Il titolo del volume vuole richiamare sinteticamente la tendenza a “ridurre alla moderna” il lascito architettonico della chiesa delle origini, qui intesa in un ampio arco cronologico che va dalle fondazioni costantiniane di Roma, a quelle alto-medievali del mondo germanico, fino alle cattedrali del pieno medioevo diffuse in tutte Europa, portatrici di un ruolo simbolico capace di aggregare vaste comunità di fedeli. La modernità a cui allude il titolo è quella derivata dal sistema classico messo a punto nell’arco del XVI secolo, pur fra infiniti dibattiti e variazioni, e comunque sancito dal movimento nato dal Concilio di Trento e dalla lingua ufficiale della Chiesa di Roma tra XVII e XVIII secolo. Questo aggiornamento non è solo formale o tipologico, poiché è sostanziato dalle novità liturgiche apportate dal concilio e sostanziate dall’opera di Carlo Borromeo e dei suoi seguaci attivi in tutta Europa. Ma, come già accennato, il fenomeno non è circoscrivibile in ambiti geografici e in parte neppure entro singole confessioni cristiane; da qui il tentativo di aprirsi a una prospettiva europea per poter valutare diversità e analogie di comportamenti di fronte ad un edificio antico – o ritenuto tale – evidenziando continuità e rotture in tutto il continente. Tensioni e ambivalenze non ricomponibili in un quadro unitario, sono già evidenti nel saggio di Irene Giustina sui lavori promossi dal cardinale Federico Borromeo nella Milano del primo Seicento. Le valutazioni positive verso le antiche chiese si accompagnano infatti a ricostruzioni improntate ora a istanze di magnificenza (le nuove facciate), ora di funzionalità liturgica (le absidi), usando il moderno linguaggio elaborato a Roma ma sempre affrontando per parti l’organismo architettonico; mentre un monumento dell’importanza di Sant’Ambrogio, dà luogo a un diverso atteggiamento, per il quale Borromeo volle unire conservazione a ricostruzione. A Roma, come evidenziato da Augusto Roca De Amicis, è soprattutto il cardinale Cesare Baronio che precisa modalità d’intervento seguite per quasi due secoli. Esito di una mentalità storico-simbolica, l’istanza di non alterare gli impianti e quella di conservare la materia delle antiche chiese trovano variabili punti di equilibrio. Tali istanze, dopo il trauma della distruzione della parte costantiniana della basilica di San Pietro sotto Paolo V, troveranno in San Giovanni in Laterano il terreno per nuove sperimentazioni, giungendo alla matura formulazione di Borromini; e in San Clemente, già nel primo Settecento, un esito in cui antico e nuovo si confrontano liberamente e senza prevaricazioni. Anche nell’area napoletana, soprattutto nel diciassettesimo secolo, il rinnovamento avviene in ossequio alla precettistica tridentina, in stretto rapporto con il dibattito in ambito erudito e antiquario. Valentina Russo pone in luce le diverse modalità di intervento, tra relativa indifferenza e tentativi di accordo linguistico con il passato. In quest’ultimo ambito rientrano alcuni interventi di Cosimo Fanzago e di Arcangelo Guglielmelli, prima fra tutti la trasformazione dell’antica Santa Restituta, a cui fanno da sfondo le polemiche sorte negli ambienti ecclesiastici. Nella Sicilia delle maggiori cattedrali, indagate da Marco Rosario Nobile, gli interventi mostrano forti specificità, conformemente a criteri valutativi non corrispondenti a quelli in uso in altre realtà. Soprattutto i monumenti funebri, gli altari, gli apparati effimeri sono il luogo dove il potere civico, quello regio, quello vescovile si confrontano con alterni equilibri, divenendo spesso il centro motore di interventi più ampi e sovente, come a Palermo, contrastati. La Francia rivela, come dimostra Jörg Garms, caratteristiche specifiche nella tarda ricezione delle disposizioni tridentine e nella continuità del sistema costruttivo gotico. Solo nel Settecento si può parlare di cambiamenti nell’interno delle chiese, come nella sistemazione del coro di Notre-Dame a Parigi successiva al voto di Luigi XIII. L’attenzione è comunque rivolta agli arredi liturgici – pulpiti, altari “alla romana”, cancellate – mentre sono assenti le innovazioni sul piano spaziale. Un ruolo di spicco è assunto dal baldacchino, forse per la sua leggerezza e l’assonanza con il gotico. Meinrad von Engelberg offre un quadro degli interventi in terra tedesca caratterizzati, soprattutto dopo la pace di Westfalia, da due valutazioni, più complementari che antitetiche, delle chiese medievali: testimonianze di una nazione germanica legata all’Impero per i luterani, che mostrano una propensione più conservativa; esempi dell’antichità della Chiesa tedesca per i cattolici, con maggiori istanze di rinnovamento. L’area danubiana, trattata da Ulrich Furst, è un’altra zona di confine caratterizzata dalla presenza di antiche abbazie e basiliche e da plurali modalità di intervento, passando dal rivestimento “all’italiana” delle antiche strutture con forme moderne, come a Mariazell o a Passau, alla punteggiatura di altari e arredi sacri in strutture come l’abbazia di Kaisheim. secondo modi franco-germanici, o ancora seguendo un principio di conformità con il gotico, come a Regensburg o a Zwettl. Anche nella cattolica Boemia, indagata da Pavel Kalina, il valore dell’antichità diviene un punto di partenza, ma sono soprattutto le immagini sacre e le reliquie, con forti risonanze simboliche, a innescare dei rinnovamenti dove il barocco e le libere reminescenze del gotico formano i variati involucri di tali testimonianze. L’innesto di forme barocche in Spagna, come pone in luce Javier Rivera Blanco, si verifica soprattutto nel completamento delle grandi cattedrali, come Valencia, nella quale si riscontra un intervento nell’interno assimilabile alle esperienze italiane. Si sviluppa per tempo una tendenza a privilegiare la coerenza del linguaggio originario, e non solo per ragioni di mera praticità. Alla fine del Settecento, Ventura Rodriguez offrirà soluzioni tecniche capaci di conseguire un notevole rispetto della preesistenza. A conclusione delle premesse iniziali, Claudio Varagnoli sintetizza il corpus delle trasformazioni basilicali nell’arco del Settecento romano. Sotto la spinta dell’antiquaria cristiana e della lezione di Muratori, il modello seicentesco da un lato si alleggerisce per aderire meglio all’edificio da restaurare, dall’altro aumenta il proprio carattere inclusivo. Questa ricerca, che si svolge tra i pontificati di Clemente XI e quello di Benedetto XIV, trova il suo apice nell’intervento in S. Croce in Gerusalemme, ai limiti della coerenza dell’organismo classico, nello sforzo di innovare conservando. Il saggio di Alessandra Marino, infine, legge il tema del convegno in absentia cioè partendo dalle numerose rimozioni che hanno cancellato molti aggiornamenti barocchi in Toscana. Ciò è accaduto per il carattere eminentemente sovrastrutturale dei rifacimenti sei-settecenteschi, che si affidano a volte in canne, stucchi, affreschi, ma soprattutto per una malintesa prassi del restauro, volta a riscoprire paramenti lapidei e partiti architettonici presunti medievali, a spese della verità storica dell’edificio.
Alla moderna. Antiche chiese e rifacimenti barocchi: una prospettiva europea/Old Churches and Baroque Renovations: a European Perspective / De Amicis, Augusto Roca; Varagnoli, Claudio. - (2015).
Alla moderna. Antiche chiese e rifacimenti barocchi: una prospettiva europea/Old Churches and Baroque Renovations: a European Perspective
VARAGNOLI, Claudio
2015
Abstract
Il titolo del volume vuole richiamare sinteticamente la tendenza a “ridurre alla moderna” il lascito architettonico della chiesa delle origini, qui intesa in un ampio arco cronologico che va dalle fondazioni costantiniane di Roma, a quelle alto-medievali del mondo germanico, fino alle cattedrali del pieno medioevo diffuse in tutte Europa, portatrici di un ruolo simbolico capace di aggregare vaste comunità di fedeli. La modernità a cui allude il titolo è quella derivata dal sistema classico messo a punto nell’arco del XVI secolo, pur fra infiniti dibattiti e variazioni, e comunque sancito dal movimento nato dal Concilio di Trento e dalla lingua ufficiale della Chiesa di Roma tra XVII e XVIII secolo. Questo aggiornamento non è solo formale o tipologico, poiché è sostanziato dalle novità liturgiche apportate dal concilio e sostanziate dall’opera di Carlo Borromeo e dei suoi seguaci attivi in tutta Europa. Ma, come già accennato, il fenomeno non è circoscrivibile in ambiti geografici e in parte neppure entro singole confessioni cristiane; da qui il tentativo di aprirsi a una prospettiva europea per poter valutare diversità e analogie di comportamenti di fronte ad un edificio antico – o ritenuto tale – evidenziando continuità e rotture in tutto il continente. Tensioni e ambivalenze non ricomponibili in un quadro unitario, sono già evidenti nel saggio di Irene Giustina sui lavori promossi dal cardinale Federico Borromeo nella Milano del primo Seicento. Le valutazioni positive verso le antiche chiese si accompagnano infatti a ricostruzioni improntate ora a istanze di magnificenza (le nuove facciate), ora di funzionalità liturgica (le absidi), usando il moderno linguaggio elaborato a Roma ma sempre affrontando per parti l’organismo architettonico; mentre un monumento dell’importanza di Sant’Ambrogio, dà luogo a un diverso atteggiamento, per il quale Borromeo volle unire conservazione a ricostruzione. A Roma, come evidenziato da Augusto Roca De Amicis, è soprattutto il cardinale Cesare Baronio che precisa modalità d’intervento seguite per quasi due secoli. Esito di una mentalità storico-simbolica, l’istanza di non alterare gli impianti e quella di conservare la materia delle antiche chiese trovano variabili punti di equilibrio. Tali istanze, dopo il trauma della distruzione della parte costantiniana della basilica di San Pietro sotto Paolo V, troveranno in San Giovanni in Laterano il terreno per nuove sperimentazioni, giungendo alla matura formulazione di Borromini; e in San Clemente, già nel primo Settecento, un esito in cui antico e nuovo si confrontano liberamente e senza prevaricazioni. Anche nell’area napoletana, soprattutto nel diciassettesimo secolo, il rinnovamento avviene in ossequio alla precettistica tridentina, in stretto rapporto con il dibattito in ambito erudito e antiquario. Valentina Russo pone in luce le diverse modalità di intervento, tra relativa indifferenza e tentativi di accordo linguistico con il passato. In quest’ultimo ambito rientrano alcuni interventi di Cosimo Fanzago e di Arcangelo Guglielmelli, prima fra tutti la trasformazione dell’antica Santa Restituta, a cui fanno da sfondo le polemiche sorte negli ambienti ecclesiastici. Nella Sicilia delle maggiori cattedrali, indagate da Marco Rosario Nobile, gli interventi mostrano forti specificità, conformemente a criteri valutativi non corrispondenti a quelli in uso in altre realtà. Soprattutto i monumenti funebri, gli altari, gli apparati effimeri sono il luogo dove il potere civico, quello regio, quello vescovile si confrontano con alterni equilibri, divenendo spesso il centro motore di interventi più ampi e sovente, come a Palermo, contrastati. La Francia rivela, come dimostra Jörg Garms, caratteristiche specifiche nella tarda ricezione delle disposizioni tridentine e nella continuità del sistema costruttivo gotico. Solo nel Settecento si può parlare di cambiamenti nell’interno delle chiese, come nella sistemazione del coro di Notre-Dame a Parigi successiva al voto di Luigi XIII. L’attenzione è comunque rivolta agli arredi liturgici – pulpiti, altari “alla romana”, cancellate – mentre sono assenti le innovazioni sul piano spaziale. Un ruolo di spicco è assunto dal baldacchino, forse per la sua leggerezza e l’assonanza con il gotico. Meinrad von Engelberg offre un quadro degli interventi in terra tedesca caratterizzati, soprattutto dopo la pace di Westfalia, da due valutazioni, più complementari che antitetiche, delle chiese medievali: testimonianze di una nazione germanica legata all’Impero per i luterani, che mostrano una propensione più conservativa; esempi dell’antichità della Chiesa tedesca per i cattolici, con maggiori istanze di rinnovamento. L’area danubiana, trattata da Ulrich Furst, è un’altra zona di confine caratterizzata dalla presenza di antiche abbazie e basiliche e da plurali modalità di intervento, passando dal rivestimento “all’italiana” delle antiche strutture con forme moderne, come a Mariazell o a Passau, alla punteggiatura di altari e arredi sacri in strutture come l’abbazia di Kaisheim. secondo modi franco-germanici, o ancora seguendo un principio di conformità con il gotico, come a Regensburg o a Zwettl. Anche nella cattolica Boemia, indagata da Pavel Kalina, il valore dell’antichità diviene un punto di partenza, ma sono soprattutto le immagini sacre e le reliquie, con forti risonanze simboliche, a innescare dei rinnovamenti dove il barocco e le libere reminescenze del gotico formano i variati involucri di tali testimonianze. L’innesto di forme barocche in Spagna, come pone in luce Javier Rivera Blanco, si verifica soprattutto nel completamento delle grandi cattedrali, come Valencia, nella quale si riscontra un intervento nell’interno assimilabile alle esperienze italiane. Si sviluppa per tempo una tendenza a privilegiare la coerenza del linguaggio originario, e non solo per ragioni di mera praticità. Alla fine del Settecento, Ventura Rodriguez offrirà soluzioni tecniche capaci di conseguire un notevole rispetto della preesistenza. A conclusione delle premesse iniziali, Claudio Varagnoli sintetizza il corpus delle trasformazioni basilicali nell’arco del Settecento romano. Sotto la spinta dell’antiquaria cristiana e della lezione di Muratori, il modello seicentesco da un lato si alleggerisce per aderire meglio all’edificio da restaurare, dall’altro aumenta il proprio carattere inclusivo. Questa ricerca, che si svolge tra i pontificati di Clemente XI e quello di Benedetto XIV, trova il suo apice nell’intervento in S. Croce in Gerusalemme, ai limiti della coerenza dell’organismo classico, nello sforzo di innovare conservando. Il saggio di Alessandra Marino, infine, legge il tema del convegno in absentia cioè partendo dalle numerose rimozioni che hanno cancellato molti aggiornamenti barocchi in Toscana. Ciò è accaduto per il carattere eminentemente sovrastrutturale dei rifacimenti sei-settecenteschi, che si affidano a volte in canne, stucchi, affreschi, ma soprattutto per una malintesa prassi del restauro, volta a riscoprire paramenti lapidei e partiti architettonici presunti medievali, a spese della verità storica dell’edificio.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.