aumentata di 14 punti. Dunque, se l’occupazione è salvata, la remunerazione del lavoro dipendente è penalizzata, a tutto vantaggio del capitale di rischio dei soci, i quali oltretutto negli ultimi quattro anni hanno reinvestito nelle loro società solo il 20% degli utili netti e se ne sono invece distribuiti l’80% in dividendi, sottraendoli all’ammodernamento delle fabbriche. Questa sorta di disaffezione imprenditoriale nasce da tante cose, innanzitutto dalla bassa competitività del nostro paese, ma non ha intaccato l’ottima salute patrimoniale e finanziaria delle società industriali né l’eccellente efficienza delle gestioni aziendali. Nel capitolo 2, Giuseppe Croce ricostruisce le variazioni recenti della quota del reddito da lavoro e delle variabili sottostanti nel settore industriale, sulla base degli ultimi dati Eurostat. Dopo un primo arretramento nel 2020, tale quota mostra una contrazione superiore al 4% del suo valore nel 2021 e poi di nuovo nel 2022. In questi due anni, quindi, la distribuzione primaria del reddito ha subito un brusco peggioramento dal punto di vista del fattore lavoro. Infine, nel 2023 torna a crescere ma di appena mezzo punto. Questa dinamica è spiegata in gran parte dal fatto che le retribuzioni orarie del settore sono cresciute in termini nominali troppo poco. Il mancato adeguamento delle retribuzioni è da attribuire in primis alle difficoltà ben note della contrattazione collettiva. Ma è lecito ritenere che abbiano pesato anche altri fattori che limitano la mobilità del lavoro, tra cui i costi eccessivi degli affitti, le carenze delle politiche di welfare e delle politiche attive del lavoro, il mismatch di competenze e la propensione delle imprese a difendere la competitività mediante compressione del costo del lavoro. La bassa produttività del lavoro è spesso considerata la causa principale della scarsa crescita della nostra economia. Tuttavia, spiega Mauro Gatti nel capitolo 3, poca attenzione viene prestata all’innovazione organizzativa, fatta di nuove modalità di organizzare il lavoro e di sviluppare le risorse umane (high performance work practices), idonee ad accrescere la produttività del lavoro. Le imprese del nostro Paese possono e devono fare di più su questo fronte, lavorando su una people strategy che consenta di valorizzare al più alto livello la qualità delle competenze e del capitale umano di cui le imprese stesse già dispongono. Esiste un doppio fil rouge che lega tre ambiti problematici e tre categorie di attori, spiega Stefano Bellomo nel capitolo 4. Il primo connette tre questioni la cui triangolazione racchiude la gran parte delle criticità e dei fattori di arretratezza del sistema e del mercato del lavoro in Italia: 1) è necessario rivisitare le strutture salariali auspicabilmente sul versante della partecipazione economica dei lavoratori; 2) non è più rinviabile un intervento ordinatore in materia di rappresentatività sindacale e contrattazione collettiva; 3) è indispensabile riconvertire e (ri)attivare un sistema efficiente e organico di politiche attive del lavoro. La chiamata di responsabilità rispetto a queste tre sfide è rivolta e condivisa tra gli attori istituzionali, in particolare il legislatore e le parti sociali su entrambi i versanti, quello delle imprese e quello delle organizzazioni sindacali dei lavoratori, ed esprime il più ampio insieme di variabili potenzialmente incidenti in termini risolutivi sulle permanenti criticità del costo del lavoro e al contempo sui bassi livelli di remunerazione nel sistema economico italiano. Studi recenti dimostrano chiaramente come la trasformazione digitale e l'adozione di nuove tecnologie come l'intelligenza artificiale e la hyperautomation rappresentano fattori chiave per la competitività e la crescita economica sia a livello italiano che europeo. Giulio Di Gravio nel capitolo 5 spiega che le istituzioni politiche e industriali sono chiamate a sviluppare strategie mirate a supportare questi cambiamenti, promuovendo l'innovazione e garantendo che i benefici delle tecnologie avanzate siano accessibili a tutti i settori della società. L’adozione dello smart working rappresenta un esempio concreto di come la digitalizzazione può trasformare positivamente il mercato del lavoro, offrendo nuove opportunità e sfide che richiedano un approccio flessibile e proattivo da parte di aziende e lavoratori. Tuttavia, è fondamentale considerare i rischi connessi a questa trasformazione, come le potenziali disuguaglianze nell’accesso alle tecnologie, la necessità di creare nuove competenze per i lavoratori e le sfide legate alla sicurezza dei dati e delle informazioni. Lo scenario è promettente e l’Italia non può permettersi di mancare questa opportunità.
2024
distribuzione dei redditi; settore industriale; contrattazione collettiva; innovazione; produttività
03 Monografia::03a Saggio, Trattato Scientifico
Dinamica dei redditi, recenti squilibri nell'industria italiana / Bellomo, Stefano; Croce, Giuseppe; DI GRAVIO, Giulio; Gallo, Riccardo; Gatti, Mauro. - (2024).
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