La valutazione finanziaria d’impresa, basata sui flussi di cassa attualizzati, consente di adottare due possibili approcci: – quello asset side permette di stimare il valore dell’intera azienda (firm valuation) attualizzando i flussi di cassa disponibili per gli investitori (free cash flow to the firm) con un tasso che riflette la rischiosità del business e le fonti di finanziamento utilizzate; – quello equity side consente di stimare il valore del patrimonio netto (equity valuation) attualizzando i flussi di cassa disponibili per la proprietà (free cash flow to equity) con un tasso che ne riflette la rischiosità. L’approccio asset side permette l’applicazione di tre procedimenti alternativi ma teoricamente (a date condizioni) equivalenti: – il più utilizzato nella prassi professionale si dirà Adjusted Discount Rate (ADR), e considera gli effetti dell’indebitamento sul firm value attraverso rettifiche del tasso di attualizzazione; – una variante del precedente, più aderente alla teoria finanziaria, si dirà Adjusted Cash Flow (ACF), e cattura gli effetti dell’indebitamento sul firm value attraverso rettifiche dei flussi di cassa; – un terzo procedimento, ben noto in letteratura ma poco utilizzato dai practitioners, è l’Adjusted Present Value (APV), che prevede la stima degli effetti dell’indebitamento separata da quella del valore delle attività operative. L’APV, oggetto di esame e di approfondimento nel presente lavoro, perviene al firm value muovendo dalla constatazione che, in linea generale, il debito aziendale determina sia effetti positivi dovuti a benefici fiscali (per la deducibilità degli oneri finanziari), sia effetti negativi legati al rischio d’insolvenza. Tale procedimento riflette, e rende quindi palesi, le relazioni ampiamente indagate nella letteratura finanziaria tra struttura finanziaria, costi del capitale e valore d’impresa. Queste relazioni fanno sì che le politiche finanziarie influenzino sostenibilità, rischiosità e profittabilità di un business, impattando così sul valore dell’impresa che lo gestisce. Diverse sono le variabili, aziendali e ambientali, che possono indirizzare le scelte di indebitamento, e quindi incidere sul valore aziendale; qualunque modello valutativo dovrebbe quindi correttamente tener conto dei distinti effetti, positivi o negativi, derivanti da decisioni finanziarie. Il procedimento APV risponde a tale esigenza consentendo di superare alcune criticità (concettuali e pratiche) che caratterizzano i procedimenti valutativi alternativi, che peraltro risultano essere quelli maggiormente utilizzati in campo professionale. Esso prevede infatti la determinazione del valore aziendale partendo dal “core value”, legato alla profittabilità e rischiosità operativa dell’impresa, cui si aggiungono componenti addizionali di valore legati alle scelte di struttura finanziaria(1). Ponendo a confronto le procedure alternative prima ricordate, si evidenziano le condizioni per cui le stime ottenute con l’APV risultano più precise e attendibili: – variazioni della struttura finanziaria nell’orizzonte di previsione cui si fa riferimento per la valutazione; – prospettive di crescita, regolari o irregolari, nell’arco previsionale di riferimento; – vita utile economica limitata nel tempo. Per mostrare l’utilità dell’APV in tutti quegli ambiti in cui le decisioni economiche richiedono una evidenza del core value aziendale, che prescinda dagli effetti delle decisioni di finanziamento, il presente lavoro si sviluppa in cinque capitoli. Il primo presenta il tipico modello di valutazione finanziaria, il Discounted Cash Flow Model (DCF), illustrando approcci, procedimenti e formule con cui trova concreta applicazione. Viene poi introdotto l’APV che, diversamente dai procedimenti ADR e ACF (nei quali gli effetti dell’indebitamento sono catturati implicitamente attraverso adeguamenti dei tassi di attualizzazione o dei flussi operativi), separa il valore delle attività operative dagli effetti che su questo derivano dalle scelte di indebitamento. Nel secondo capitolo si richiamano i fondamenti di Teoria della Finanza sui quali si basa il procedimento APV, le cui origini concettuali possono farsi risalire all’articolo del 1963 con cui Modigliani e Miller ammettono l’esistenza di una relazione tra struttura finanziaria e valore. Sulle tesi dei due premi Nobel, si svilupperà la Trade-off Theory che ha consentito a Stewart Myers, nel 1974, la prima formalizzazione del procedimento in esame. Il terzo capitolo è dedicato alla presentazione del procedimento APV e all’esplicitazione delle componenti fondamentali del valore aziendale. Sono trattate anche le principali difficoltà applicative causate dal fatto che le informazioni richieste per la sua corretta applicazione non sempre sono disponibili, rendendo necessarie semplificazioni e assunzioni “di comodo”. Nel quarto capitolo si affronta il tema della stima dei due costi del capitale “originari”, quello unlevered (ku) e quello di debito (ki), necessari per l’applicazione dell’APV. Si tratta, probabilmente dell’aspetto più stimolante e interessante sotto il profilo scientifico-concettuale, che richiede la riconsiderazione dei principi teorici di valutazione finanziaria aziendale. Nel quinto capitolo si verifica la validità dell’APV di fronte a situazioni valutative tipicamente foriere di criticità: limitazione della vita utile aziendale; crescita regolare e irregolare; variazioni di struttura finanziaria. Confrontando gli esiti dei procedimenti valutativi ADR, ACF e APV attraverso simulazioni di casi aziendali, si dimostra come soltanto quest’ultimo consenta di appurare valori sempre corretti e coerenti con i modelli teorici passati in rassegna nel secondo capitolo.
La valutazione d'impresa nella prospettiva finanziaria: l'adjusted present value / Gennaro, Alessandro. - (2022), pp. 1-218.
La valutazione d'impresa nella prospettiva finanziaria: l'adjusted present value
Gennaro, Alessandro
Primo
Writing – Original Draft Preparation
2022
Abstract
La valutazione finanziaria d’impresa, basata sui flussi di cassa attualizzati, consente di adottare due possibili approcci: – quello asset side permette di stimare il valore dell’intera azienda (firm valuation) attualizzando i flussi di cassa disponibili per gli investitori (free cash flow to the firm) con un tasso che riflette la rischiosità del business e le fonti di finanziamento utilizzate; – quello equity side consente di stimare il valore del patrimonio netto (equity valuation) attualizzando i flussi di cassa disponibili per la proprietà (free cash flow to equity) con un tasso che ne riflette la rischiosità. L’approccio asset side permette l’applicazione di tre procedimenti alternativi ma teoricamente (a date condizioni) equivalenti: – il più utilizzato nella prassi professionale si dirà Adjusted Discount Rate (ADR), e considera gli effetti dell’indebitamento sul firm value attraverso rettifiche del tasso di attualizzazione; – una variante del precedente, più aderente alla teoria finanziaria, si dirà Adjusted Cash Flow (ACF), e cattura gli effetti dell’indebitamento sul firm value attraverso rettifiche dei flussi di cassa; – un terzo procedimento, ben noto in letteratura ma poco utilizzato dai practitioners, è l’Adjusted Present Value (APV), che prevede la stima degli effetti dell’indebitamento separata da quella del valore delle attività operative. L’APV, oggetto di esame e di approfondimento nel presente lavoro, perviene al firm value muovendo dalla constatazione che, in linea generale, il debito aziendale determina sia effetti positivi dovuti a benefici fiscali (per la deducibilità degli oneri finanziari), sia effetti negativi legati al rischio d’insolvenza. Tale procedimento riflette, e rende quindi palesi, le relazioni ampiamente indagate nella letteratura finanziaria tra struttura finanziaria, costi del capitale e valore d’impresa. Queste relazioni fanno sì che le politiche finanziarie influenzino sostenibilità, rischiosità e profittabilità di un business, impattando così sul valore dell’impresa che lo gestisce. Diverse sono le variabili, aziendali e ambientali, che possono indirizzare le scelte di indebitamento, e quindi incidere sul valore aziendale; qualunque modello valutativo dovrebbe quindi correttamente tener conto dei distinti effetti, positivi o negativi, derivanti da decisioni finanziarie. Il procedimento APV risponde a tale esigenza consentendo di superare alcune criticità (concettuali e pratiche) che caratterizzano i procedimenti valutativi alternativi, che peraltro risultano essere quelli maggiormente utilizzati in campo professionale. Esso prevede infatti la determinazione del valore aziendale partendo dal “core value”, legato alla profittabilità e rischiosità operativa dell’impresa, cui si aggiungono componenti addizionali di valore legati alle scelte di struttura finanziaria(1). Ponendo a confronto le procedure alternative prima ricordate, si evidenziano le condizioni per cui le stime ottenute con l’APV risultano più precise e attendibili: – variazioni della struttura finanziaria nell’orizzonte di previsione cui si fa riferimento per la valutazione; – prospettive di crescita, regolari o irregolari, nell’arco previsionale di riferimento; – vita utile economica limitata nel tempo. Per mostrare l’utilità dell’APV in tutti quegli ambiti in cui le decisioni economiche richiedono una evidenza del core value aziendale, che prescinda dagli effetti delle decisioni di finanziamento, il presente lavoro si sviluppa in cinque capitoli. Il primo presenta il tipico modello di valutazione finanziaria, il Discounted Cash Flow Model (DCF), illustrando approcci, procedimenti e formule con cui trova concreta applicazione. Viene poi introdotto l’APV che, diversamente dai procedimenti ADR e ACF (nei quali gli effetti dell’indebitamento sono catturati implicitamente attraverso adeguamenti dei tassi di attualizzazione o dei flussi operativi), separa il valore delle attività operative dagli effetti che su questo derivano dalle scelte di indebitamento. Nel secondo capitolo si richiamano i fondamenti di Teoria della Finanza sui quali si basa il procedimento APV, le cui origini concettuali possono farsi risalire all’articolo del 1963 con cui Modigliani e Miller ammettono l’esistenza di una relazione tra struttura finanziaria e valore. Sulle tesi dei due premi Nobel, si svilupperà la Trade-off Theory che ha consentito a Stewart Myers, nel 1974, la prima formalizzazione del procedimento in esame. Il terzo capitolo è dedicato alla presentazione del procedimento APV e all’esplicitazione delle componenti fondamentali del valore aziendale. Sono trattate anche le principali difficoltà applicative causate dal fatto che le informazioni richieste per la sua corretta applicazione non sempre sono disponibili, rendendo necessarie semplificazioni e assunzioni “di comodo”. Nel quarto capitolo si affronta il tema della stima dei due costi del capitale “originari”, quello unlevered (ku) e quello di debito (ki), necessari per l’applicazione dell’APV. Si tratta, probabilmente dell’aspetto più stimolante e interessante sotto il profilo scientifico-concettuale, che richiede la riconsiderazione dei principi teorici di valutazione finanziaria aziendale. Nel quinto capitolo si verifica la validità dell’APV di fronte a situazioni valutative tipicamente foriere di criticità: limitazione della vita utile aziendale; crescita regolare e irregolare; variazioni di struttura finanziaria. Confrontando gli esiti dei procedimenti valutativi ADR, ACF e APV attraverso simulazioni di casi aziendali, si dimostra come soltanto quest’ultimo consenta di appurare valori sempre corretti e coerenti con i modelli teorici passati in rassegna nel secondo capitolo.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.