In questo paper presentiamo i primi risultati di un progetto di ricerca che indaga criticamente il ruolo delle piattaforme nel riprodurre e/o nel contrastare le diverse forme di violenza di genere online (Segrave & Vitis, 2017), attingendo ad un quadro teorico che considera le tecnologie digitali ed il genere come “categorie intrecciate” (Lerman et al. 2003) ed in un rapporto di reciproca influenza con le strutture sociali e le pratiche culturali. Tale approccio implica una problematizzazione delle “gendered affordance” (Schwartz & Neff 2019) nonché dei meccanismi e dell’economia politica delle piattaforme digitali (Van Dijck et al. 2018), che attingono a repertori sociali e culturali di genere a disposizione di utenti e designer, favorendo così pratiche d’uso violente e misogine, ma anche risorse per la resistenza e l’autodeterminazione delle donne, delle soggettività LGBTQIA+ e di altre comunità emarginate. Nello specifico, in questo contributo illustriamo i risultati emersi da 20 interviste in profondità svolte con portavoce dei centri antiviolenza italiani e delle reti femministe nazionali, impegnatə in iniziative e sperimentazioni di contrasto alla violenza di genere, anche attraverso l’uso di strumenti digitali. L’approccio narrativo ci ha permesso, infatti, di aggregare esperienze personali, stimolare il pensiero riflessivo e generare momenti di apprendimento (Gherardi & Poggio 2009), in una prospettiva emica che ha messo in evidenza, come dimensione analitica prevalente, la consapevolezza deə partecipanti circa le logiche di funzionamento delle piattaforme digitali e, di lì, i limiti e le potenzialità che le caratterizzano rispetto al problema specifico della violenza di genere online. L’analisi tematica delle interviste, infatti, dimostra che la maggior parte deə partecipanti è consapevole circa i pericoli che soprattutto i meccanismi di datafication e curation, nonché le affordance di persistenza e scalabilità comportano, per lo più in termini di surveillance e disinformazione. Alcunə partecipanti rintracciano nel design stesso delle piattaforme dei veri e propri “trigger” di specifiche forme di violenza di genere online, riconoscendo in esso il precipitato “tecnologico” di norme sociali sessiste e credenze culturali misogine. Diversə partecipanti mettono in discussione anche alcune espressioni post-femministe che circolano sui social media, identificandole come “femminismo pop” che può scollegare l’attivismo dalle mobilitazioni fisiche e dalla denuncia strutturale del patriarcato. Non sorprende, dunque, che pur riconoscendo la potenziale inclusività degli spazi digitali, soprattutto quando facilitano il superamento delle barriere fisiche per la partecipazione a momenti di protesta e (in)formazione, alcunə di loro esprimono scetticismo sul fatto di affidarsi completamente ad essi per l’attivismo, tracciando così una linea di demarcazione tra la “piazza virtuale” e i luoghi fisici dell’azione politica dal basso.
Violenza di genere online: la responsabilità delle piattaforme digitali nello sguardo consapevole di chi la contrasta / Francesca, Belotti; Sciannamblo, Mariacristina; Parisi, Stefania; Solinas, Claudia. - (2024). (Intervento presentato al convegno VI Convegno della Società Scientifica Italiana di Sociologia, Cultura, Comunicazione tenutosi a Sapienza Università di Roma).
Violenza di genere online: la responsabilità delle piattaforme digitali nello sguardo consapevole di chi la contrasta.
Sciannamblo Mariacristina
;Parisi Stefania
;Claudia Solinas
2024
Abstract
In questo paper presentiamo i primi risultati di un progetto di ricerca che indaga criticamente il ruolo delle piattaforme nel riprodurre e/o nel contrastare le diverse forme di violenza di genere online (Segrave & Vitis, 2017), attingendo ad un quadro teorico che considera le tecnologie digitali ed il genere come “categorie intrecciate” (Lerman et al. 2003) ed in un rapporto di reciproca influenza con le strutture sociali e le pratiche culturali. Tale approccio implica una problematizzazione delle “gendered affordance” (Schwartz & Neff 2019) nonché dei meccanismi e dell’economia politica delle piattaforme digitali (Van Dijck et al. 2018), che attingono a repertori sociali e culturali di genere a disposizione di utenti e designer, favorendo così pratiche d’uso violente e misogine, ma anche risorse per la resistenza e l’autodeterminazione delle donne, delle soggettività LGBTQIA+ e di altre comunità emarginate. Nello specifico, in questo contributo illustriamo i risultati emersi da 20 interviste in profondità svolte con portavoce dei centri antiviolenza italiani e delle reti femministe nazionali, impegnatə in iniziative e sperimentazioni di contrasto alla violenza di genere, anche attraverso l’uso di strumenti digitali. L’approccio narrativo ci ha permesso, infatti, di aggregare esperienze personali, stimolare il pensiero riflessivo e generare momenti di apprendimento (Gherardi & Poggio 2009), in una prospettiva emica che ha messo in evidenza, come dimensione analitica prevalente, la consapevolezza deə partecipanti circa le logiche di funzionamento delle piattaforme digitali e, di lì, i limiti e le potenzialità che le caratterizzano rispetto al problema specifico della violenza di genere online. L’analisi tematica delle interviste, infatti, dimostra che la maggior parte deə partecipanti è consapevole circa i pericoli che soprattutto i meccanismi di datafication e curation, nonché le affordance di persistenza e scalabilità comportano, per lo più in termini di surveillance e disinformazione. Alcunə partecipanti rintracciano nel design stesso delle piattaforme dei veri e propri “trigger” di specifiche forme di violenza di genere online, riconoscendo in esso il precipitato “tecnologico” di norme sociali sessiste e credenze culturali misogine. Diversə partecipanti mettono in discussione anche alcune espressioni post-femministe che circolano sui social media, identificandole come “femminismo pop” che può scollegare l’attivismo dalle mobilitazioni fisiche e dalla denuncia strutturale del patriarcato. Non sorprende, dunque, che pur riconoscendo la potenziale inclusività degli spazi digitali, soprattutto quando facilitano il superamento delle barriere fisiche per la partecipazione a momenti di protesta e (in)formazione, alcunə di loro esprimono scetticismo sul fatto di affidarsi completamente ad essi per l’attivismo, tracciando così una linea di demarcazione tra la “piazza virtuale” e i luoghi fisici dell’azione politica dal basso.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.