L’annosa questione del razzismo, come dimostrato da innumerevoli studi, ha radici secolari e tuttora ha un importante impatto politico e sociale a livello mondiale. A ragione, il banco degli imputati è occupato principalmente dalla parola "razza", il cui percorso semantico appare tuttavia piuttosto intricato e tutt’altro che definito. Di originario uso zootecnico e letterario, acquistando poi un ruolo imperante come termine antropologico, "razza" ha assunto negli ultimi due secoli una funzione prettamente categorizzante finalizzata a estirpare il diverso, a distinguere ciò che non appartiene a per preservare qualcosa che era stato messo in pericolo. D’altro canto, le tragiche vicende dell’ultimo secolo avevano spinto contro-risemantizzare la parola nei testi costituzionali europei, preferendo razza, nel caso dell’italiano, a un suo quasi-sinonimo quale "stirpe", quest’ultimo, per così dire, storicamente neutro. Il recente dibattito che, a partire dagli anni Novanta, ha coinvolto paesi come Francia, Germania e Italia, spingendo a rimettere in discussione la sua presenza nei testi costituzionali, ha visto fronteggiarsi diverse posizioni, coinvolgendo interdisciplinarmente antropologi, genetisti, giuristi, storici e filosofi. Prendendo spunto dai dibattiti costituzionali di metà Novecento, si vuole approfondire e chiarire, a livello semantico-lessicale, la natura farmacologica della parola maledetta, che ha avvelenato il vocabolario d’uso con i suoi derivati, ma che, nei limiti della sua funzione storica e rammemorativa, di pietra d’inciampo, può costituire la chiave di volta della lotta al linguaggio dell’odio.
(S)radicare l’altro. Ritratto della parola "razza" tra passato e presente / Orrù, Alice. - (2024), pp. 191-202.
(S)radicare l’altro. Ritratto della parola "razza" tra passato e presente
alice orrù
Writing – Original Draft Preparation
2024
Abstract
L’annosa questione del razzismo, come dimostrato da innumerevoli studi, ha radici secolari e tuttora ha un importante impatto politico e sociale a livello mondiale. A ragione, il banco degli imputati è occupato principalmente dalla parola "razza", il cui percorso semantico appare tuttavia piuttosto intricato e tutt’altro che definito. Di originario uso zootecnico e letterario, acquistando poi un ruolo imperante come termine antropologico, "razza" ha assunto negli ultimi due secoli una funzione prettamente categorizzante finalizzata a estirpare il diverso, a distinguere ciò che non appartiene a per preservare qualcosa che era stato messo in pericolo. D’altro canto, le tragiche vicende dell’ultimo secolo avevano spinto contro-risemantizzare la parola nei testi costituzionali europei, preferendo razza, nel caso dell’italiano, a un suo quasi-sinonimo quale "stirpe", quest’ultimo, per così dire, storicamente neutro. Il recente dibattito che, a partire dagli anni Novanta, ha coinvolto paesi come Francia, Germania e Italia, spingendo a rimettere in discussione la sua presenza nei testi costituzionali, ha visto fronteggiarsi diverse posizioni, coinvolgendo interdisciplinarmente antropologi, genetisti, giuristi, storici e filosofi. Prendendo spunto dai dibattiti costituzionali di metà Novecento, si vuole approfondire e chiarire, a livello semantico-lessicale, la natura farmacologica della parola maledetta, che ha avvelenato il vocabolario d’uso con i suoi derivati, ma che, nei limiti della sua funzione storica e rammemorativa, di pietra d’inciampo, può costituire la chiave di volta della lotta al linguaggio dell’odio.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.