Alla fine degli anni Ottanta del Novecento, Brian Pfaffenberger (1988) notava, in un influente saggio, che gli antropologi avevano fino ad allora mostrato uno scarso interesse per la tecnologia e la cultura materiale, un disinteresse che si rifletteva anche nella mancanza di una definizione accurata di che cosa è la tecnologia (vedi anche Ingold 2001). Eppure, molti importanti antropologi attivi già agli inizi del Novecento – come, per esempio, Balfour, Marett e Haddon – l’avevano messa al centro dei loro interessi etnografici. Per quale ragione questo interesse non è stato portato avanti in maniera sistematica dalle generazioni successive? Secondo Pfaffenberger, a partire da Malinowski, l’attenzione degli antropologi si è gradualmente spostata sugli aspetti, per così dire, “meno materiali” della cultura come, per esempio, il linguaggio, l’arte, le cerimonie, e l’organizzazione sociale. Voci autorevoli, come quelle di Kroeber e Kluckhohn – che, forse non a caso, come sottolinea Pfaffenberger (1992), seguirono il solco segnato da Malinowski – avevano scoraggiato lo studio delle tecniche, degli artefatti o di altri aspetti tecnologici e materiali delle società in quanto ritenevano che fossero ambiti di studi catalogativi di interesse, al più, museale. Mettendo al centro il concetto di cultura, insomma, tutto il resto o, meglio, tutto ciò che era considerato “materiale”, appariva come un ambito di riflessione arido e noioso. Qualche anno dopo, agli inizi degli anni Novanta, lo stesso Pfaffenberger provava a ravvivare questo campo di studi in quella che è la prima, e al momento anche l’unica, rassegna sull’antropologia della tecnologia pubblicata dall’Annual Anthropology Review (1992). A distanza di qualche decennio dalla pubblicazione di questo lavoro, non si può però certo dire che l’invito di Pfaffenberger a occuparsi di antropologia della tecnologia sia rimasto del tutto inascoltato. Al contrario, si potrebbe dire che negli ultimi anni ci sia stata una crescita significativa e variegata di studi antropologici focalizzati su questioni tecnologiche (e materiali) ispirati a vari paradigmi teorici: la actor-network theory (es. Latour 2005); gli studi di genere applicati all’ambito delle tecnologie (es. Bray 2007); l’antropologia delle tecniche ispirata al lavoro di Marcel Mauss (es. Warnier 2009), e così via. Nella scia di questo crescente interesse, questo numero speciale mira, da un lato, ad offrire una panoramica sui principali autori e sulle correnti di pensiero dell’antropologia della tecnologia e, dall’altro, a stimolare una riflessione su un tema che, per molti aspetti, è stato meno esplorato e tematizzato di altri nell’accademia italiana. In tal senso, esso accoglie sia proposte che esaminano i lavori di studiosi che hanno elaborato specifiche proposte sul tema centrale della tecnica e della tecnologia sia proposte che offrono panoramiche complessive su particolari “scuole”, inclusa quella italiana – che pure ha conosciuto una fase, a fine Novecento, di interesse specifico sul tema. Una sezione del numero è invece riservata a contributi etnografici originali di studiosi che si sono cimentati nell’analisi antropologica di questioni tecnologiche o tecniche nei loro campi di ricerca. L’obiettivo del numero è offrire una panoramica critica e ragionata sugli approcci più recenti – senza tralasciare quelli passati – che possa diventare una guida concettuale di riferimento per studiosi di lingua italiana, e non solo, interessati alla tecnologia e alla tecnica così come alle questioni annesse delle tecniche, della materialità e dell’ambiente.
Antropologia della tecnica e della tecnologia / D'Angelo, Lorenzo. - In: RIVISTA DI ANTROPOLOGIA CONTEMPORANEA. - ISSN 2724-3168. - (2024), pp. 181-407.
Antropologia della tecnica e della tecnologia
Lorenzo D'Angelo
Primo
Conceptualization
2024
Abstract
Alla fine degli anni Ottanta del Novecento, Brian Pfaffenberger (1988) notava, in un influente saggio, che gli antropologi avevano fino ad allora mostrato uno scarso interesse per la tecnologia e la cultura materiale, un disinteresse che si rifletteva anche nella mancanza di una definizione accurata di che cosa è la tecnologia (vedi anche Ingold 2001). Eppure, molti importanti antropologi attivi già agli inizi del Novecento – come, per esempio, Balfour, Marett e Haddon – l’avevano messa al centro dei loro interessi etnografici. Per quale ragione questo interesse non è stato portato avanti in maniera sistematica dalle generazioni successive? Secondo Pfaffenberger, a partire da Malinowski, l’attenzione degli antropologi si è gradualmente spostata sugli aspetti, per così dire, “meno materiali” della cultura come, per esempio, il linguaggio, l’arte, le cerimonie, e l’organizzazione sociale. Voci autorevoli, come quelle di Kroeber e Kluckhohn – che, forse non a caso, come sottolinea Pfaffenberger (1992), seguirono il solco segnato da Malinowski – avevano scoraggiato lo studio delle tecniche, degli artefatti o di altri aspetti tecnologici e materiali delle società in quanto ritenevano che fossero ambiti di studi catalogativi di interesse, al più, museale. Mettendo al centro il concetto di cultura, insomma, tutto il resto o, meglio, tutto ciò che era considerato “materiale”, appariva come un ambito di riflessione arido e noioso. Qualche anno dopo, agli inizi degli anni Novanta, lo stesso Pfaffenberger provava a ravvivare questo campo di studi in quella che è la prima, e al momento anche l’unica, rassegna sull’antropologia della tecnologia pubblicata dall’Annual Anthropology Review (1992). A distanza di qualche decennio dalla pubblicazione di questo lavoro, non si può però certo dire che l’invito di Pfaffenberger a occuparsi di antropologia della tecnologia sia rimasto del tutto inascoltato. Al contrario, si potrebbe dire che negli ultimi anni ci sia stata una crescita significativa e variegata di studi antropologici focalizzati su questioni tecnologiche (e materiali) ispirati a vari paradigmi teorici: la actor-network theory (es. Latour 2005); gli studi di genere applicati all’ambito delle tecnologie (es. Bray 2007); l’antropologia delle tecniche ispirata al lavoro di Marcel Mauss (es. Warnier 2009), e così via. Nella scia di questo crescente interesse, questo numero speciale mira, da un lato, ad offrire una panoramica sui principali autori e sulle correnti di pensiero dell’antropologia della tecnologia e, dall’altro, a stimolare una riflessione su un tema che, per molti aspetti, è stato meno esplorato e tematizzato di altri nell’accademia italiana. In tal senso, esso accoglie sia proposte che esaminano i lavori di studiosi che hanno elaborato specifiche proposte sul tema centrale della tecnica e della tecnologia sia proposte che offrono panoramiche complessive su particolari “scuole”, inclusa quella italiana – che pure ha conosciuto una fase, a fine Novecento, di interesse specifico sul tema. Una sezione del numero è invece riservata a contributi etnografici originali di studiosi che si sono cimentati nell’analisi antropologica di questioni tecnologiche o tecniche nei loro campi di ricerca. L’obiettivo del numero è offrire una panoramica critica e ragionata sugli approcci più recenti – senza tralasciare quelli passati – che possa diventare una guida concettuale di riferimento per studiosi di lingua italiana, e non solo, interessati alla tecnologia e alla tecnica così come alle questioni annesse delle tecniche, della materialità e dell’ambiente.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.