Il saggio prende in esame le allusioni alle Muse leggibili controluce nella poesia di Zanzotto a partire un’enigmatica serie di componimenti dedicati, nel cuore di Sovraimpressioni (2001), a un tema iconografico tanto squisito quanto conturbante, quello di Cimone allattato in carcere dalla figlia Pero. Rubricati come parte di una serie più ampia (da Le carità romane), i componimenti in questione presentano una peculiarità: sono gli unici, nella raccolta e nella produzione zanzottiana nel suo complesso, a inglobare una prosa esplicativa direttamente nel corpo del testo, in coda alla terza e ultima poesia del trittico. In tale modo il poeta richiama l’attenzione sull’immagine evocata nei versi, filtrata dalla memoria di grandi pittori del Barocco europeo, dal Caravaggio delle Sette opere di misericordia a Rubens, passando per Poussin. A rendere esplicita un’inquietante interpretazione “allegorica” di tale immagine, è la nota in questione che evoca i «passi celeberrimi» in cui Dante definisce l’Eneide come «mamma» e «nutrice» di Stazio e Omero come il greco «che le Muse allattaron più ch’altri mai». A tale chiave, al contempo esplicita e ambigua, si aggiunge un ulteriore citazione a un verso attribuito all’Ariosto che lascia trasparire un ulteriore tema iconografico, quello di Angelica e l’Eremita, a sua volta vicino a quello di Susanna e i vecchioni. La commistione tra le iconografie arrichiesce, dunque, l’immagine “sacra” con suggestioni erotiche riconducibili al topos primo-novecentesco dell’amore di un vecchio per una giovinetta che si snoda da Svevo a Nabakov. Per analizzare le implicazioni di un’iconografia che denuncia la decrepita debolezza del poeta e l’inesauribile e velenosa ubertà della tradizione (vd A. Cortellessa, Il canto della terra, Roma-Laterza, 2021, pp. 292-3), si procederà, in sede preliminare, a una ricognizione tra le Note aggiunte da Zanzotto a buona parte delle sue raccolte da La Beltà (1968) in poi (esclusa, però, Sovraimpressioni stessa), per prendere le misure del dialogo allusivo, dotto ed ironico, volutamente fuori fuoco e ispido, svolto in sede paratestuale dal poeta. In quella piccola selva di testi che parodizzano il discorso critico e, al contempo, lasciano trasparire ambigui suggerimenti ermeneutici, infatti, è possibile leggere una serie di allusioni del topos vetusto, e all’apparenza inservibile, dell’incontro con le Muse. Una volta inquadrata la scelta del tema iconografico della Carità romana nell’ambito di una sorta di Umanesimo inquieto (elemento fondamentale per una «arcadia horror»), si procederà all’analisi delle raffinate, stratificate e molteplici tessere dantesche che caratterizzano la riscrittura zanzottiana del mito delle Muse, sia nei paratesti sia nei componimenti poetici, non senza un parallelo raffronto con l’ombra di Petrarca, assente, a differenza dell’Alighieri, tra gli autori menzionati esplicitamente in sede di autocommento ma spesso implicato nella riflessione dedicata alla poesia. A tale scopo si allargherà lo sguardo al corpus di saggi, interventi e interviste di Zanzotto, con una particolare attenzione a Petrarca tra la cameretta e il palazzo (1976).

Le Muse di Zanzotto. Carità romane e dintorni / Geri, Lorenzo. - (2024), pp. 35-55. - QUADERNI DELLA RASSEGNA.

Le Muse di Zanzotto. Carità romane e dintorni

GERI, Lorenzo
2024

Abstract

Il saggio prende in esame le allusioni alle Muse leggibili controluce nella poesia di Zanzotto a partire un’enigmatica serie di componimenti dedicati, nel cuore di Sovraimpressioni (2001), a un tema iconografico tanto squisito quanto conturbante, quello di Cimone allattato in carcere dalla figlia Pero. Rubricati come parte di una serie più ampia (da Le carità romane), i componimenti in questione presentano una peculiarità: sono gli unici, nella raccolta e nella produzione zanzottiana nel suo complesso, a inglobare una prosa esplicativa direttamente nel corpo del testo, in coda alla terza e ultima poesia del trittico. In tale modo il poeta richiama l’attenzione sull’immagine evocata nei versi, filtrata dalla memoria di grandi pittori del Barocco europeo, dal Caravaggio delle Sette opere di misericordia a Rubens, passando per Poussin. A rendere esplicita un’inquietante interpretazione “allegorica” di tale immagine, è la nota in questione che evoca i «passi celeberrimi» in cui Dante definisce l’Eneide come «mamma» e «nutrice» di Stazio e Omero come il greco «che le Muse allattaron più ch’altri mai». A tale chiave, al contempo esplicita e ambigua, si aggiunge un ulteriore citazione a un verso attribuito all’Ariosto che lascia trasparire un ulteriore tema iconografico, quello di Angelica e l’Eremita, a sua volta vicino a quello di Susanna e i vecchioni. La commistione tra le iconografie arrichiesce, dunque, l’immagine “sacra” con suggestioni erotiche riconducibili al topos primo-novecentesco dell’amore di un vecchio per una giovinetta che si snoda da Svevo a Nabakov. Per analizzare le implicazioni di un’iconografia che denuncia la decrepita debolezza del poeta e l’inesauribile e velenosa ubertà della tradizione (vd A. Cortellessa, Il canto della terra, Roma-Laterza, 2021, pp. 292-3), si procederà, in sede preliminare, a una ricognizione tra le Note aggiunte da Zanzotto a buona parte delle sue raccolte da La Beltà (1968) in poi (esclusa, però, Sovraimpressioni stessa), per prendere le misure del dialogo allusivo, dotto ed ironico, volutamente fuori fuoco e ispido, svolto in sede paratestuale dal poeta. In quella piccola selva di testi che parodizzano il discorso critico e, al contempo, lasciano trasparire ambigui suggerimenti ermeneutici, infatti, è possibile leggere una serie di allusioni del topos vetusto, e all’apparenza inservibile, dell’incontro con le Muse. Una volta inquadrata la scelta del tema iconografico della Carità romana nell’ambito di una sorta di Umanesimo inquieto (elemento fondamentale per una «arcadia horror»), si procederà all’analisi delle raffinate, stratificate e molteplici tessere dantesche che caratterizzano la riscrittura zanzottiana del mito delle Muse, sia nei paratesti sia nei componimenti poetici, non senza un parallelo raffronto con l’ombra di Petrarca, assente, a differenza dell’Alighieri, tra gli autori menzionati esplicitamente in sede di autocommento ma spesso implicato nella riflessione dedicata alla poesia. A tale scopo si allargherà lo sguardo al corpus di saggi, interventi e interviste di Zanzotto, con una particolare attenzione a Petrarca tra la cameretta e il palazzo (1976).
2024
«Un’Arcadia horror». Roma per Andrea Zanzotto
9791254960714
Andrea Zanzotto; Dante Alighieri; Elio Pagliarani; Guido Gurliemi; Eugenio Montale; Maria Corti
02 Pubblicazione su volume::02a Capitolo o Articolo
Le Muse di Zanzotto. Carità romane e dintorni / Geri, Lorenzo. - (2024), pp. 35-55. - QUADERNI DELLA RASSEGNA.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/1735129
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